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Sapete ancora fermarvi su un libro o siete finiti nell'inferno dell'impazienza?

Alfonso Berardinelli

Mai come ora leggere è stato un problema, o meglio un problema da evitare. Con internet non è difficile, lì si trova tutto

Leggo un libro sulla lettura, che vergogna. Ma non è un problema mio, anche se non si finisce mai di imparare qualcosa. Il problema della lettura lo vedo tutti i giorni intorno a me. Aumentano quelli che forse una volta, tanti anni fa, leggevano. Ora invece, sempre più spesso, se la cavano cercando su tablet e smartphone. Si informano e un po’ si illudono di aver letto libri. Mai come ora leggere è stato un problema, o meglio un problema da evitare. Con internet non è difficile, lì si trova tutto.

 

Il libro che leggo (ma so già che non lo leggerò tutto) lo ha scritto una professoressa americana di linguistica, Naomi S. Baron, titolo: Come leggere, sottotitolo: “Carta, schermo o audio?” (Cortina editore, pp. 304, euro 25) e dopo qualche decina di pagine mi rendo conto che con metodiche ricerche empiriche si arriva a verità facilmente intuibili e immaginabili per esperienza propria o di conoscenti. Si parte ancora una volta dall’ormai vecchio libro di Nicholas Carr del 2008, Google ci rende stupidi? e si aggiungono nuovi dati che non escludono ma serenamente accettano che tutto è possibile, la stupidità non è esclusa anche e soprattutto quando è ovvia e normale. Presi uno per uno i nuovi adolescenti non sembrano affatto stupidi: ma messi insieme creano un ambiente ben poco riflessivo e consapevole: fra loro l’individualismo sembra in declino. E poi invece di leggere un testo fino in fondo fanno skimming e scanning, fanno scrematura o scansione.

 

La cosa certa è che leggere non è mai stato naturale. Cultura non è natura e in noi “sapiens” la natura si culturalizza sempre. Del resto per me leggere e come leggere è stata presto un’idea, una pratica tutt’altro che ovvia. Il comune leggere in automatismo mi è sembrato presto insoddisfacente. Come si legge? Come leggere bene o meglio? Leggere che cosa? Quando? Quanto a lungo? Cosa rimane dopo che si è letto? Che cosa si ricorda e per quanto tempo? Penso a questi interrogativi come alla mia prima esperienza culturale seriamente personale. La lettura come dovere scolastico, allo scopo cioè di immagazzinare dati e idee da ripetere agli insegnanti per ricevere in cambio un voto da uno a dieci o un giudizio da pessimo a sufficiente a ottimo, non mi sembrava cultura. Se non si legge senza scopo, cioè per uno scopo liberamente o misteriosamente personale, la lettura è vera lettura? Può anche esserlo, dato che ognuno legge come vuole. Ma esistono vari modi di leggere e naturalmente vari testi da leggere, scritti dai loro autori in vista di vari tipi di lettori. Una cosa è leggere un manuale scolastico, altra cosa è leggere un romanzo, un libro di poesia, un giornale, un’enciclopedia, una rivista, un famoso classico scritto secoli fa. Ogni volta il lettore sa in anticipo come leggerà.

 

Anche gli attuali ricercatori, psicologi, pedagoghi o neuroscienziati continuano a distinguere fra lettura veloce e lenta, superficiale o profonda, pratica o contemplativa. Ma mentre un tempo si trattava di modi, intensità, funzionalità mentali, oggi le differenze sono quasi sempre materializzate nel supporto che usiamo: carta, schermo, audio. Il libro suggerisce di per sé la lettura da cima a fondo, un magazine si sfoglia velocemente. Ci sono supporti che fanno apparire e scomparire i testi, i libri restano, sono oggetti solidi e durevoli. Perfino un libro con la copertina dura si legge un po’ diversamente che un paperback. La presenza fisica di un libro continuerà a dirci se lo abbiamo già letto o non ancora: fa lavorare così la nostra autocoscienza.

 

Il mondo digitalizzato è soprattutto un mondo che smaterializza, in cui le realtà fisiche vengono fatte esistere e sparire a comando. Niente dura, niente ci si impone e ci si oppone. Il materialismo di un tempo era meno volgare e più educativo di quanto si credeva. C’è per esempio chi pensa che il buon Dio ci abbia messi nel mondo di quaggiù per costringerci a esercitare la fondamentale virtù della pazienza necessaria a trattare con la materia, qualcosa che ostacola la nostra smania di fare presto, di soddisfare ogni impulso e desiderio nel minor tempo possibile. Se stiamo diventando più stupidi, viziati e irriflessivi, cioè più impazienti, è perché ci hanno messo in mano dei piccoli aggeggi onnipotenti che annullano spazio e tempo facendo dimenticare i rapporti che le cause hanno con i loro effetti e che nessun effetto manca di causa. Le tecnologie ci ubbidiscono, ci illudono con la continua impressione di velocità e simultaneità. Ricordate quello che disse quel mistico di Franz Kafka? (i mistici sono sempre molto pratici, non si illudono mai): “Tutti gli errori umani sono impazienza”.

 

Gli esseri umani “è a causa dell’impazienza che sono stati cacciati dal paradiso, e a causa dell’impazienza non ci tornano”. Fra il 1917 e il 1918 Kafka scrisse aforismi. Ne scrisse un centinaio e quelli sull’impazienza sono i primi due. Fra le molte altre cose, Kafka aveva previsto anche le impazienze future e i nostri modi di soddisfarle, commettendo errori sempre nuovi in modi tecnologicamente nuovi. Forse non è facile capire che paradiso abbiamo perso. Più facile capire in che inferno per impazienza si finisce.
 

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