Inherent Vice

I film di Clint Eastwood per raccontare l'umanità

Alberto Fraccacreta

Edoardo Sant’Elia racconta nel suo saggio quattro lungometraggi del regista americano, intersecando l’indagine filmica con citazioni da eminenti filosofi spagnoli e sudamericani del secolo scorso

Esiste una filosofia dietro alle narrazioni contemporanee? È la domanda, in parte provocatoria, che si pone Edoardo Sant’Elia in L’età degli eroi. Filosofia e mitologia ‘dell’umano’ nei western diretti da Clint Eastwood (Edizioni Studium, 160 pp., 16,50 euro). Concepite come vere e proprie lezioni universitarie, le quattro parti del saggio toccano altrettanti lungometraggi dell’attore e regista americano prodotti nell’arco di un ventennio (dal ’73 al ’92: Lo straniero senza nome, Il texano dagli occhi di ghiaccio, Il cavaliere pallido, Gli spietati), intersecando l’indagine filmica con citazioni da eminenti filosofi spagnoli e sudamericani del secolo scorso. 

“Una frastagliata eppure riconoscibile linea di pensiero – osserva Sant’Elia –, non solo geografico-linguistica, che si snoda dal primo Novecento, con Unamuno e Ortega, dissimili nelle premesse e negli scopi ma entrambi distanti dall’intellettualismo; al secondo Novecento, con Bergamín, Zambrano, Gómez Dávila, eccentrici esegeti delle zone d’ombra annidate nel cuore stesso della Verità e della Parola; per giungere a fine secolo/Duemila, con Savater e Cabrera, capaci di impostare differenti metodologie e di estendere l’analisi a nuovi linguaggi”.


Accostamento ardito, callida iunctura per dirla con Orazio, l’amalgama polveroso di western e filosofia spagnola, anche se può apparire velleitario, è quanto mai indovinato. Il racconto moderno si veste così di figure emblematiche e iconiche – l’eroe “vendicatore”, “uomo in fuga”, “fantasma del sacro”, “individuo” –, mitologemi in grado di render conto di un umanesimo integrale. Di deserti sabbiosi e cactus. Di fronti corrugate e ciglia increspate.

“L’età degli eroi è intesa anzitutto come epoca, come periodo storico/mitico, ovvero l’Ottocento americano trasformato dal western in finestra dei sogni, territorio per eccellenza dell’avventura, qui nella visione che ne offre Clint Eastwood”. In verità, Sant’Elia propone con questa sua seconda prova – la prima era Ri(e)mozioni novecentesche. Dieci saggi narrativi su dieci idee – un’inedita materia di studio, la Filosofia delle narrazioni contemporanee appunto, frutto dell’attività di docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. 


L’importante novità di questa materia è nel ricondurre qualsiasi dettaglio diegetico a una scala di valori antropologici essenziali. È così che si crea un immaginario solido e oliato, come quello western da Twain a McCarthy. Con i paesaggi edenici della Frontiera. Un esempio? A proposito delle prime sequenze de Lo straniero senza nome sottolinea ancora Sant’Elia: “Lo sguardo dato e non ricambiato, il protagonista che cavalca infischiandosene di coloro che lo scrutano, è una delle situazioni ricorrenti nei western di Eastwood. Scrive María Zambrano: ‘La filosofia ha dimenticato che il vedere alla maniera umana è inseparabile dall’essere visto; che nessuno guarda mai, fosse anche nella solitudine di un paesaggio deserto, nell’ultimo e più recondito rifugio, quando si trova perduto, senza sentirsi al tempo stesso visto’. Lo straniero non può ignorare il fuoco incrociato di quegli sguardi; e nella sua calma cova una minaccia ben più pericolosa di qualsiasi atteggiamento aggressivo. Scivolando sulle insistite, ansiose occhiate altrui, se ne impadronisce, le contiene senza restituirle, le incamera con rapace indifferenza; lungi dall’estrarre il proprio sguardo, lo tiene al riparo nella fondina del volto ma il sopracciglio-grilletto è teso, immobile, pronto a scattare”.


Con una prosa limpida e ricca di suggestioni, Sant’Elia ci mette in guardia da semplificazioni di genere: “È impossibile ignorare che tutti o quasi tutti i western sono intrinsecamente animati da una tensione metafisica che dà loro un respiro etico e spirituale inconfondibile. Ed è opportuno anche ricordare come, tanto in letteratura quanto nel cinema, nei confronti delle storie che appartengono ad un identificabile ‘genere’ (il poliziesco, la fantascienza, l’orrore...), siano stati innalzati steccati culturali che le inchiodano alla loro presunta elementarietà”. 
I film di Eastwood sono quello che sono. E possono essere visti senza troppe sovrainterpretazioni. Ma, come giustamente evidenzia Sant’Elia, c’è un sottotesto metafisico più grande. E attenzione a non sminuirlo. Attenzione a non sminuire l’immobile sopracciglio di Clint.


 

Questa è l’ottava puntata della rubrica Inherent Vice. Come prescrive il diritto marittimo, il “vizio intrinseco” è tutto ciò che non è possibile evitare. Potrebbe essere anche una visione specifica, una chiave di accesso della letteratura americana, a cui questa rubrica è dedicata.

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