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Bulimia Pasolini. Quanto ci piace festeggiare gli anniversari

Giulio Silvano

Convegni, sagre, mostre, statue, cineforum e omaggi. L’Italia celebra i cento anni del suo poeta, diventato un’icona buona per tutte le stagioni

Quanto ci piace festeggiare gli anniversari! Quanto ci piace postare foto sui social quando muore un regista/scrittore/attrice/atleta/pittrice per far vedere che ci ha toccato, che la sua arte è arrivata a noi. Rito collettivo e insieme di espressione narcisista del “Per me è sempre stato importante per questo e questo e questo”. Dopo l’anno di Dante, il 2022 ci regala un bel calendario di anniversari da sfruttare a nostro piacimento, per post e pubblicazioni e convegni e dibattiti: Mani Pulite, marcia su Roma, cento anni dalla nascita di Enrico Berlinguer – vedremo condivisa la foto del segretario fatta da Luigi Ghirri, di cui son già stati ricordati i trenta dalla morte –, e centenario anche per Luciano Bianciardi. Trent’anni poi dalle uccisioni di Falcone e Borsellino – verrà coniata una moneta da 2 Euro in memoria – e poi Beppe Fenoglio e Coleridge, Margherita Hack e Giorgio Manganelli, la Settimana Enigmistica e Diabolik. Ma quello che si sente aleggiare come un fantasma piovresco che arriverà a ogni dispositivo, infiltrandosi in ogni outlet culturale, è l’anniversario pasoliniano. Per promuoverlo il governo ha “autorizzato la spesa di 400.000 euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023” – si legge sulla Gazzetta Ufficiale e, con il D.M. 54, è stato istituito il “Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini”. 


Convegni, sagre, mostre fotografiche, statue, targhe, tour virtuali, cineforum, omaggi sui palinsesti Rai, puntate speciali della “Storia siamo noi” e di “Atlantide”, sindaci con le corone di fiori a Ostia, polemiche per il degrado intorno al monumento di Ostia, nuove elucubrazioni sul mistero dell’omicidio a Ostia, copertine degli inserti e delle riviste, articoli titolati “Poesia del calcio” a firma di Enrico Brizzi… inizia già a sentirsi un’invasione mediatico-accademica-politica-social. Ma il pasolinismo postumo si manifesterà soprattutto con i libri. Tantissimi libri che sono usciti, stanno uscendo e usciranno in questo ’22 e che riempiranno le vetrine e i feed e gli spazi per le recensioni su quotidiani e settimanali. Gli editori ritirano fuori vecchie biografie o s’inventano nuove edizioni. Pasolini e Bologna, Pasolini e il Friuli, Pasolini e Roma. Pasolini e i media, Pasolini e il cinema, Pasolini e i processi. E poi ci sono gli eruditi che non vedono l’ora di dire la loro. Marco Belpoliti ad esempio – già esperto di Primo Levi, di pianura padana, etc. etc. – dopo il suo Pasolini in salsa piccante torna con Pasolini e il suo doppio, “Nel centenario della nascita un libro che offre un nuovo ritratto” dice la quarta. Di quanti nuovi ritratti abbiamo bisogno? E non poteva mancare Massimo Recalcati – sei libri pubblicati nel 2020, solo tre nel 2021 – dopo il suo Esiste il rapporto sessuale? esce per Feltrinelli il libretto di 64 pagine dove scrive: “Ho incontrato il testo di Pasolini dopo aver incontrato da ragazzo il suo corpo morto, ferocemente assassinato.” Sulla copertina c’è un dettaglio del murales di Ernest Pignon-Ernest che si trova in giro per Roma. Ci sono libri, rieditati o riproposti, che cercano di fare da guida all’universo PPP, come l’Alfabeto Pasolini (Carocci) del prof. Bazzocchi, pasolinizzante della storia della letteratura italiana all’UniBo, o biografie che partono dalle opere, come quella per Bompiani di Roberto Carnero, “Morire per le idee”, con un capitolo dedicato alla “scoperta dell’omosessualità”. Nelle copertine si gioca quasi sempre con fotografie che già conosciamo con Pasolini vestito da borghese che guarda verso l’orizzonte, o verso il lettore. Lui sa, lui vede oltre, conosce il futuro, ma cammina tra la gente.


Garzanti porta in libreria alcuni romanzi con l’artwork delle prime edizioni, e poi Petrolio, cartonato, con fotografie, a cura di Maria Careri e Walter Siti, con le prose scartate dalle altre edizioni, Minimum Fax il libro di Giordano Meacci Improvviso il novecento, BeccoGiallo la graphic novel sulle ultime ore del poeta. Renzo Paris contrappone Pasolini a Moravia nella collana di Einaudi “VS” (dopo le uscite Beatles vs. Rolling Stones e Oriente vs Occidente). Fulvio Abbate scrive un libro Quando c’era Pasolini, passando soprattutto per la voce di chi ci ha avuto a che fare. Alessandro Gnocchi si concentra sull’infanzia cremonese e sul rapporto con le città in cui ha vissuto in PPP. Le piccole patrie di Pasolini, per la Nave di Teseo. Altri libri hanno titoli come: Pasolini. Un mistero italiano, Puzzle Pasolini,  Requiem Pasolini. Bompiani fa riuscire il romanzo francese che vinse il Goncourt nell’82 “ispirato alla vita di Pasolini”. In un paese con pochi lettori forti, e pochissimi deboli, gli editori sembrano scommettere sulla febbre da centenario. Nemmeno su Harry Potter ci sono così tanti libri


Oltre alla recuperata biografia scritta dal cugino Nico Naldini per Guanda, Breve vita di Pasolini, tra i testi più interessanti c’è senza dubbio la testimonianza di Dacia Maraini, in uscita per Neri Pozza dal titolo Caro Pier Paolo. Sembrerebbe l’unico titolo in questa valanga di uscite a non contenere il cognome del poeta, proprio perché si tratta di un testo intimo, in forma epistolare, scritto con un’iniziale reticenza. “Quando Roberto Cotroneo mi ha chiesto un libro di memorie su di te, ho detto subito di no. E’ già stato scritto tanto sui tuoi libri, sulla tua persona. […] E inoltre non volevo aprire la preziosa scatola segreta dei nostri comuni ricordi, per la paura di vederli svanire”. Maraini e Pasolini sono stati veri amici, a lungo, hanno viaggiato per tutto il mondo, accompagnati da Moravia e da Maria Callas, hanno passato estati intere insieme a Sabaudia, hanno collaborato a film. Quello di Maraini è un ricordo profondamente affettuoso, sentito, dove non mancano i paragoni tra l’allora e l’adesso, su cosa voleva dire essere un intellettuale, su cos’era la letteratura, su cos’era Roma. Dentro ci sono Parise, Garboli, Bertolucci, Giosetta Fioroni, Morante, Schifano, Ninetto e tutti i volti di una realtà che Maraini conosce bene. Tra le uscite questa è quella che, proprio per la coscienza di non voler aggiungere nulla al dibattito pasoliniano, regala di più, tocca di più, e mostra il tanto agognato volto umano dietro l’immagine pubblica che sembra mancare da molte operazioni, denudando anche tutte le contraddizioni di una vita iper-activa, un quadro che nessun “esperto” potrebbe mai dipingere, ma solo un’amica. “C’è qualcosa di erotico nell’amicizia?”, si chiede Maraini nel Diario che apre il numero in uscita di Nuovi Argomenti, dedicato appunto agli anniversari, “Forse sì, anche se fortemente sublimato”. 


Non stupisce però che quasi tutti, anche chi non l’ha conosciuto, chi non l’ha studiato, abbia da dire qualcosa su PPP, considerata la sua pervasività nella cultura nazionale. Basta vedere i muri di Roma. C’è ormai un uso turistico della figura pasoliniana. Il Pigneto ad esempio è un quartiere che nel suo tentativo di gentrification ha giocato molto sull’immagine dello scrittore, tanti i murales come quello dove Pasolini supereroe dice  “io so i nomi”– subito una Instagram opportunity per chi passa da via Fanfulla da Lodi – o quello non distante con l’occhio saggio del poeta, un altro dove si tiene la mano sulla fronte, meditabondo ribelle, con accanto una poesia. C’è poi quello gigante di Nicola Verlato a Tor Pignattara, chiamato Hostia, dove la morte di Pasolini viene rappresentata biblicamente col corpo che scende a rallentatore illuminato da una luce divina. Vera icona della street art romana, PPP, il suo faccione salomonico lo troviamo anche su una delle ciminiere del teatro India, all’ombra del Gazometro. Quasi disneyzzazione poi al bar Necci, uno dei primi baluardi della rivalutazione del triangolo tra Prenestina e Casilina – ben prima che arrivasse la metro verde – che vende bagel e spillette del poeta, onnipresente il suo spettro nel locale o mentre ti guarda in una gigantografia vestito da calciatore nel giardino, dove alcuni dicono furono girate certe scene di Accattone. 


In fondo è una questione di utilizzo dell’icona, da usare a piacimento. E infatti quanto piace Pasolini a chi si sente pecora nera, a chi crede di sapere di chi è la colpa di tutte le malefatte del mondo, di chi si caglia contro oscuri poteri forti. Nel 2015 il profilo ufficiale del Movimento 5 stelle Roma postava su Facebook un video sulla “Profezia di Pasolini sul totalitarismo consumista e sul ruolo deformato della televisione”. Facile prendere spezzoni di interviste, di film o frasi tratte dagli articoli, un prezzemolo da citare, che nemmeno Eco, Malcom X, Churchill o Shakespeare. Questo è uno dei lati che piace di più di PPP, questa percepita mitomania da profeta che rimbomba col tempo. “L’aveva già detto lui!”, e si condividono interviste dove parla di mass media, omologazione, Totò, dialetti. 
C’è poi il martirio, quanto piace la morte misteriosa e violenta! Un doc sulla sua vita si chiama “Un santo infame”. L’assassinio si porta un’automatica certificazione di santità. E a questo va aggiunto l’arcano, il giallo: se non sappiamo davvero come sono andate le cose possiamo creare scenari, tirare fuori complotti. L’opera di Pasolini viene vista quasi sempre alla luce della potenza socio-politica, di schieramento; rispetto a questo, Francesco Longo scriveva qualche anno fa su Studio: “Messi sulla bilancia, i sermoni valgono più dei risultati artistici. Dopo l’esempio di Pasolini, la mancanza di qualità letteraria può benissimo essere compensata dal firmare appelli, scrivere editoriali di fuoco, assumere scomode posizioni politiche, indossare magliette con slogan al vetriolo”. Savianesmo e Murgesimo potrebbero essere visti come figli di un certo Pasolini. 


Ma quanto ancora durerà questa influenza eclettica? Cosa pensano scrittori e scrittrici millennial di questa figura così imperante nel discourse culturale? “Mi sembra però che l’impronta pasoliniana non sia affatto scomparsa”, dice al Foglio Giulia Caminito, nata nel 1988, vincitrice del Campiello con L’acqua del lago non è mai dolce, e già finalista Strega. “Sicuramente per chi vive a Roma Pasolini è un grande riferimento, penso la città si possa mappare seguendo la sua esistenza e la sua eredità”, continua”, “Io ho letto Ragazzi di vita da adolescente, mi fece grande impressione, e l’ho poi riletto da adulta fissando meglio le mie sensazioni: lui dice una Roma che altri non hanno mai voluto vedere. Quando ho vissuto al quartiere Monteverde, ho incontrato per caso anche alcuni dei ragazzi che lo conoscevano e che hanno partecipato ai suoi film, mi sentivo di fronte a pezzi di storia. Mi sembra di rileggerlo in molti autori di oggi come Tommaso Giagni e Mattia Insolia, nella ricerca di certa disperazione e violenza che si genera tra i più giovani, ma anche gli accanimenti del mondo su di loro, e le scelte sbagliate. Certo i contesti sono cambiati e così la società, come Monteverde che era un quartiere di case popolari e grattacieli pieno di bande di ragazzi a scorrazzare e ora è considerato una parte residenziale della città. In questa trasformazione mi pare che anche i ragazzi e le ragazze di vita siano diversi, con volti consumati dalla società di massa”. Maddalena Fingerle, classe ’94, premio Calvino 2020 – il suo Lingua madre, edito da Italo Svevo, è stato presentato quest’anno allo Strega – parla soprattutto di influenza linguistica. “Nelle fasi che precedono la scrittura leggo molto a voce alta, in realtà quasi sempre le stesse cose. Tra queste: Ragazzi di vita.”, dice al Foglio, “Mi vergognerei da morire, se mi si sentisse farlo, è una ricerca acustica, stilistica, linguistica: quello che cerco, prima di scrivere, sono voci forti marcate, una di questa è proprio quella di Pasolini”. 


Per Jonathan Bazzi – finalista Strega, autore di Corpi minori, appena uscito per Mondadori – la lettura è arrivata dopo i film, che gli fece vedere un supplente al liceo. Racconta al Foglio: “Sono sempre stato affascinato da Pasolini, ma spesso come accade con figure queer, non conformi, o poetesse, come Dickinson o Plath, ha prevalso sempre più l’effetto biografico, un certo feticismo, dove al centro vengono messi i dettagli della vita, le speculazioni, rispetto alle opere e gli scritti”. Riguardo alle tematiche pasoliniane dice Bazzi: “Per me c’è questo tema in comune, in qualche modo, della periferia, ma Pasolini aveva un po’ una visione dall’esterno, uno sguardo che per certi versi poteva anche passare per un’attrazione ‘esotica’, mentre io ci sono nato e a lungo mi sono vergognato delle mie origini. Sarebbe interessante sapere cosa penserebbe oggi, Pasolini, di questo desiderio di essere periferici, di rappresentarsi tali, come fanno alcuni rapper e trapper che oggi fingono di esserlo più di quanto non lo siano”. Tommaso Giagni, autore de I tuoni, Ponte alle Grazie, ambientato nelle nuove periferie romane, dice al Foglio: “Personalmente, per i temi di cui mi occupo, il confronto è inevitabile ma anche limitato, perché quell’Italia non c’è più, quella società è finita, più o meno, in corrispondenza della morte di PPP stesso. Tengo come bussola il suo esempio per due elementi soprattutto: la curiosità politica di andare a vedere dove in pochi vanno e la necessità – in rapporto a ciò che si racconta – di mettere il corpo in ballo e non solo guardare”. 


Questo artista eclettico, la cui mole dei Meridiani Mondadori è raggiunta solo da quella Pirandello, per una somma di cause e volontà è difficile da dimenticare, anche solo per la sua presenza egemonica nelle antologie scolastiche. Questo centenario, invece di pura celebrazione, potrebbe essere un’occasione per soppesare l’eredità di Pasolini, per capire il perché della sua pervasività, del suo charme intellettuale-polemico, della sua santificazione. Beati i paesi che non hanno bisogno di santi.

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