Cronaca nera, salvezza delle nostre serate

Matteo Marchesini

Noi che non ci addormentiamo più con Simenon ma ci affidiamo ai feuilleton televisivi

Ogni sera, in migliaia di case italiane, due conviventi cenano in fretta e parlano a monosillabi. Il discorso è soffocato dalla stanchezza e dal rancore; e a volte, specie dal marzo 2020, sembra a entrambi che un imprevisto minimo potrebbe bastare a compromettere per sempre un lungo amore. Ma ecco che, mentre sparecchiano, uno dei due s’illumina in viso; si avvicina all’altro, lo abbraccia, ritrova di colpo l’affetto e l’eloquio smarriti: “C’è la nuova puntata di Federica!” esclama. Oppure: “Dobbiamo ancora vedere l’ultima Roberta!”. Federica sarebbe la Sciarelli, conduttrice di “Chi l’ha visto?”, e Roberta la Petrelluzzi diUn giorno in pretura”: l’una sempre in moto, trepidante, e l’altra che dopo aver montato con diabolica malizia le udienze dei processi si mostra invariabilmente immobile, quasi ieratica. Le puntate ancora da vedere salvano la serata, e renderanno più sciolti anche i futuri aperitivi con gli amici. Se a vent’anni si commentava la politica, a trenta si comincia a inseguire la cronaca nera.

 

È nota la funzione che dall’età moderna svolgono i feuilleton polizieschi – di sfogo, di droga, e di segreta rivalsa verso la vita. Meglio poi, fin dalle dispense sui grandi casi dell’Italia regia, se la sceneggiatura si trova già nella realtà. “Voi sgretolate, o belle, i pasticcini / Tra il palco e la galera”, verseggiava sdegnato Carducci, bersagliando le signore della buona società romana che accorrevano al processo Fadda ma esibivano la pruderie più ipocrita. Oggi quasi tutti siamo delle tricoteuses della nera, che ci raggiunge con una potenza e capillarità inaudite. Non per caso è dilagata a partire dagli anni 90, col crollo delle grandi narrazioni ideologiche e la drastica diminuzione della vita attiva, militante: le semplificazioni del giallo, che non finisce mai di complicare paradossalmente le cose per aggiungere una puntata in più, sono diventate la nostra Weltanschauung (e alcuni magistrati ne hanno preso atto).

   

Sediamo davanti allo schermo, nutriti dagli struggenti filmini delle vittime e dalle registrazioni delle agonie, ed elaboriamo sottilissime teorie sulla vasca del caso Vannini, sul destino di Roberta Ragusa, sulla psicologia del Benno Neumair ritratto dalla voce epica di Gianloreto Carbone, sui gesti del testimone muto che avrebbe visto la piccola Denise. Ma non facciamo solo questo: dalle deposizioni più atroci e pittoresche ricaviamo gif e meme, costruendo in tempo reale un universo parallelo dove non vale il teorema secondo cui “comicità uguale tragedia più tempo”.

   

 Franca Leosini (LaPresse)
   

È interessante notare come questo comportamento riguardi anche un pubblico giovane e colto – un pubblico che non si addormenta ormai né con Simenon né con Connelly, e che va su Netflix a cercare più docufilm terrorizzanti che serie ben fatte. Si tratta spesso di persone attentissime alla cosiddetta correttezza politica, e pronte a sottoporsi alle più aggiornate ortopedie culturali o linguistiche “per non offendere nessuno”. Se non hanno freni inibitori nel trattare come personaggi le persone in carne e ossa travolte da un’indagine, è forse perché stanno concentrando in quel punto tutte le pulsioni animalesche che reprimono altrove.

       
Catarsi aberrante, e senza fine. Se non baudelairanamente nella coscienza di fare il male, il piacere sta qui nell’abitudine a vederlo e memizzarlo. E non ci sono solo Federica o Roberta, o “La vita in diretta”: ora che buona parte del passato televisivo può tornare presente con un clic, molti recuperano l’Augias di “Telefono giallo”. La sua trasmissione garbata, retoricamente sostenuta e avvolta da un’aura british (“ecco un delitto da handle with care”) è più o meno pornografica di quelle sgrammaticate del 2020? Per rispondere non bisogna dimenticare che accanto ad Augias spuntava già come sua parodia la silhouette reaganiana di Franca Leosini. Nulla di più contemporaneo, pare, del suo eloquio anacronistico e kitsch. La sua popolarità odierna ci offre una grande, sinistra lezione: non c’è oggi figura grottesca che imponendo a lungo la propria presenza non finisca per essere presa seriamente. Mentre diffondevamo i meme con le sue frasi barocche credevamo di ridere della Leosini, e di esserle superiori; invece è lei a salvare le nostre cupe serate.