I due cerchi incrociati, qui ai propilei, motivo ricorrente nella Tomba Brion così come in tutta l'architettura scarpiana (da Wikipedia)

Fra vita e morte. La Tomba Brion di Carlo Scarpa

Francesco Stocchi

Lungo l’itinerario di memoria del monumento funerario a San Vito di Altivole

Isolato, nei pressi di un’area agricola, circondato dai colli asolani interrotti dall’imponente Monte Grappa, si trova il cimitero di San Vito di Altivole. Ci troviamo a pochi chilometri da Asolo, nell’alta pianura trevigiana. Percorrendo il vialetto del piccolo cimitero, si arriva alla tomba monumentale Brion uno dei capolavori assoluti dell’architettura modernista. Sarebbe forse più opportuno chiamarlo giardino sepolcrale Brion, questo complesso architettonico che abbraccia il cimitero tradizionale, dove vecchio e nuovo si incontrano in una comune dimensione di eternità. Nel 1969 Carlo Scarpa riceve l’incarico dalla vedova Brion, Onorina Tomasin, di onorare la memoria del marito, morto prematuramente l’anno precedente. Tra i pionieri dell’imprenditoria italiana e dell’elettronica del consumo in particolare, Giuseppe Brion fu fondatore della Brionvega, marchio tra i più raffinati e all’avanguardia, per il quale lavorarono i migliori designer dell’epoca. Nato per un mercato di nicchia, Brionvega ebbe successo in tutto il mondo divenendo uno dei simboli del design italiano degli anni 60.

 

Scarpa lavora al complesso monumentale per anni, fino alla sua morte accidentale nel 1978, realizzando forse la sua opera più complessa, punto più elevato del suo pensiero in fatto di materiali, concezione paesaggistica e sincretismo culturale (filosofia Zen e vetri di Murano non sono mai stati così vicini).

Nella visita al complesso sepolcrale, l’architetto veneziano disegna un itinerario di memoria che scorre con l’acqua e il cemento armato a nudo, elementi caratterizzanti di tutto il complesso strutturato a “L” ribaltata. Si giunge a una cappella, memoria collettiva dei propri cari e del proprio paese, seguita da un corridoio fatto di pertugi dove ritrovare la memoria personale, che conduce verso la tomba dei due committenti, Giuseppe e Onorina: due blocchi di cemento uno accanto all’altro, instabili benché pesanti, protesi l’uno verso l’altro. Un eterno squilibrio anima questa eccezionale concezione funeraria, dove la staticità lascia spazio all’idea dell’eterno in continua evoluzione. Dopo questo momento di raccolta, l’itinerario prosegue, svelando il punto più elevato del pensiero paesaggistico di Scarpa nel suo unico rapporto tra paesaggio e architettura. Sospeso da sottili pali dal profilo spazzato il padiglione della meditazione appare sospeso nell’aria volteggiando sull’acqua. Ai suoi piedi, riflessi nell’acqua, riusciamo a scorgere la tomba, il muro, le colline e le montagne. Il silenzio si fa raccoglimento mistico, la tranquillità contagiosa. Il percorso si conclude nell’accesso al cimitero tradizionale, avvolto dalla costruzione di Scarpa. Tra le due aree vi è un varco disegnato da due grandi fori, forse fedi nuziali intrecciate che offrono un collegamento emotivo tra i due diversi mondi. Da tutto il mondo si arriva per ammirarne questo unico complesso architettonico, itinerario tra la vita, la morte e l’idea che ognuno di noi si fa di eternità.
 

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