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La reciproca indifferenza di Europa e cristianesimo

Sergio Belardinelli

La tragedia culturale che stiamo vivendo è destinata a indebolire sia il fronte laico sia quello cattolico

Fu un’epoca bella e splendente quella in cui l’Europa era una terra cristiana e una sola cristianità abitava questo continente”: così scriveva Novalis nel 1799, all’inizio del suo celebre frammento su Die Christenheit oder Europa (“La Cristianità ovvero l’Europa”). In questa endiadi forse si esprime soltanto un ineffabile sogno romantico, ma proprio la distanza abissale che la separa dalla realtà culturale del nostro tempo potrebbe costituire un buon pretesto per riflettere su un problema che resta comunque decisivo: quello del rapporto tra il cristianesimo e l’Europa, appunto. 

L’Europa è certamente più che cristianesimo e il cristianesimo è più che Europa. Cultura ebraica, cultura greca, cultura romana, l’Illuminismo, insieme al cristianesimo, che certo svolge un ruolo fondamentale, fanno dell’Europa l’unicum che è. Quanto al cristianesimo, esso si è avvantaggiato certamente delle culture che ha incontrato sul terreno europeo, imparando da tutte qualcosa, al fine di dare forma alla sua missione universale. Ma non credo che i due concetti – cristianità ed Europa – possano essere, diciamo così, sovrapposti, né credo che oggi il problema sia quello della loro sovrapposizione o meno. Il problema è piuttosto quello della loro reciproca indifferenza e estraneazione, specialmente per quanto riguarda la cristianità nella sua accezione cattolica. Mentre il mondo ortodosso sembra sempre più ancorato al potere politico (una commistione non certo in linea con la tradizione laica occidentale), l’Europa dell’Unione non si cura più della chiesa cattolica e la chiesa cattolica non si cura più dell’Europa. Stiamo forse realizzando in questo modo i nostri ideali di laicità? Qualcuno potrebbe pensarlo, e in effetti lo pensa, non soltanto all’interno del mondo laico, ma anche all’interno della stessa chiesa, specialmente da parte di coloro che auspicano una definitiva emancipazione del cristianesimo dal suo retaggio ellenistico-europeo. Ma dal mio punto di vista siamo di fronte a una vera e propria tragedia culturale destinata a indebolire entrambi i fronti: sia quello laico che quello cattolico, anzi, quanto sta succedendo in Europa oggi (crisi demografica, crisi d’integrazione, insorgenze nazionaliste, mancanza di visione geopolitica, inadeguatezza nel gestire il rapporto col mondo islamico) è la riprova che i due fronti sono già molto deboli, asfittici, stanchi, incapaci di generare alcunché di significativo sia sul piano civile che su quello religioso. Nemmeno la pandemia sembra aver prodotto in proposito cambiamenti significativi. 
Il senso di una fede incarnata che sa farsi storia, cultura, nel modo semplicemente grandioso che vediamo nei monasteri, nelle cattedrali, nella pittura e nell’arte dei paesi europei; l’ideale dell’uomo europeo, unico e irripetibile nella sua libertà e dignità; questi aspetti non sono semplicemente incidentali per la fede cristiana; sono piuttosto il tramite che rende efficace l’evangelizzazione nella sua capacità di produrre forme di vita attraenti e più giuste. Né questi aspetti possono essere considerati un semplice strumento di evangelizzazione. Essi esprimono infatti anche un grande ideale laico che ha trovato le sue forme espressive più eloquenti nei saperi scientifici, nella tecnica, nella cultura e nelle istituzioni politiche delle liberaldemocrazie occidentali. Per questo la progressiva estraneazione tra la tradizione cristiana e quella laica rappresenta un problema molto serio. Leo Strauss direbbe che tale estraneazione rappresenta il segno della progressiva perdita di “vitalità” di entrambe le tradizioni. Atene e Gerusalemme, per dirla ancora con un’immagine straussiana, hanno smesso insomma di confrontarsi, hanno dimenticato che proprio dal loro “conflitto” è dipesa la grandezza dell’Europa e dell’occidente, e oggi sono afflitte entrambe dalla stessa crisi.

 

I dati statistici ci dicono invero che la maggior parte dei cittadini europei continua a credere in un Dio che ha le sembianze di quello cristiano, a considerare la religione una dimensione importante della propria vita, riconoscendole una preziosa funzione sociale in favore dei più poveri e dei più deboli. Ma il vero problema è che questo Dio, al di là delle sue pur apprezzabili declinazioni in termini di solidarietà sociale, non sembra più capace di incidere visibilmente sulla vita e sulla cultura dei popoli europei. E questo è ancora più preoccupante se pensiamo all’altrettanto precario stato di salute della cultura cosiddetta laica, in preda a sussulti di nichilismo e depressione, che potrebbero diventare brodo di coltura ideale per i fantasmi di sempre: fanatismo, risentimento, ostilità nei confronti della realtà e dei difficili equilibri su cui si reggono le impalcature dello stato di diritto liberaldemocratico.  Ritornando a Novalis, il suo ideale di una Europa cristiana era senz’altro velleitario. Ma siccome la strada che abbiamo intrapreso sembra deleteria sia per la fede cristiana che per la cultura laica, sarebbe forse il caso che su entrambi i fronti ci si ponga quanto meno il problema.

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