Foto Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse

Editoriali

Il G20 per rilanciare l'Unesco

Redazione

Sotto Audrey Azoulay niente più sbandate antisraeliane e obiettivi chiari

Inizia il G20 della Cultura a Roma, all’arena del Colosseo, dove si riuniranno i ministri delle venti economie maggiori del mondo e quaranta delegazioni. All’inaugurazione saranno presenti il premier Mario Draghi e la direttrice dell’Unesco, Audrey Azoulay. L’Unesco in queste ultime ore ha assegnato una serie di riconoscimenti al patrimonio italiano. La leadership dell’ex ministro della Cultura del governo di Manuel Valls, di origine marocchina, si è contraddistinta in questi anni per una sobrietà ideologica che è la cosa migliore che ci si possa aspettare dall’agenzia dell’Onu per la cultura e la scienza a lungo accusata di partigianeria.

 

Impossibile non ricordare che l’Unesco cinque anni fa ha cancellato tremila anni di storia ebraica di Gerusalemme. Per dirla con il quotidiano Haaretz, “è il giorno in cui l’Onu ha degradato il sito ebraico più importante al mondo al rango di una stalla”. La risoluzione su Gerusalemme era così inaccettabile che l’allora direttore dell’Unesco, Irina Bokova, e il segretario dell’Onu Ban Ki-moon, hanno ritenuto di doversi dissociare. Sotto la guida di Azoulay non si sono viste più simili sbandate antisraeliane.

 

Nei giorni scorsi, invece, l’Unesco ha chiesto conto alla Turchia di Erdogan della trasformazione della basilica-museo di Santa Sofia a Istanbul in moschea. Audrey Azoulay ha detto: “Santa Sofia è un capolavoro architettonico e una testimonianza unica dell’incontro fra Europa e Asia nel corso dei secoli. Il suo statuto di museo riflette l’universalità della sua eredità e ne fa un potente simbolo di dialogo”. E adesso che i talebani si riaffacciano nelle stanze del potere in Afghanistan c’è quanto mai bisogno dell’Unesco, visto che gli “studenti di Allah” vent’anni fa bombardarono in mondovisione i grandi Budda di Bamiyan. E, magari, l’agenzia dell’Onu troverà anche il coraggio di chiedere alla Cina che fine abbiano fatto migliaia di moschee nello Xinjiang, oggetto di un mostruoso progetto di “assimilazione” della cultura uigura. A questo serve l’Unesco.

 

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