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Dalla Russia

Il vero viaggio di prossimità, dalla poltrona al divano con bastone in mano

Marco Archetti

Il turismo a km zero non l’ha inventato il Covid. Leggere Brusilov e il suo "Il mio viaggio, ovvero Le avventure di un giorno”

Da caminetto (di casa propria) a caminetto (di casa propria): il turismo di prossimità non l’abbiamo inventato noi nell’estate 2020 come risposta resistenzial-turistica alla pandemia, ma ha goduto le massime sue fortune sulla pagina, e niente meno che in Russia, tra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo, quando la schiera dei dietroangolisti, ossia dei turisti del cantone – turisti millimetrici e umoristici – si infoltì al punto da trasformare il diario di viaggio, al culmine della popolarità grazie a Laurence Sterne, nella palestra prediletta per chi avesse voluto provare su strada le proprie forze narrative, in uno scenario ancora pre-romanzesco.

 

Nikolaj Brusilov, col suo "Il mio viaggio, ovvero Le avventure di un giorno” (Ibis, 113 pp., 9 euro), uscito nel 1797, ci ha lasciato un’opera tanto arguta da ridurre a pallido sottogenere ogni contributo ci sia capitato leggere l’anno scorso, quando alcuni giornali, blog e siti affidavano a svariate penne il compito di elaborare grotteschi elogi del Piccolo, del Poco, del Ravvicinato, del felicemente Decrescente, riuscendo a imprimere come memorabile, per lo meno nella memoria di chi scrive, il pezzo di un notissimo giallista che, con toni di comica e inconsapevole enfasi, invitava i lettori (blindati a tempo indeterminato, mentre fuori si contavano i morti) a scoprire quanto potesse essere “affascinante e misterioso” il loro appartamento, richiamando alla mente più Maccio Capatonda col suo Tg Quarantena – “Buonsera, da diverse ore, purtroppo, non si hanno più notizie di una sedia: il servizio” – che “Viaggio di mio cugino nelle sue tasche”, anonimo (e splendido) pamphlet umoristico diffusissimo all’epoca di Nikolaj Brusilov, che infatti lo cita.

 

Ma mettiamoci in viaggio, e per un tempo brevissimo (“Eternità! Terribile verdetto!”), con questo sconosciuto autore che la Storia della letteratura si è ingoiato senza risputarlo più – difficilissimo trovarne notizie o tracce da qualsiasi parte. E rimediamo, telegraficamente, come sarebbe piaciuto a lui: nato a Orlov (1782-1849), figlio di nobili e appartenente al Corpo dei Paggi, tenente dei Granatieri di Mosca a Smolensk e poi responsabile amministrativo a Pietroburgo, uomo di cultura liberale, fondatore di periodici e mensili, governatore di Vologda e membro dell’Accademia delle Scienze dal 1833, appassionato di numismatica e protagonista di una carriera letteraria durata niente meno che tre anni. 

 

In questo squisito librino, munito di un solo bastone da passeggio, decide di solcare il mare piccolo delle tre o quattro vie nei pressi di casa sua, senza farsi mancare le gradite sorprese: appena uscito, incappa subito in un’avventura galante (sì, v’è traccia di catcalling, ma si finisce a parlar di Metafisica, e poi – ma solo poi – stesi su un divano). E così, altalenando mozartianamente tra toni idilliaci e riflessioni alte (“Beato il mortale che è lontano dalla vanità del mondo!”), tra anticlimax e parodie dell’ottimismo scientifico (“chi può escludere che i palloni aerostatici non portino alla comunicazione con altri pianeti?”), ecco che ci porta a spasso, in lungo e in largo – ma non troppo – in questa eccentrica promenade, Grand Tour Minimo (l’unico viaggio “non rovinoso per le tasche”) le cui stazioni di posta sono luoghi notissimi per il lettore dell’epoca. 

 

“Fino ad ora, il vecchio o l’infermo che non fosse in condizioni di rizzarsi dal letto, non avrebbe potuto intraprendere viaggio alcuno”, chiarisce Brusilov, e aggiunge: ma è cominciata una nuova èra, non è più necessario girare “setacciando l’Africa o la Cina”. E così pranza, disserta (“Non v’è nulla di meglio del filosofeggiare dietro una tazza di caffè!”), passeggia, si dilunga, e infine se ne torna al camino di partenza. Ci congeda con un invito alla gratitudine da scolpire nella pietra: “Se il mio viaggio fosse durato una settimana, oh amabile Lettore, il mio libro sarebbe stato sette volte più voluminoso. E io ti avrei annoiato dieci volte di più”.

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