il foglio del weekend

Judith Butler, la papessa Zan

La filosofa-star che ha lanciato la grande rivoluzione del gender. La sua teoria è diventata battaglia politica in Italia

Giulio Meotti

Intervista a Jean-François Braunstein, filosofo alla Sorbona: "In Butler c'è una radicale oscurità che seduce. E un ritorno alla Gnosi cristiana, l'odio per il corpo e il sesso biologico"

I suoi testi sono astrusi, un verbiage indecifrabile, ma l’impatto del suo pensiero è impressionante e coinvolgente. E’ la professoressa di Berkeley che ha cambiato radicalmente il discorso sulla differenza e l’identità di genere, compresa l’Italia con la legge Zan. Fa il pieno di studenti e le sue idee sono state citate e attaccate anche dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2004. In due libri dei primi anni Novanta, Judith Butler ha presentato una nuova concezione del gender. C’è una moltitudine aperta di generi che non sono vincolati alla distinzione biologica tra donne e uomini. Il sesso per Butler non è un fatto anatomico, ma creato dalla parola. Come nota Sylviane Agacinski, celebre femminista e sua critica, “per Butler tutto diventa effetto della parola, compresi i corpi stessi, come se la parola potesse avvolgere la vita e, in una certa misura, anticiparla”.

La sua vocazione eterodossa nasce da quando con un rabbino della sua scuola di Cleveland l’allora quattordicenne Judith studiava l’esclusione di Spinoza dalla sinagoga di Amsterdam, mettendola in discussione. Butler oggi è una delle icone del boicottaggio di Israele, tanto che l’assegnazione del Premio Adorno da parte della città di Francoforte ha provocato proteste indignate dal Consiglio centrale degli ebrei tedeschi. Nel 2006, a un sit-in a Berkeley, Butler disse che “bisogna capire Hamas e Hezbollah come movimenti sociali progressisti, di sinistra, che fanno parte di una sinistra globale, è estremamente importante”. Poi ha precisato che, pur combattendo “il colonialismo”, quei movimenti usano mezzi non giustificabili.

Gender Trouble”, pubblicato nel 1990, ha reso Butler una star. Ha introdotto la “performatività”, l’idea che il genere sia qualcosa che facciamo continuamente. Una grande erudizione nata da una borsa di studio di un anno a Heidelberg, in Germania, dove è andata a studiare con Hans Georg Gadamer. Butler avrebbe poi attinto dalla French Theory, Foucault, Lévi-Strauss, Lacan, Irigaray, Wittig, Kristeva e de Beauvoir. Jack Halberstam quando è uscito “Gender Trouble” ricorda il libro come una rivelazione, una fuga dal “soffocamento” della politica identitaria dell’epoca. “Il femminismo accademico era pieno di problemi a quel tempo basati su frasi come ‘il personale è politico’, che aveva portato le persone a sedersi in cerchio tenendosi per mano e raccontandosi le proprie vite”, ha detto Halberstam. “‘Gender Trouble’ ha dato alle persone un modo di pensare in modo critico, filosofico, su cosa significa essere in una lotta politica in cui la categoria della femminilità, piuttosto che tenere insieme e coesistere, potrebbe benissimo frantumarsi e cadere a pezzi”.

La filosofa Martha Nussbaum non è d’accordo e ha scritto un lungo saggio su Butler per il New Republic, dove scrive che Butler sta ignorando la “sofferenza materiale delle donne affamate, analfabete, violentate, picchiate” a favore di una ossessione “narcisistica sull’autopresentazione personale”. Butler, ad esempio, è a favore della prostituzione: “Non sono convinta che tutta la prostituzione sia forzata”, ha detto. “E’ una scelta che le persone fanno a determinate condizioni economiche. E posso pensare a molte forme di lavoro in cui le donne potrebbero non piacere molto, che desidererebbero avere un’altra serie di opzioni, ma non sono sicuro che la prostituzione sia la peggiore di loro. E credo che lo chiamerei lavoro sessuale piuttosto che prostituzione”. E’ arrivata a Berkeley dopo che “Gender Trouble” le ha aperto la strada. Nella Bay Area vive oggi con Wendy Brown, anche lei professoressa di Scienze politiche a Berkeley. 

“L’immensa fama di Judith Butler, negli Stati Uniti e poi ovunque nel mondo, si spiega senza dubbio con il carattere di ‘radicalità’ e ‘sovversione’ sotto il quale le piace presentare il suo lavoro” spiega al Foglio Jean-François Braunstein, docente di Filosofia alla Sorbona di Parigi e specialista di Foucault. Ad accomunarla a Butler è anche il fatto che Braunstein le ha dedicato un capitolo di “La Philosophie devenue folle: le genre, l’animal, la mort”. “Si dice che Butler abbia messo fine alla visione tradizionale della sessualità basata sulla coppia eterosessuale e che abbia finalmente permesso la liberazione di identità sessuali che erano state dominate o represse fino ad allora. Judith Butler è quindi prima di tutto un idolo degli attivisti gay e lesbiche, ma anche degli attivisti queer e transgender. La sua incredibile popolarità è dovuta anche alla doppia natura della sua opera, sia politica che filosofica. Butler è sia un’attivista per tutte le cause femministe e gay sia una delle fondatrici della teoria queer, che mira a mettere in discussione le identità maschili e femminili, gay e lesbiche. Parla spesso del trauma di fare coming out in una famiglia ebraica tradizionale. Si è anche espressa contro le politiche antiterrorismo americane post 11 settembre, così come contro le politiche israeliane, che lei critica severamente in nome della sua ‘identità ebraica’. Ma  Butler non è solo un’attivista, è anche una filosofa di formazione, originariamente specializzata in filosofia tedesca, da Hegel alla Scuola di Francoforte. Le sue opere sono spesso piuttosto ‘tecniche’, condite di riferimenti alla ‘teoria francese’ (Derrida, Foucault) e alla psicoanalisi (Lacan). Ma sembra che questa oscurità sia essa stessa intesa ad evitare un ‘linguaggio normalizzato’. Come nota Butler in ‘Gender Troubles’, ‘chi decide i protocolli di ‘chiarezza’ e a quali interessi servono?’. Questa deliberata oscurità è senza dubbio uno degli elementi che rende le tesi di Butler così seducenti; la difficile impresa di leggerla dà la sensazione di accedere a un livello di verità superiore alle verità del senso comune. Bisogna aggiungere che Judith Butler è un’oratrice incantatrice, in senso letterale, che esercita una forte influenza su un pubblico che è stato comunque conquistato in anticipo”.

C’è qualcosa di incendiario nella sua visione. “La grande idea di Judith Butler è che la propria identità non è legata al proprio sesso biologico ma al proprio ‘genere’, cioè alla sensazione che si ha di essere maschio o femmina, o eventualmente a questo o quell’altro genere. Ciò che conta per definirci non è più il nostro sesso biologico ma il genere con cui ci identifichiamo. In questo senso, Judith Butler fa parte di un profondo movimento di emancipazione, o più precisamente di evaporazione, del corpo che iniziò negli anni Cinquanta con lo psicologo John Money. E’ stato il primo a usare il termine ‘genere’ per designare la sensazione che si ha di essere un ragazzo o una ragazza, indipendentemente da qualsiasi substrato biologico. Per Money, ‘il comportamento e l’orientamento sessuale, maschile o femminile, non hanno una base innata, istintuale’ e deve essere possibile, crescendo un bambino come una ragazza, farlo diventare una ragazza. La sua teoria, dapprima lodata come rivoluzionaria, si rivelò in pratica un completo fallimento, con conseguenze disastrose, per il giovane ragazzo che era stato curato da Money. Ma ora è stato lanciato il movimento di emancipazione di genere. Dopo Money, la biologa Anne Fausto-Sterling è arrivata a contestare la binarietà sessuale della specie umana. Non ci sono due sessi, ci sono un numero infinito di generi: ‘Anche se la morfologia e la costituzione dei corpi sembrano confermare l’esistenza di due e solo due sessi, niente ci autorizza a pensare che i generi debbano essere limitati a due. La biologia che si ostina a pensare che ci siano due sessi e che la riproduzione nella specie umana sia sessuale è una scienza falsa, virilista e patriarcale’. Infine, per Butler è ormai il genere che determina non solo il sesso ma anche il corpo. Nel suo libro più famoso, Butler mira prima di tutto a recidere qualsiasi legame tra genere e sesso biologico. Il genere non deve essere visto come la ‘forma’ di una ‘materia’ preesistente che sarebbe il sesso: ‘non si può dire che i corpi abbiano un’esistenza significante prima del marchio del genere’. Infatti, se dovessimo ammettere che i sessi e i corpi hanno un’esistenza oggettiva, sarebbe la fine delle teorie di Butler. Secondo lei, è il genere che costituisce il sesso: ‘i presunti fatti naturali del sesso’ che la biologia pretende di imporci sono in realtà al servizio di interessi ‘politici e sociali’. I modelli dei corpi stessi sono costruiti da ‘discorsi’ e ‘poteri’. E’ dunque il genere che ‘esegue’ il sesso, come Butler mostra con il famoso esempio della drag queen che fa esistere in forma iperbolica ma anche parodica il genere che rimette in scena”.

 

Ma dovremmo andare oltre. “Dopo aver negato l’esistenza fattuale del corpo in questo modo, dovremmo poi attaccare il genere. E’ necessario, secondo il titolo delle opere di Butler, ‘disturbare il genere’ o ‘disfare il genere’. L’identità di genere non dovrebbe essere stabile e sarebbe auspicabile poter passare da un genere all’altro a piacimento. Questo ideale di ‘fluidità di genere’, di ‘deriva’ da un genere all’altro (gender drifting), sarebbe quindi il futuro luminoso dell’umanità. Avremmo così finito con il sesso e con il corpo, ma anche con qualsiasi identità fissa. E’  sorprendente ma questo disprezzo contemporaneo per il corpo non può che evocare la Gnosi, l’eresia cristiana del secondo secolo, che considerava il corpo come una prigione o una tomba da cui ci si doveva liberare. Slavoj Zizek ha giustamente parlato di ‘cybergnosi’ in relazione a questo disprezzo contemporaneo per il corpo così come per il sesso”.

Secondo Braunstein, le conseguenze sociali e culturali se questa visione diventasse egemonica sarebbero immense. “Viviamo già in un mondo che è stato plasmato dalle idee di Butler e di altri teorici del genere. Gli attivisti del genere sono ora estremamente attivi, non solo nel mondo accademico ma nella società in generale. Possiamo vedere che il termine ‘genere’ tende ora a sostituire il termine ‘sesso’ in molte istituzioni internazionali, che sono ampiamente penetrate da attivisti pro-gender. Il termine stesso ‘donna’ tende a essere cancellato, il che scandalizza molte attiviste femministe classiche che deplorano, per esempio, il fatto che i concorsi femminili siano ormai destinati a scomparire nei paesi in cui sono aperti a transgender  maschi che si dichiarano donne e le cui prestazioni non sono paragonabili a quelle delle donne. Questa nozione di genere sta penetrando nelle scuole, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa: in Scozia, ai bambini delle scuole elementari di cinque o sei anni viene insegnato che ‘il tuo genere è una tua scelta’. Si può facilmente immaginare la perplessità dei bambini di fronte a questi imperativi incomprensibili a un’età simile.

E il personaggio ‘transgender’ è ormai diventato il nuovo eroe del nostro tempo, perché è colui che è riuscito a liberarsi da tutte le determinazioni, compresa quella più fondamentale, la differenza sessuale. E’ questa dimensione di ultima emancipazione che è l’ammirazione del nostro tempo. Le reti sociali e le industrie culturali ne stanno approfittando, con la conseguente esplosione del numero di bambini e adolescenti transgender. Nel Regno Unito, l’aumento dei casi trattati dal sistema sanitario nazionale all’interno del Gender Identity Development Service (Gids) è spettacolare: da 97 nel 2009-2010 a 2.590 nel 2017-2018. Bambini molto piccoli entrano in ‘percorsi di transizione di genere’ medicalizzati e forse chirurgici, senza che si faccia mai riferimento a un minimo principio di precauzione. Eppure alcuni giovani vogliono ora ‘detransitare’ per tornare al loro genere originale, e alcuni psicoanalisti stanno cominciando a organizzarsi per resistere a questa moda catastrofica. I pediatri americani hanno avvertito che ‘l’ideologia di genere fa male ai bambini’. Ma più in generale, al di là di Butler, lo scollamento tra sessualità e procreazione sta diventando sempre più importante nelle nostre società. In Francia in particolare, le leggi di bioetica tendono a rendere questo tipo di procreazione artificiale la regola. Non abbiamo idea di quali saranno le conseguenze civili di questa cancellazione radicale dei luoghi distinti di ‘padre’ e ‘madre’. Possiamo anche immaginare che la sessualità, tradizionale o meno, cadrà in disuso a vantaggio di altre forme di godimento più virtuali e narcisistiche. La liberazione radicale da ogni determinazione corporea che è evidentemente l’obiettivo finale della teoria del gender rischia così di avere tutta una serie di conseguenze che sembra difficile immaginare oggi”. C’è un fantasma che fluttua intorno all’istituzionalizzazione globale dell’identità di genere. Il suo nome è transumanesimo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.