Facce Dispari

Bruno Battisti D'Amario, la chitarra esoterica di Morricone

Francesco Palmieri

Dagli inizi, quasi di nascosto, alle grandi colonne sonore. Rota, Trovajoli, Piovani. I segreti di una musica in sintonia vera con la regia

Morricone disse di lui che “trovava dei suoni eccezionali”. Perciò quando Sergio Leone ribaltò la storia del cinema, per fare inaspettatamente dell’eroe Henry Fonda il cattivo dei cattivi in "C’era una volta il West’, Ennio affidò alle dita di Bruno Battisti D’Amario la pittura sonora della scena. La chitarra elettrica distorta che introduce Frank nella scena del massacro dei McBain, raccontò Morricone al biografo Alessandro De Rosa, “doveva arrivare la prima volta come una lama che ferisce le orecchie del pubblico”. Così si rivolse al maestro Battisti D’Amario: “’Fai come vuoi, Bruno, ma quel suono deve essere una spada’, gli dissi, e quel timbro risultò ancor più tagliente per via del fatto che prima non c’era musica, ma solo silenzio”.

 

Romano di Roma nord, ottantaquattro anni a ottobre di cui quasi settanta dedicati alla musica, è per un suono che gli penetrò nell’animo e gli è rimasto ancora infisso che il maestro Battisti D’Amario si votò alla chitarra. Può raccontarlo?

Un giorno, avevo dieci anni, andai a trovare mio nonno materno. Lui prese la chitarra e mi fece ascoltare un pezzo di Francisco Tárrega. Rimasi stupito e ammaliato da quel suono, mi suscitò una vibrazione interiore che neanche ora ho dimenticato. Quel magico suono che ogni uomo dovrebbe trovare dentro se stesso.

 

Suo padre, musicista, assecondò la sua aspirazione?

Al contrario. Mi osteggiò decisamente. Lui era primo violino dell’orchestra b della Rai di Roma e non voleva che facessi il musicista. Quando aprirono una cattedra sperimentale di chitarra al conservatorio di Santa Cecilia, cominciai a frequentare le lezioni di nascosto. Poiché si tenevano nel pomeriggio, lasciavo credere a mio padre che andassi al cinema.

  

Che anni erano?

Parliamo del ’55, ’56. All’epoca la chitarra, in Italia, era considerata ancora uno strumento troppo popolare, da barbieri… Era difficile procurarsi persino i testi di studio. Per fortuna nell’orchestra con mio padre c’era Mario Gangi, forse il più grande chitarrista italiano, che cominciò ad aiutarmi. Mi procurò il metodo di Dionisio Aguado ma soprattutto fece accettare a papà l’idea di avere un figlio chitarrista.

 

Come ci riuscì?

L’orchestra Rai doveva partecipare a una trasmissione a Tivoli, Gangi diede forfait e mi chiese di andare al posto suo. Io avevo paura di trovarci mio padre ma lui mi assicurò che la sezione archi non sarebbe venuta. Capii che era una bugia quando vidi arrivare il pullman della Rai con mio padre… Quella sera cantava una celebrità dell’epoca, Achille Togliani, e l’arrangiamento del maestro Gino Filippini prevedeva su una canzone un assolo di chitarra: lo avevo ripetuto decine di volte e lo sapevo a memoria, ma al momento di suonarlo intravedo mio padre, dietro di me, che s’alza e esegue lui l’assolo col violino. Era troppo preoccupato che potessi sbagliare. Ma a partire da quel giorno, si ammorbidì e cominciò la mia carriera di concertista, poi quella di docente in molti conservatori italiani.

 

Come ricorda i chitarristi di allora?

Ce n’erano pochi, i più bravi erano i jazzisti, ottimi improvvisatori ma che spesso non sapevano leggere la musica.

 

Quando conobbe Morricone?

Lui era più grande di me, ma quando ci ritrovammo negli studi della Rca, che all’epoca non erano ancora sulla Tiburtina ma a Cinecittà, ricordammo di esserci già visti a Santa Cecilia. Aveva scritto arrangiamenti per chitarra per alcune canzoni e rimase contentissimo della mia esecuzione, perciò da allora mi chiamò sempre.

 

Aveva già inserito la chitarra elettrica in orchestra.

Sì, era una idea che già prendeva piede. Io mi incuriosii della chitarra elettrica grazie a Enrico Ciacci, il fratello del cantante Little Tony, che era un bravissimo esecutore. Riportò dall’Inghilterra la prima chitarra Fender, mi piacque e ne comprai una anch’io.

 

Quale modello?

La Fender Jaguar: aveva magneti particolari che potevano riprodurre diversi timbri interessanti. Per le chitarre classiche invece sono rimasto fedele alle Ramirez e alla Fleta, che suonava anche Segovia: suono dolcissimo, con grande proiezione.

 

Indimenticabile la sua chitarra anche in "Per un pugno di dollari".

Morricone volle inserire la chitarra elettrica, che in quel film però suonava Sandro Alessandroni, diventato celebre per il suo fischio. Io lì suonavo la chitarra classica del motivo portante.

 

Lei ha suonato nelle colonne sonore di Morricone, Rota, Trovajoli, Piovani. La domanda è consunta ma gliela devo fare: quanto conta la musica in un film?

È fondamentale, però dipende dall’intelligenza del compositore riuscire a entrare nello spirito del film e capire cosa vuole davvero il regista.

  

Come ricorda Morricone?

Una persona semplice, a suo modo direi persino umile, che sapeva perfettamente cosa voleva dalla musica. Con i musicisti era buono ma severo: ho visto piangere parecchi esecutori. Quando ho studiato con lui composizione mi ha insegnato tante cose: scriveva la prima nota e l’ultima.

  

Nino Rota?

Un altro genio. Meno severo di Morricone, gentilissimo. Qualche volta arrivava in sala di registrazione senza avere scritto, guardava gli anelli del film assieme a Fellini e buttava giù lì per lì le parti che poi distribuiva all’orchestra. A lui mi accomuna la passione per l’esoterismo: Rota aveva una enorme biblioteca esoterica e sia lui sia Fellini coltivavano l’amicizia per il grande psicoanalista Emilio Servadio, dal quale si facevano consigliare.

  

Rota disse di lei che apprezzava la sua “preparazione tecnica, musicalità pronta e duttile, bellezza di suono”.

Sì, ma purtroppo non abbiamo mai scambiato idee sull’esoterismo, perché non amava parlarne nell’ambiente musicale.

 

Armando Trovajoli?

Un ‘romano de Roma’. Un gradino sotto Morricone e Rota, ma ci si può stare… Un grande pianista, e questo si sente dietro le sue composizioni e la sua ricerca armonica. Più jazzistico, più moderno di Morricone e Rota.

 

Bruno Maderna?

Bravissimo direttore. Con lui eseguii un arrangiamento interessantissimo per chitarra e voce da Brecht. Cantava Milly, una grande voce semidimenticata. Quegli arrangiamenti sono da qualche parte ancora negli archivi della Rai.

 

Piovani?

Bravo, bellissima la musica di ‘La vita è bella’.

 

Lei ha scritto un libro, e ha composto musiche, sugli arcani maggiori dei Tarocchi. Uno studio complesso che trasferisce sul pentagramma i princìpi delle scienze occulte. Come coniuga esoterismo e musica?

Ho approfondito lo studio dei Tarocchi grazie a mio fratello, che non era un musicista ma un dirigente della Fonit Cetra e mi consigliò i primi testi. Capii che si trattava di un viaggio che doveva condurre a un risultato importante, proprio come la musica, che ci accompagna lungo un percorso interiore che non finisce più. È esoterica per sua natura. Così ho messo insieme le cose.

 

Il veggente Gustavo Rol sottolineava l’importanza dell’intervallo di quinta.

Moltissimi temi musicali cominciano con un intervallo di quinta. E Gurdjieff parlava del salto di ottava corrispondente a un salto di qualità. Ma anche le tonalità sono importanti, basta riascoltare Mozart e Beethoven per capire che avevano una percezione esoterica della musica. Però la valenza delle armonie è diversa per ciascuno di noi. Ci sono elementi caratteriali, predisposizioni ambientali, di nascita o ancora più antiche che ci inclinano diversamente.

 

Suona ancora?

In pubblico non più, perché siccome so bene come deve riuscire un suono se non viene perfettamente mi dà fastidio. Suono per me e compongo ancora musica.

 

A quali tra i suoi brani è più affezionato?

Uno che s’intitola "La fonte", uscito in disco con un oboista molto bravo. Poi la Piccola suite per chitarra.

 

Le sue figlie suonano entrambe: con loro fece come suo padre o le incoraggiò?

Feci studiare a tutt’e due un po’ di pianoforte, poi smisero. Ma qualche anno dopo vollero cominciare seriamente: Virgina la chitarra e Silvia la viola, che è lo strumento di mia moglie. Che macello a casa, quando provavamo in quattro…