Pagina 69

Pesci e piedi ammollo. "L'acqua del lago non è mai dolce"

Mariarosa Mancuso

Chi mai comprerà il romanzo di Giulia Caminito con quella copertina? Meglio sorvolare 

Nella nostra testa di lettori che leggono per piacere – non esiste un bel romanzo noioso, la categoria proprio non si dà, con tanti saluti al “bisogna sapersi annoiare” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa – il romanzo di Giulia Caminito è “quello con i pesci e i piedi a mollo”. Non ridete, è una faccenda seria. Come si può concepire una copertina con una ragazza dai capelli rossi seduta sul letto della cameretta, a fianco un comodino, e i piedi a bagno in un’acqua fangosa con pesci e foglie secche? Tocco d’artista: la lampada riflessa nella pozza. Chi comprerà mai “L’acqua del lago non è mai dolce”? (Bompiani). Cosa può aspettarsi il lettore da un’immagine simile?

 

La fascetta “Finalista al premio Strega” – doppia, la scrittrice gareggia anche al premio Campiello, presidente della giuria Walter Veltroni, lì ritroverà Andrea Bajani con “Le case degli altri” –  adesso copre pesci e acqua fangosa (già i piedi non si vedevano). Netto miglioramento. Nella cinquina è arrivata quarta, con 215 voti, dopo le altre due signore, Edith Bruck e Donatella Di Pietrantonio (quest’anno niente lamenti, ma alla prossima cinquina con soli due maschi saranno loro a protestare – pubblicamente, intendiamo: qualche mugugno privato si è sentito).

 

Dunque procediamo, dritti a pagina 69. Scansiamo il risvolto che attacca “Odore di alghe limacciose” e poi parla di una donna fiera e onesta che si occupa di un marito disabile e di quattro figli. “Fiera e onesta” è un modo non violento per dire “povera”, assieme a casa popolare fa immediatamente neorealismo (e pure Anna Magnani, modello mai superato di donna italiana). Scansiamo anche le social-lettrici che lodano il libro dicendo “unica, ficcante, acuta e illuminante”. Per poi svelarsi, una riga dopo: ‘L’acqua del lago non è mai dolce’ si avvicina al mio esordio”. Ecco, buono a sapersi.

 

Parla una ragazza, vestita da maschio: “Io ho la mia felpa sformata, e il cappuccio tirato su che mi copre capelli, orecchie e mezza fronte”. All’autoscontro, ha finito i gettoni, ma prima si intuisce un altro scontro, con un maschio. Vittorioso, con strane conseguenze: “Uso un tono stretto, stridulo, di una voce che forse prima non m’è mai appartenuta, ma che da quando ho vinto la battaglia con Alessandro m’è scesa nella carotide”. Sorvoliamo sulla questione dell’appropriazione vocale, ai danni del giovanotto. La pagina si chiude pacificamente sugli orsi rosa del luna park (tipica scena da film americano, tirano qualche colpo, poi la ragazza si allontana abbracciando un peluche enorme).

 

In cerca di lumi, andiamo alla nota dell’autrice che parla di “tre personagge” (lo mette in corsivo ma il brivido resta) e poi per ogni “personaggia” (aiuto!) spiega da dove viene l’ispirazione. La triste storia di una donna che cerca una casa per la sua famiglia. La migliore amica morta. E infine l’autrice medesima: “I dolori che ho circumnavigato e quelli che ho attraversato”. Segue una lista di ringraziamenti, più “qualche verità” lunga una pagina e mezza. Gli scrittori bravi rubano e scappano, mica ringraziano.

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