(LaPresse)

La bellezza ci salverà? Solo se tornerà a essere una forma uguale per tutti

Maurizio Crippa

La dittatura del gusto etico, la natura e la spirale aurea

Scrisse Origene: “Sappi che sei in piccolo un altro mondo e che in te sono il Sole, la Luna e le stelle”. O almeno così riporta Juan Eduardo Cirlot, esoterico surrealista catalano, nel suo Dizionario dei simboli ripubblicato di recente da Adelphi. La voce è “Macrocosmo-Microcosmo”, la “relazione tra l’universo e l’uomo, considerato misura di tutte le cose”.  Un simbolo che allude a un’intima armonia e che è stata per vari millenni una chiave interpretativa del mondo. Si potrebbe dire, quasi: la formula magica della sua forma. Viviamo in tempi informali, in cui dalla forma linguistica al galateo all’interpretazione dei codici non si sta troppo a sottilizzare: basta che funzioni, e in ogni caso uno vale uno. Ma sarebbe più esatto dire: la mia sensibilità vale uno, e il resto nulla.

 

Nulla da eccepire e poco da aggiungere a quanto scritto ieri da Giuliano Ferrara a proposito del “lookism”, ultima frontiera di una gogna sociale da abbattere, individuata dal New York Times, secondo cui “le persone brutte vengono discriminate”. Certo, bisognerà evitare per quanto si può la discriminazione in base all’aspetto fisico. Ma, nota Ferrara, è impossibile e poco saggio impedire agli individui di discernere tra una persona più bella e una cui la Natura matrigna ha donato di meno. Escludere questa immediata corrispondenza di giudizio dal novero delle possibilità – per una sorta di ostracismo applicato a idee che non piacciono più – è una forzatura bislacca. Nulla da aggiungere, se non che si può allargare la portata del ragionamento. È vero che questo rifiuto di giudicare è figlio di una dogmatica del relativismo, che considera il giudizio come un attentato all’uguaglianza, ma c’è anche altro. E’ negare la realtà fattuale che il bello e il brutto esistono in natura, sono riconoscibili e lo sono sempre stati. Faremo l’esempio più banale. Anche l’ultimo “barbaro” (la parola greca che indicava, senza troppa correttezza, gli stranieri ignari di greco) messo davanti al Partenone ne sapeva cogliere la bellezza. Perché ne coglieva l’armonia anche ignorando il calcolo della spirale aurea.

 

Una proporzione matematica, misteriosa e sublime, che i greci conoscevano come principio regolatore delle forme della natura. Le statue di Fidia non ritraevano una bellezza perfetta perché i greci classici avevano stabilito, prima, le regole inclusive di cosa dovesse essere la bellezza: no, riproducevano l’armonia intuita delle proporzioni auree. Erano tutti così belli, i greci? Certo che no. E i greci brutti erano discriminati per il loro aspetto? Tolto Tersìte che Ulisse magnificamente bastona, tutti tutti probabilmente no. Ma tutti, da allora, sono stati in grado di riconoscere che quei corpi, o quella ipostatizzazione dei corpi, fossero belli. Ideale cui aspirare, e soprattutto da usare a per misura di chi o cosa si avvicini al bello, e cosa no. È discriminatorio, tutto questo? No, almeno se si tiene conto, e qui lo si dirà volutamente in modo grossolano, di quel principio di armonia che da sempre guida la nostra percezione delle forme. Più o meno la sequenza medievale di Fibonacci.

 

Le simmetrie delle forme naturali, delle foglie, dei fiori. Non so dire se tutte le sequenze di Fibonacci siano esatte, ma persino i frattali rispondono a forme che si replicano con simmetrie interne. Sarà per questo che riconosciamo la bellezza di un albero, la maestosità di un felino, o persino l’armonia della musica? Sì, e non si starà a negare che per l’ipotetico aborigeno della Papuasia, o Casalinga di Voghera che dir si voglia, che non abbia mai ascoltato Spotify certi suoni potrebbero risultare cacofonici. Ma per limitarci al mondo globale come lo conosciamo, sappiamo che chiunque veda la Venere di Milo o Marilyn vestita di due gocce di Chanel non può non riconoscere un’armonia che non lo discrimina, seppure mai la possiederà. Il risentimento contro i belli, dopo quello contro i i ricchi e i bianchi, è l’ultima frontiera di un risentimento contro la Natura. I canoni sono fatti per per essere cambiati, come dice Peter Fischli nella bella conversazione con Francesco Stocchi sul Foglio Arte della scorsa settimana. Ma forse davvero la bellezza ci salverà: se però sarà riconosciuta come una forma che esiste in sé.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"