Oltre la musica
Imagine per sempre
Cinquant’anni fa usciva il capolavoro di John Lennon. Tra pacifismo e comunismo, l’inno dei popoli è ancora uno dei più ascoltati al mondo
Il 27 maggio del 1971 era un giovedì. Phil Spector, volpone del pop scomparso pochi mesi fa, si approcciò alla canzone con sapiente mestiere ma anche con rispetto. “Ho sempre pensato che fosse come l’inno nazionale”, avrebbe detto anni dopo il mitico produttore newyorchese. Uno studio di registrazione era stato allestito a Tittenhurst Park, vicino ad Ascot, la residenza da sogno dove John Lennon si era trasferito con Yoko Ono e dove la coppia visse un paio d’anni prima di traslocare in America, quell’America da cui Lennon non avrebbe mai più fatto ritorno in Inghilterra. In quella magnificente residenza, una specie di Downton Abbey con parchi e laghetto che sarebbe diventata poi la casa di Ringo Starr, Lennon lavorò negli Ascot Sound Studios alla registrazione del suo nuovo album. I Beatles si erano ufficialmente sciolti ormai da un anno, il primo – ottimo – disco da solista di Lennon, passato alla storia come l’album del “grido primario”, perché ispirato alle teorie dello psicologo statunitense Arthur Janov, era stato accolto abbastanza bene. Ma adesso l’ex Beatle voleva provare qualcosa di diverso. E quel giovedì entrò nello studio di registrazione con un paio di fidatissimi musicisti, Spector e Yoko Ono, per incidere quella che sarebbe diventata la sua canzone di maggiore successo, un brano che per fama e gloria avrebbe superato anche i suoi successi con i Beatles (quello che mai riuscì a Paul McCartney nella sua pur grandiosa carriera da solista). La canzone era “Imagine”, fu registrata in un giorno solo, quel giorno di maggio di cinquant’anni fa. Tranne gli archi, che vennero sovra incisi il 4 luglio successivo al Record Plant di New York City. Il mondo avrebbe conosciuto quel brano divenuta icona del Ventesimo secolo soltanto a ottobre quando l’album omonimo sarebbe stato pubblicato, ottenendo uno straordinario successo di pubblico, il più grande successo mai raggiunto da Lennon dopo i Beatles.
Le cronache parlano di una registrazione “rilassata e informale”, che ebbe inizio a metà mattinata e si protrasse fino all’ora di cena. Spector tentò di registrare la parte di piano di Lennon nella “stanza bianca” dove era il pianoforte a coda della coppia. Ma, dopo un’ora di prove, ci si rese conto che l’acustica della stanza non andava bene, e il produttore – che aveva già lavorato con i Beatles nel loro ultimo disco “Let it be” imbottendo di arrangiament altisonanti il sound del quartetto di Liverpool – abbandonò l’idea in favore dello studio. Vennero incise tre take del pezzo, e fu la seconda a essere scelta. Con Lennon suonavano due sue conoscenze. Il batterista era Alan White, affidabile session man che aveva lavorato alla Apple e aveva suonato con la Plastic Ono Band di Lennon. Al basso c’era il vecchio amico tedesco di John Klaus Voorman. I Beatles lo avevano conosciuto ad Amburgo, quando prima di diventare famosi suonavano nella città tedesca. Klaus era all’epoca fidanzato con Astrid Kirchherr (morta l’anno scorso), la fotografa che suggerì ai ragazzi inglesi di adottare il celeberrimo caschetto. Voorman era un musicista ma anche un pittore. Disegnò lui la famosa copertina di “Revolver”, il disco del 1966 dei Beatles, un lavoro raffinato premiato con un Grammy. E suonò il basso in diversi dischi dei suoi vecchi amici di Liverpool, non solo Lennon ma anche Harrison e Starr.
Lennon e Ono co-produssero la canzone. Anni dopo, John ammise che anche nella fase creativa c’era stato lo zampino della moglie giapponese, che a suo dire avrebbe meritato di essere accreditata come coautrice. Lennon definì la composizione di “Imagine” all’inizio del 1971, su un pianoforte Steinway nella sua camera da letto a Tittenhurst Park. In quella specie di reggia da milionari del Berkshire, Lennon tirò fuori quel testo che lui stesso avrebbe definito imparentato col manifesto del Partito comunista. Yoko era presente quando il marito partorì melodia, accordi e il grosso del testo di quella ballata al pianoforte in Do maggiore destinata a diventare uno dei più importanti brani del Novecento, forse “la canzone” per antonomasia del suo tempo. Nel solo Regno Unito, per avere un’idea, il 45 giri di “Imagine” ha venduto più di un milione e mezzo di copie.
Lennon invitava l’ascoltatore a immaginare un mondo diverso, libero dal materialismo e dall’edonismo ma anche dalla religione, un mondo senza paradiso, inferno, possesso e bisogni. Un’utopia socialisteggiante – per ammissione dello stesso autore – che risentiva del retaggio hippie del tempo e delle recenti battaglie pacifiste della coppia. L’arrangiamento soft rock, così essenziale, facilitava l’arrivo alle masse del messaggio dell’ex Beatle. Rispetto al pezzo politico dell’anno prima “Working Class Hero”, c’è qui la forza del mainstream ad amplificare la portata del messaggio. Lennon a modo suo, sintetizzò così la faccenda: “Anti-religiosa, anti-nazionalistica, anti-convenzionale, anti-capitalista, ma poiché coperta di zucchero, la canzone viene accettata. Adesso capisco come bisogna fare. Dare i propri messaggi politici insieme a un po’ di miele”.
Il testo di “Imagine” ebbe diverse fonti di ispirazione. Alcune poesie di Yoōko Ono incluse nel suo libro “Grapefruit” del 1964, ad esempio, suggestionarono Lennon. In particolare, quella riprodotta sul retro di copertina del vinile originale dell’album “Imagine”, intitolata “Cloud Piece”. I versi: “Imagine the clouds dripping, dig a hole in your garden to put them in” (“Immagina le nuvole gocciolanti, scava un buco nel tuo giardino per raccoglierle”). Ma non ci furono solo le liriche della moglie poetessa alla base dell’idea di “Imagine”. Nella celebre intervista del dicembre 1980 concessa a David Sheff per la rivista Playboy, poco prima di morire assassinato, Lennon disse che Dick Gregory aveva regalato a lui e Yoko un libro di preghiere cristiane, che gli ispirarono il concetto alla base della canzone: “Il concetto di preghiera positiva. Se puoi ‘immaginare’ un mondo in pace, senza discriminazioni dettate dalla religione – non senza religione, ma senza quell’atteggiamento ‘il mio Dio-è-più-grande-del-tuo-Dio’, allora può avverarsi. Una volta il Consiglio ecumenico delle Chiese mi chiamò e mi chiese: ‘Possiamo usare il testo di Imagine e cambiarlo semplicemente in Imagine one religion al posto di no religion?’. Ciò mi dimostrò che non lo capivano affatto”. Le frasi anti-religiose sono costate alla canzone critiche ma d’altro canto il rapporto tra Lennon e i credenti aveva conosciuto già momenti molto complicati quando il Beatle aveva detto che il cristianesimo sarebbe scomparso e che lui e i suoi tre compagni di band erano più popolari di Gesù Cristo.
Lennon era particolarmente tagliato come compositore di “inni”. La sua “All you need is love”, incisa coi Beatles in mondovisione nel 1967, era diventata un inno dell’estate dell’amore, la sua “Give peace a chance” era diventata l’inno dei pacifisti americani contro la guerra in Vietnam. Con “Imagine”, Lennon compose quello che l’autore John Blaney descrisse un “inno umanista per il popolo”. Del resto, l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter ha dichiarato che in molti paesi del mondo la canzone gode dello stesso rispetto che viene riservato agli inni nazionali. Meno acclamato dai critici fu il video di accompagnamento del singolo, che ritraeva Lennon e Yoko Ono a Tittenhurst e che fu liquidato da un critico come il “più costoso filmino amatoriale di sempre”. Eppure le immagini di Yoko che apre le finestre mentre il marito con gli iconici occhiali da vista rotondi canta e suona il piano sono comunque entrate nell’immaginario collettivo mondiale.
Canzone “di sinistra”? Sì, in qualche modo. Ancora Lennon: “Imagine, che dice: ‘Immagina che non esistano più religioni, nazioni, o politici’, è virtualmente il manifesto del Partito comunista, anche se io non sono particolarmente un comunista e non appartengo a nessun movimento politico”. Al New Musical Express il grande songwriter la spiegò così: “Non esiste un vero stato comunista al mondo; bisogna capirlo. Il socialismo del quale parlo io non è quello messo in atto da qualche sciocco russo o cinese”.
Il senso della canzone, con quel testo grondante utopia, sta in fondo proprio nell’idea che se un mondo migliore si può immaginare allora lo si può anche costruire. “Prima di tutto bisogna pensare a volare, poi si vola. Concepire l’idea è la prima mossa”, spiegò Lennon. Che ad Alberino Daniele Capisani nel 1977 spiegò la cosa in questi termini: “La parola ‘sognatore’ (“dreamer” nel testo, ndr) in questo caso non ha niente a che fare con il mio vecchio modo di intendere la fantasia. In ‘Imagine’ il sognatore è l’uomo che spera, non l’uomo che si illude”. Il brano come detto fu uno straordinario successo commerciale. Ma non solo. “Imagine” assunse in effetti lo status di inno. La rivista Rolling Stone l’ha posizionata al terzo posto nella classifica dei migliori brani musicali di tutti i tempi, scrivendo (dopo gli attentati dell’11 settembre): “Ormai è impossibile ‘immaginare’ un mondo senza ‘Imagine’, e ne abbiamo bisogno più di quanto credessimo, ora più che mai”. Nel 2005 gli ascoltatori di Virgin Radio la votarono al primo posto tra le canzoni preferite, nello stesso anno la Canadian Broadcasting Corporation l’ha nominata la più grande canzone degli ultimi cento anni.
Nella sua discussa e dissacrante biografia di Lennon, Albert Goldman definì “Imagine” “afflitta da un accompagnamento di pianoforte noioso quanto le esercitazioni di uno studente di musica e una parte vocale debole quanto un coro dei quaccheri”. Il mondo è bello perché è vario, in fondo. Quel che è certo è che cinquant’anni dopo l’incisione, “Imagine” resta un caposaldo della cultura popolare, non solo della musica (merita almeno una citazione l’utilizzo della canzone nei titoli di coda del bellissimo e purtroppo un po’ dimenticato film “Urla del silenzio” del 1984 sul genocidio cambogiano) , con oltre duecento cover e una quantità infinita di esecuzioni dal vivo. Vi si sono cimentati tra gli altri i Queen, Joan Baez, Madonna, David Bowie, Stevie Wonder, Neil Young, i Guns ‘n Roses e Lady Gaga, tanto per dare un assaggio della trasversalità dell’influenza del brano di Lennon, che in quel 1971 riuscì a creare qualcosa che fosse ancora più famosa e popolare di “Yesterday”, la canzone beatlesiana per antonomasia firmata per convenzione anche da lui con Paul McCartney ma tutta quanta farina del sacco del socio, praticamente da solista. E poiché l’amico-partner-rivale era sempre nei pensieri di Lennon (che in quello stesso album incise la famosa “How do you sleep?”, velenoso attacco esplicito a McCartney), John nel 1971 scrisse una lettera aperta a Paul pubblicata su Melody Maker in cui diceva tra l’altro che “‘Imagine’ è una ‘Working class hero’ con lo zucchero per i conservatori come te!”. Anche questo è amore.
Antifascismo per definizione