ROBERTO MONALDO/LAPRESSE

L'Italia inquieta degli anni 70 e 80 nelle foto dei diari di Ettore Bernabei

Fabiana Giacomotti

Gli scandali fra il petrolio, la Dc e Raffaella Carra’

Nell’apparato fotografico dei diari di Ettore Bernabei, che escono domani raccolti per Marsilio da Piero Meucci, presidente degli Archivi Cristiani Toscani del Novecento a cui sono stati affidati dalla famiglia, c’è un’immagine che fa correre il lettore a cercare note e commenti. E’ datata 1982 e raffigura Romano Prodi, Massimo Ponzellini e Bernabei a Teheran sotto il ritratto di Khomeini: hanno lo sguardo abbacinato dal sole e fissano tutti e tre un punto, o una persona, sul quale il presidente dell’Iri sta evidentemente facendo delle osservazioni preoccupate, al punto che il suo capo delle relazioni esterne si morde le labbra. Bernabei, che in quegli anni è presidente della Italstat, è invece dritto, l’espressione immota; non un solo gesto del corpo tradisce la sua inquietudine, che pure doveva esserci, visto che tutti e tre si erano precipitati in Iran per ridiscutere i termini del contratto per la realizzazione del porto di Bandar Abbas, stipulato dallo Shah ma non riconosciuto dal nuovo regime teocratico. “L’uomo di fiducia”  dell’ala fanfaniana della Dc, direttore generale della Rai fino al 1974, ha già raggiunto quel distacco che, se da un lato gli fa intuire la prossima fine del cammino del partito cattolico e lo smantellamento del sistema delle aziende pubbliche, dall’altro gli suggerisce di mettere a frutto decenni di esperienza per dare vita a quella che è adesso la prima società di produzione italiana di fiction, Lux Vide. 

 

Sono anni difficili, quelli che la foto racconta, iniziati nei primi Settanta della crisi petrolifera e culminati in quel 1979, oscurato dall’assassinio di Aldo Moro al quale Bernabei dedica squarci inediti (“al Senato Cossiga fa capire che si dimetterà subito, Bartolomei lo avverte di non fare gesti che indurranno Andreotti a indicare in lui il capro espiatorio”) e dall’affaire Eni-Petromin, antesignano di ogni Tangentopoli e dello scandalo dei fondi neri dell’Iri, che vedranno Bernabei successivamente imputato e quindi prosciolto con formula piena. Dimostra di avere ben chiare fin da subito le ricadute sullo scacchiere internazionale del contratto che porta in Italia per tre anni grosse quantità di greggio a prezzi competitivi e stabili. E’ una partita da cento milioni di barili di petrolio con la contropartita di una tangente di cento milioni, che subito scoppia sui giornali italiani. Fanfani, scrive Bernabei, “continua a dire che nelle prossime settimane si renderanno evidenti le difficoltà per Andreotti che sarà chiamato a rispondere del contratto concluso alla vigilia delle elezioni e sotto il suo patrocinio dall’Eni con l’Arabia Saudita fuori dai normali canali del rifornimento petrolifero”. L’affare ha un impatto anche sui fragili equilibri della Dc ma è soprattutto un colpo da maestro che calpesta troppi interessi, e che per questo viene subito fatto filtrare sui media: “Una volta sollevato il polverone può darsi che le grandi minacce si sgonfino… Gli avvertiti hanno reagito nelle più diverse maniere: Andreotti è andato in clinica a farsi togliere i calcoli dalla cistifellea. Signorile ha scatenato una grande offensiva nel Psi per mettere in minoranza Craxi”.

 

Bernabei scrive i diari quasi ininterrottamente per trent’anni, fra gli Anni Cinquanta e il 1984. Meucci, osservando le sovrascritture e le note successive, ritiene che volesse pubblicarli, o perlomeno dar loro una forma compiuta e aggiuntiva rispetto alla biografia già molto esauriente scritta da Giorgio Dell’Arti (“L’uomo di fiducia”, Mondadori, 1999). Di sicuro, però, dalla metà degli anni Settanta in poi, teme o nutre qualche inquietudine sulle forze che stanno per convergere sull’Italia, destabilizzandola, perché vi si iniziano a ritrovare nomi puntati o pseudonimi (uno, in particolare, tale “Imperia uomo di relazioni Fiat”, che trasferisce a Bernabei fantasiosi quanto sordidi dettagli sui rapporti fra gli Agnelli, De Benedetti e il Pci, lo è certamente: abbiamo cercato fra colleghi e antiche segreterie di Cesare Romiti e non abbiamo trovato alcun riscontro. Chi è o chi aveva casa a Imperia, dunque?). Dicono i figli Bernabei che negli anni della Lux Vide, “il babbo” avesse iniziato nuovamente a scrivere, ma su temi specifici, come la produzione televisiva e la chiesa. L’ultimo caso sollevato dai diari riguarda la bufera del 1984 attorno al contratto a Raffaella Carrà, per sei miliardi in tre anni, nell’ambito della guerra con le private, ovvero con Silvio Berlusconi. Il caso assume una tale portata che il direttore generale Sergio Zavoli pensa di dimettersi e il presidente Biagio Agnes vuole seguirlo. Che fare? Telefona a Bernabei, che suggerisce di non alzarsi dalla poltrona neanche di un centimetro: “E’ evidente che Craxi persegue il disegno di far fuori Zavoli. Che i socialisti si misurino fra di loro”. Suggerisce quindi ad Agnes di chiamare Antonio Gava, ministro delle Poste, e Clelio Darida delle Partecipazioni statali, allora azionista di riferimento della Rai, e ricordare loro che non solo l’esecutivo non può permettersi interventi del genere, che spettano alla Commissione di vigilanza, ma che la Dc ritiene che il contratto debba fare il suo corso. E così avviene.