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Digitalizzazione, Allianz (e Esselunga). I privati salvano la Scala

Fabiana Giacomotti

Un "sostegno corale" da oltre 21 milioni, per diffondere il brand del teatro e renderlo protagonista della transizione tecnologica: parla l'ad di Allianz Giacomo Campora

Si dice che il whatever it takes di Allianz per il progetto di digitalizzazione del Teatro alla Scala e dei suoi spettacoli, con il nuovo sistema di sottotitolazione sia in sala sia per lo streaming con telecamere fisse, modello Berliner Philarmoniker, sia stato il momento più festoso del cda della Fondazione che si è tenuto ieri in via Filodrammatici per discutere del bilancio previsionale 2021, che dovrebbe chiudere in pareggio soprattutto grazie alla generosità degli sponsor. Esattamente come ai tempi di Giangiacomo Durini e Carlo d’Adda, i privati continuano a sovvenzionare il loro “gran teatro”, fulcro e termometro degli umori milanesi, con il denaro necessario non solo a garantirne il mantenimento, ma lo sviluppo. Fino al 2019, si credeva che i 20 milioni di sovvenzioni private raggiunti dalla sovrintendenza Pereira fossero insuperabili. Con l’ingresso di Esselunga, nuovo socio fondatore permanente, ricco di una dote di sei milioni di euro in cinque anni, quel picco viene superato di oltre un milione.

 

A contribuire al “sostegno corale” di cui parla il cda, l’amministratore delegato di Allianz Giacomo Campora, scaligero di gusti abbastanza eclettici da apprezzare parimenti Vivaldi e Offenbach, entrato nel cda un anno fa, dice al Foglio che il progetto di digitalizzazione, “aiuterà il teatro a creare un prodotto culturale fruibile a un pubblico molto vasto”, che è quanto ha iniziato a saggiare in questo anno di continui blocchi e chiusure, sull’onda dei lockdown e delle zone rosse. Le dirette e le repliche in streaming sviluppate grazie all’apporto della Rai hanno portato a un ampliamento dell’audience così significativo (l’ufficio comunicazione twittava e trillava contento poche settimane fa di aver ricevuto un messaggio di ringraziamento dal Madagascar) che farne a meno a pandemia finita fra qualche mese, come si spera, equivarrebbe a privare la Scala di uno strumento diffusionale potentissimo. Da cui, appunto, l’impegno di Allianz, che Campora non quantifica se non in modello-Draghi: “Faremo quello che sarà necessario”.

 

E sì, anche in questo caso pare che “sarà abbastanza”. Insieme con la Juventus e con un progetto internazionale di denominazione degli stadi, oggetto di un acceso dibattito in seno alla Uefa, il Teatro alla Scala è per Allianz l’investimento “a più alto impatto positivo sul brand”, nell’ambito di una strategia di valorizzazione culturale che, oltre al Teatro Verdi di Trieste, al Donizetti e al Maggio Musicale Fiorentino (yes, Pereira) si estende al sociale. Qualche anno fa, partecipando a una colazione di lavoro all’ultimo piano della Torre Allianz, ci capitò di scorgere i primi murales di social art che si dispiegavano per le scale del grattacielo, dipinti da artisti, dipendenti e giovani assistiti dalla fondazione di Allianz, Umana Mente, cioè disabili e ragazzi provenienti da ambienti svantaggiati: il progetto, che percorre un ideale giro del mondo fra città, skyline e monumenti, e copre cinquantatrè piani per un’area complessiva di oltre 2.980 metri quadrati.

 

Sufficienti per entrare nel Guinness dei primati; non (ancora) sufficienti per essere visitati e festeggiati come meriterebbero, causa Covid, ça va sans dire. Il recupero del tempo perduto è uno degli obiettivi di Campora, anche su un altro fronte, che è quello dell’impiego femminile; forse perché il W20 si terrà in Italia il prossimo luglio, forse perché il risentimento delle donne del Pd dopo la formazione dell’ultimo governo è stata una delle cause scatenanti delle dimissioni di Zingaretti, nelle ultime settimane di donne si parla molto, e per le aziende vantare una almeno relativa parità di trattamento una voce rilevante della credibilità sociale. Dice Campora che “sulle donne è arrivato il momento di innescare una positive action”, perché “senza un’azione di forza si continuerà solo a parlare”. Al momento, oltre alla presidenza di Claudia Parzani e a una presenza di altre due donne nel cda su un totale di otto, il ceo del gruppo assicurativo sostiene che la media femminile a ogni livello dirigenziale sia attorno al trenta per cento. Si potrebbe fare, certamente, di meglio: “Le donne hanno una capacità di visione più complessa, e di interazione sociale maggiore rispetto agli uomini”. Hanno anche una maggiore aspettativa di vita. Ci sembrano tutti ottimi motivi per investire anche su di loro.

 

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