(foto LaPresse)

Minority Report

La bolla dell'autocrate e l'alterazione del linguaggio. Una teoria su Lukashenka

Giovanni Maddalena

La lingua finta delle dittature, secondo Vasilij Grossman

Ciò che più colpisce nella vittoria contestata di Lukashenka in Bielorussia è la proporzione gigantesca che ha voluto assumere. L’esito, ovviamente non riconosciuto dalla piazza, è addirittura di una vittoria con l’80 per cento dei voti contro il 9 per cento dell’unica oppositrice. Il risultato è abnorme soprattutto, dicono le cronache, rispetto alla popolazione che ha partecipato ai meeting pre-elettorali, la cui numerosità viene confermata ora dalle proteste post-elettorali.

     

Le dimensioni gigantesche di quella che appare come una colossale menzogna hanno però un interessante versante psicologico, storico e comunicativo. Perché comunicare un risultato così smisurato? Non si sapeva che esso avrebbe sfidato il senso comune e, con quest’ultimo, la folla? Perché un presidente-dittatore, già screditato e contestato dal suo popolo per incapacità di ascolto, si accanisce nel medesimo errore? Non sarebbe stato più facile dire che si era vinto con il 60 per cento e cercare un dialogo con l’unica candidata contraria?

      

    

   

Qui si trova una caratteristica di tutte le ideologie: la creazione della bolla informativa intorno al capo impedisce a quest’ultimo e ai suoi seguaci di vedere la realtà delle cose. Tutte le dittature della storia si sono avvitate su se stesse, restringendosi in una cerchia sempre più asfittica dove il discorso ideologico si rende sempre più duro, fino alla catastrofe finale con abbandono del dittatore da parte dei pochi fedelissimi rimasti. Come sappiamo, ciò è avvenuto alle grandi dittature di destra del secolo scorso – si pensi all’incattivimento del fascismo nella Repubblica di Salò e alla tragica sorte di Hitler nel suo bunker di Berlino – ma è stato il fato di tutti gli autoritarismi personali ben prima di ogni ideologia di massa. E’ la piccola ideologia della personalità descritta già magistralmente da Shakespeare in “Macbeth”. Il sovrano assoluto rimane solo, preda della propria follia, di frasi e di sogni, ma la realtà si mostrerà più forte e inaspettata, sconvolgendo le immaginazioni con il suo incedere.

   

La seconda caratteristica di questa condizione, che la vicenda bielorussa mette in luce, è l’alterazione del linguaggio. La bolla in cui vive l’autocrate altera il significato delle sue stesse parole, che risuonano false. E’ la lingua finta delle dittature, ben messa in luce dagli studi della prof. Anna Bonola su Vasilij Grossman. Le parole, prive di nesso con la realtà, diventano vuote e distorcono i propri significati. Nella lingua falsa il richiamo all’unità del popolo diventa un invito alla divisione, l’appello alla fratellanza un’incitazione all’odio per il proprio concittadino che diventa nemico per il fatto di non essere d’accordo, il rispetto dell’autorità costituita un sospetto su ogni autorità mondiale. La bolla altera i significati in uscita come quelli in entrata, rende i suoi abitanti come gli idoli descritti nei Salmi: hanno occhi e non vedono, hanno bocca e non parlano.

     

   

     

Anche nella Bielorussia di oggi basterebbe il buon senso o il senso comune per evitare i morti, così come ha detto il drammatico appello della Tikhanovskaja, riparata in Lituania per amore dei propri figli minacciati dal regime. Difficilmente, però, l’appello al senso comune avrà successo: la meccanica della comunicazione ideologica a un certo punto sfugge di mano ai suoi creatori e fautori ed è quello il punto dell’inizio della fine.

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