Cabaret anti virus
Lo Spirit de Milan, gli attori di "Milano 5.0" e la città che vuole riprendersi ciò che il coronavirus ha tolto
Spirito. Il vocabolario ci mette pagine per abbracciarne i significati e le sfumature. Per evocare quello di Milano basta invece sedersi sotto le stelle nell'omonimo locale. La serata Ca Bar Et Boh Visa, dopo la pausa ammutolita dal Covid, è tornata a riempire gli spazi generosi dello Spirit de Milan, locale che sorge, per chi ancora non sapesse, sulle ceneri ben conservate delle ex Cristallerie Livellara.
Gli attori in causa si possono elencare solo in ordine alfabetico: Rafael Didoni, Germano Lanzoni, Walter Leonardi, Folco Orselli, Flavio Pirini. Ognuno con una decisa identità artistica, lungo curriculum e importanti lavori in corso, il martedì si riuniscono per questo funambolico cabaret sotto il nome di 'Milano 5.0'. "Perché siamo cinque" spiega Flavio, "siamo più o meno sui 50, e perché siamo avanti".
Mi siedo a tavola con loro, nel largo corridoio all'aperto dove si sgagna prima dello spettacolo.
Sul palco dello Spirit si incontrano perché hanno voglia di vedersi, di divertirsi, sperimentare, di invitare amici, perché si sentono a casa, e anche un po' per tenere sempre vivo il fatturato, il santo venerato da Il Milanese Imbruttito incarnato da Germano Lanzoni. "Si fa questo lavoro per le FF" sentenzia, fedele al suo personaggio, davanti a un vitello tonnato sommerso da una salsa che per il resto della banda stona un po', in questo luglio rampante. L'altra F, che da scriba galantuomo chiamerò femmina, è molto ben rappresentata ai tavoli, ed è sempre maggioranza seduta davanti al palco. "Dove vanno le ragazze stupende?" si chiedeva Gaber, artista imprescindibile per questa banda, "...secondo me le donne hanno l'intuito, loro sanno istintivamente, quali sono i posti dove passa la storia". Se non proprio la Storia, su questo palco passa sicuramente il sottofondo lirico e dissacrante della città.
Una bottiglie di Verdea, vitigno autoctono milanese, di San Colombano, viene sfilata dai ghiacci, per fare posto alla nuova. Noi facciamo un po' di rewind.
Nella Milano del 2000 ci sono il laboratorio Scaldasole e il Caravanserraglio, alla Casa 139. Nel primo va in scena la comicità. Un gruppo aperto che comprende i nostri Rafael Didoni, Walter Leonardi, e più tardi Germano Lanzoni. Ancora molto centro sociale. Tanta improvvisazione. Tutto era pretesto per inventare, un monologo, un ping pong col pubblico. Una bottiglia che rotolava sul pavimento poteva far scattare un escalation di insulti, "dal più crudo al più aulico, un duello dell'offesa creativo, e tutti ridevano come pirla, per non dire pazzi".
Al Caravanserraglio si cerca invece il cantautorato del nuovo millennio, e con Flavio Pirini e Folco Orselli, ci sono il poeta Chinasky, alias Vincenzo Costantino, Gianni Resta, Stefano Tessadri e Concetto Serranò. Ci tengono siano tutti nominati.
"Un intreccio di blues, canzone d'autore, slanci di funk e swing, eppure tutto molto punk" racconta Folco. "Si iniziava alle 23, poi magari dopo le due, si ripartiva. Con ospiti all'amicizia. E il lunedì, la serata più sfigata della settimana, la Casa 139 si riempiva, era festone. Dietro il bancone c'era Frog, che scaldava gli umori con i suoi shottini. Però ci monitorava, eh: te ne dava fino a un certo punto. E se rompevi i coglioni, sapeva rimetterti al posto". Il santo spirito della wodka, della quale Frog è il sacerdote a Milano. Ma questa è un'altra storia, che racconteremo.
"Le due realtà non potevano che incontrarsi, e lì succede l'imbastardimento. Perché dirla contaminazione fa troppo figo" prosegue Folco, l'uomo blues, la voce che ti strizza l'esofago".Allo Scaldasole, ho imparato a stare sul palco anche senza suonare".
Stasera Rafael Didoni non c'è, non è a Milano. Ma la sua presenza viene scolpita da Flavio. "La sua è la comicità surreale, del paradosso. Oscilla tra tenerezza e cinismo. In lui c'è l'infantile che continua a vivere nell'adulto". E la sua mancanza si sente subito. Magari dopo gli telefoniamo. Intanto arriva la Tinti, (Paola Tintinelli), amica e attrice che stasera farà un suo monologo. Lei è l'altra grande surreale: "Dalì le fa una pippa" dice Walter.
Tornando all'imbastardimento, c'è la presunta parentela con il Derby, la mitologia meneghina. "C'è il tizio che ti si incolla" spiega Walter "e dice che lui ci era stato ai tempi, al Derby, e che erano tutti suoi amici, e che adesso questi qua non fanno più ridere... Senza rendersi conto che noi siamo quelli che siam lì per far ridere". Flavio aggiunge: "Ti adulano e poi ti snobbano. Sono quelli che poi intervengono durante lo spettacolo, che vogliono fare, spettacolo. Una volta Walter è sceso dal palco e gli è andato a muso: Alùra! Te finì o no? E l'ha finita".
"Che poi non li abbiamo nemmeno visti quelli del primo Derby" rientra Folco. "Giusto quelli dopo. Ma non c'era nessuna intenzione, non ci siamo mai rifatti ai maestri. Semplicemente è successa una sintesi. Tutto è nato inconsciamente. Si era ricostituito un terreno fertile. Sarà anche la città, Milano, che ti porta a fare certe cose. Perché le ha dentro, si respirano".
Ancora Flavio. "Che poi quella scuola lì era un mondo chiuso. Non è che gli interessava coltivare i nuovi arrivati". Non era una scuola, insomma. "Ma sì, così come il teatro canzone, inventato da Gaber, se vai a vedere, la Fondazione mantiene viva la sua memoria artistica, si portano in scena omaggi ai suoi spettacoli, rifatti da altri, ma sempre la sua produzione. Non gliene frega niente di altri piccoli Gaber". Non esistono Festival o affini, di Teatro Canzone, a quanto pare. Ho l'impressione che oggi l'unico a farlo davvero, inteso con canzoni vere, che stanno in piedi da sole, tra i monologhi che conquistano risate, sia lui, Flavio Pirini.
Tutti e cinque sono attori e musicisti, Walter e Rafael anche registi teatrali. In spettacoli che in qualche modo coinvolgono sempre qualcuno del gruppo delle origini. "Non abbiamo mai lasciato Milano. Anche quando a Roma succedeva tutto. Non abbiamo avuto management, anche perché eravamo poco gestibili. Molte cose di allora ce le portiamo ancora dietro. Germano faceva già prima questo suo personaggio, poi Il Milanese Imbruttito ha trovato in lui la maschera. Lui è un tizio che tirava cappellini nei villaggi, intanto faceva scuola di teatro, poi ti piazzava l'Ode a Milano in rima, o una lettera di Buzzati. Questa è un po' l'anima di ognuno di noi". Lo spirito. Aulico ed etilico.
Germano aggiunge di suo che ha partecipato a un trasloco di Dario Fo, durante il quale ha visto nei cassetti testi da lui scritti nel '62, e lo ha messo nel curriculum.
Entriamo in quella mezz'ora all'imbrunire che esalta le zanzare, ma noi si fa finta di niente. I camerieri in divisa d'ordinanza e mascherina fluttuano tra i tavoloni con le tovaglie a quadretti. La Tinti e le due amiche studiano il menù alla ricerca di vegetali elaborati. Si disquisisce sul far ridere e pensare.
Stretching emotivo. Così viene coniato dal gruppo, "C'è prima la risata, che strappa le ansie dello spettatore, ma anche le tue," dice Walter, "poi puoi infilarci la mattonata". E qui c'è la teoria del volley di Germano, molto milanese. "Dopo l'alzata, la schiacciata. Stai ridendo, e ti arriva dritto il magone". Flavio la butta sul tennis. "Giochi sempre sul dritto, poi chiudi sul rovescio. La tecnica della spiazzata".
Però il tempo stringe, e bisogna buttare giù la scaletta. Due tovaglioli di carta e la penna. "Il problema sta nello scegliere i primi due pezzi, poi si va" mi rassicura Folco. E anche dove inserire i pezzi corali.
"Dopo la canzone triste faccio il giargiana". Germano porta il suo inguaribile giullare, oltre che in robusta turné, anche sulle pagine di un libro di racconti: 'La terra dei pirla', uscito per Rizzoli.
"Io devo provare un pezzo del mio nuovo spettacolo". Walter sarà questo agosto all'Estate Sforzesca con un suo fresco monologo: 'Andra tutto bene?'.
"Faccio un brano mai fatto, dopo la Tinti". Folco si è inventato l'ambiziosa escursione nelle periferie milanesi, quel Blues In Mi, con patrocinio del Comune, filmato da Il Terzo Segreto di Satira. "E anche tu, "si rivolge a Flavio "devi fare un pezzo del nuovo disco". Il Pirini è uscito con un disco nuovo, canzoni: 'Senza mai parlare', titolo che dice tutto.
Ci vorrebbe qualche battuta sull'attualità, tipo il freschissimo Recovery Fund. Flavio dice che vorrebbe prima contestualizzare. "Fare il rompicazzo", traducono gli amici fraterni. Bocciato.
Una riflessione sui repertori, su quei pezzi che a volte ritornano, in questa scaletta. "Tu che l'hai già visto, porti l'amico, perché vuoi fargliela godere anche a lui" dice Flavio, "e questo si aspetta quel pezzo lì. Come ai concerti. Ed è un peccato non farlo". La confort zone, elemento necessario all'alchimia di questa serata.
La scaletta è pronta: due tovaglioli strapazzati da una Bic punta fine (che verranno messi all'asta dopo il lunghissimo applauso finale).
Chiudiamo con qualche domanda. Come siete prima, di salire sul palco?
Si raccontano a vicenda: questo il quadretto sintesi.
Germano. A tavola fa finta di raccontarti una cosa, in realtà ti sta usando, per fare la prova di un suo pezzo, e 'vedere di nascosto l'effetto che fa.'
Walter. Sempre nervoso. Si sente inadeguato. Poi va su e gode. Non se ne andrebbe più.
Folco. A lui interessa, si preoccupa, se ci sarà gente. Quando sa che ce n'è, va in tranquillità.
Flavio. Arriva e dice: "Stasera faccio un pezzo dalle mie nuove cose". Poi non ha il coraggio di farlo.
Rafael. Agli inizi aveva veri attacchi di panico. Adesso ha imparato che il palco sana tutto. Vuole stupirsi e stupire. Lui è uno che osa, vuol far ridere con la poesia.
La vostra Milano. Che donna è? Cosa le chiedereste?
Parte subito Flavio. "Una bella donna attempata. Che si mette ancora la gonna corta. E si trucca, a volte un po' pesante. Quando la conosci, e la vedi la mattina presto o a notte fonda, ne apprezzi le rughe, e la sottile malinconia. Le chiederei di frantumare tutti gli stereotipi della Milano da bere. Milano è professionista, e si sbronza per gioco".
Ecco Folco. "Poco seno e gran culo. Devi scoprirla. Ti aspetta con le belle gambe accavallate, le ultime a morire. Sembra ascoltarti con interesse, ma intanto riesce a pensare ad altro. Le chiederei di portarmi dove non la riconoscono".
Pensoso, Walter. "Una donna che si tiene bene, dai mille interessi, però troppo attenta alla forma, con quel voler sembrare e somigliare, che le fa perdere autenticità. Non le chiederei un cazzo! Andrei a bere con lei, e starei ad ascoltarla, per scoprire le anime che ha, di cui non so nulla. Dai, su, Milano, dimmela tutta!"
Germano si è appena allontanato, catturato da attenzioni femminili. La teniamo come risposta.
A Rafael mandiamo un messaggio whatsapp, accompagnato da un piccolo coro di battute. La sua risposta arriva nel giro di pochi minuti.
"Una specie di Rita Levi Montalcini. Austera, forte, caparbia, una studiosa alla quale piace ancora giocare. Ne ha viste tante, e se le fai girare le balle, si incazza. Ultimamente ha fatto degli esami, tipo l'ago di Piazzale Cadorna, l'esito ha dato qualche valore sballato: troppi globuli bianchi e pochi rossi. Le chiederei di non dimenticarci. Che ricordasse che abbiamo avuto una bella storia. E che forse non è ancora finita".
A vedere il pienone che c'è già sotto il palco, si direbbe di no.
Cos'è cambiato, dopo la pausa pandemia?
"C'è più voglia ancora. La gente non vede l'ora di abbracciarsi" esordisce caldo Folco. Poi torna sul palco. "La prima volta abbiamo tartagliato dietro la mascherina. E Germano ha detto a una donna in prima fila di abbassare il perizona". Flavio si impegna per tutti: "Forse sono tutti più generosi. Ma per capirlo bene aspettiamo settembre. Noi dopo tre mesi ci siamo chiesti se fossimo ancora capaci. Ma è stato un attimo. Perché negli ultimi vent'anni a me sembra un'unica grande serata. Cambiano tutti, si sposano, invecchiano, e noi siamo sempre lì. Sposati con quella storia lì".
Che ricomincia proprio adesso.
L'arte di chiedere