I libri che non si leggono

Mariarosa Mancuso

Matteo Renzi, Beppe Sala e Stefano Bonaccini. Le avventure editoriali dei politici non spostano voti, ma nemmeno lettori. Tra citazioni, tecnicismi e frasi da secolo scorso, sarà meglio cambiare ghostwriter

Amazon qualche giorno fa aveva finito le copie. Subito riassortite: è l’upgrade del giretto che lo scrittore faceva in libreria per controllare l’esposizione del suo libro sugli scaffali. Senza vergogna, ora viene annunciato su Twitter. Il lettore desideroso di un esemplare autografato poteva richiederlo – stesso prezzo – sul Ibs.it. Per ulteriore spintarella, la libreria online tutta italiana informa che “La mossa del cavallo” di Matteo Renzi compare in 19 liste dei desideri – mossa di marketing, non solo librario, che fa rivivere al cliente l’emozione della letterina di Babbo Natale. Le presentazioni dal vivo inizieranno appena possibile. Le virtuali, anticipazioni sui giornali e teste parlanti sui più vari social, sono in corso da un bel po’.

 

Il lettore che si avventura solitario nella lettura (mollando la biciclettina con le rotelle per la bicicletta vera) trova ad accoglierlo una frase di Niccolò Machiavelli, “Il principe” sta bene su tutto. “Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”. Da inguaribili cultori delle apparenze, speriamo che si parlerà – il libro sta sugli scaffali dell’attualità politica, non della psicologia spicciola – di come migliorare il fuori, per attirare l’elettore e convincerlo. Ma è appunto, una speranza. C’è il rischio che venga rivendicata la meno controllabile “sostanza” che tutti dicono di possedere, in grande quantità e di ottima qualità. Roba che però non riesce a bucare lo schermo.


Da Machiavelli a Charlie Chaplin. Nella “Mossa del cavallo” (Marsilio) di Renzi il gioco delle citazioni dà le vertigini


 

A pensar male si fa peccato ma si indovina, cento pagine dopo arriva una citazione di Charlie Chaplin: “Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è un problema loro”. Bel pensiero elevato, a parte qualche dettaglio. Chaplin di apparenze ha vissuto tutta la vita, il cinema lo è (racconta Orson Welles che era arrogante e vanesio, e si faceva mettere i lustrini sulle ciglia). E in politica, anche i costumi da bagno e i cocktail con l’ombrellino possono avere la loro importanza.

 

Nella “Mossa del cavallo” (Marsilio, già editore di Matteo Renzi per “Un’altra strada - Idee per l’Italia di domani” uscito l’anno scorso) il gioco delle citazioni dà le vertigini. Una per ogni capitoletto, con versatilità veltroniana. Ci sono Johannes Brahms e Brunori Sas, c’è Benedetto Croce che rivendica l’amor di patria contro il cinico e stolido nazionalismo, c’è la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie accanto a Tony Blair. C’è il romanziere lacrimevole a popolare Marc Levy e c’è Edmund Burke, parlamentare inglese che sosteneva l’indipendenza della colonie americane contro re Giorgio III (racconta tutto Alan Bennett in “La pazzia di re Giorgio”). Le parole di Sergio Marchionne tracciano la strada – libresca perlomeno – al pari di Goethe. Bob Marley veglia su tutti. Per la poesia (non disgiunta dalle quote rosa) compaiono Emily Dickinson e Mariangela Gualtieri, la poetessa del Covid 19 e del rallentamento e del memorabile verso “ci dovevamo fermare” (speriamo che la grande signorina americana che visse reclusa e vestita di bianco non venga a saperlo mai).

 

Su tutto, la statua di Lorenzo Bernini scelta per la copertina. Enea che fugge da Troia in fiamme, portando sulle spalle il vecchio padre Anchise. Così viene frettolosamente descritta, dimenticando che Enea portava con sé anche il figlioletto Ascanio. Non avremmo mai immaginato che Matteo Renzi la scegliesse per illustrare il fatale errore di quota 100. Un sacco di soldi spesi per anticipare le pensioni di pochi, caricando altro debito pubblico sulle generazioni che verranno. Anzi sono già qui, e già guardano al futuro con preoccupazione.


“Un passo avanti” era lo slogan di Stefano Bonaccini, che puntualizza: “Anche l’Emilia-Romagna lo è rispetto all’Italia”


 

Martin Rowson è un simpatico inglese che disegna vignette politiche per il Guardian, oltre a frequentare la letteratura. Per esempio, con una riscrittura a fumetti della “Terra desolata”: i versi di T. S. Eliot (“aprile è il più crudele dei mesi”) fanno da sfondo alle indagini di un detective privato. Ha illustrato “I viaggi di Gulliver” e “Vita e opinioni di Tristram Sandy, gentiluomo” di Laurence Sterne: un romanzo postmoderno di metà Settecento, fatto di divagazioni, e di divagazioni dentro le divagazioni, e di altre divagazioni dentro le divagazioni dentro le divagazioni. Il lettore rischia di perdere il filo, e allora nel fumetto, a fondo pagina, Rowson disegna un omino che regge un cartello, e sul cartello la scritta “The narrative”. Dovessimo tradurlo: “La narrazione, per di qua”.

 

Il cartello con l’aiutino servirebbe per l’ultima tornata di libri scritti dai politici. Oltre a Matteo Renzi, Beppe Sala di “Società: per azioni” (Einaudi) e Stefano BonacciniLa destra si può battere” (Piemme). Urge un cartello che induca il lettore a girare le pagine: quel modo di scrivere da solo non può farcela. Suggeriscono i maligni che non si tratta di libri fatti per essere letti, ma solo per essere comprati (sul fatto che possano portare voti, nessuno sembra farsi illusioni: non ne portano). Il mestiere di incuriosire il lettore, e di condurlo senza sbadigli pagina dopo pagina, pare del tutto sconosciuto. Ai politici, ai loro editor, e ai loro ghost writer.

 

Beppe Sala accompagna il suo viaggio verso il nuovo socialismo con un ricordo personale e paterno, intorno alla malattia e alla capacità di affrontarla. Da leggersi: i politici sono persone come noi, nella vita c’è anche la sofferenza. Poi un balzo indietro, nel 1347, quando la “gloriosa Genova” fonda l’antenata delle società per azioni: c’era da finanziare una guerra, i mercanti e le famiglie patrizie si erano assunte il rischio in cambio di concessioni. Senz’altro un pensiero audace, in un paese dove la parola più temuta dagli elettori è “patrimoniale”.

 

Il sindaco di Milano auspica una versione 2.0 della società per azioni, dove gli azionisti dovremo essere noi. E dove vige il tortuoso principio: “Chiunque, se lo desidera, può legittimamente tentare di avere i beni che vuole, purché il processo che porta al possesso di quei beni non distrugga il bene sociale”. Viene chiarito che si tratta di “una metafora e un metodo” – qui il lettore un po’ si perde, francamente – e che restituisce “dividendi non solo economici, anche sociali” (qui il lettore si ripiglia, ma non può fare a meno di notare l’assoluta genericità della proposta: di parola astratta in parola astratta, arrivano le idee e il mutamento di prospettiva, che come Machiavelli stanno bene su tutto).


Suggeriscono i maligni che non si tratta di libri fatti per essere letti, ma solo per essere comprati. Il mestiere di incuriosire il lettore? Sconosciuto


 

I politici romanzieri erano già stati inchiodati alle loro responsabilità. In “Visibilità zero. Le disavventure dell’onorevole Slucca”, Carlo Fruttero vent’anni fa descriveva “il romanzo dell’onorevole”: ritorno al paesello contadino per ritrovare gli antichi valori, e ricordo commosso dello sterco di gallina della propria infanzia. A proposito di antichi valori, abbiamo anche noi la nostra citazione, da Matteo Renzi: “I Salvini passano, i valori restano” (sta nel decalogo in materia di migranti e di salvataggi in mare, nessun tema caldo resta inevaso). I politici saggisti dovrebbero trovarsi un bravo ghost writer: Obama e Tony Blair mica si scrivevano i discorsi da soli. Se è vero, come sostiene la sinistra ostile a Renzi (e da Renzi citata nel libro, come una medaglia) che “con Renzi, con Blair e con Obama abbiamo perso l’anima”, tanto vale andare fino in fondo e prendersi qualcuno che conosca il mestiere.

 

Per quale lettore sono state scritte nella “Mossa del cavallo” le pagine sulle regioni, ostiche anche se si volessero usare per la scuola quadri di partito? Più friendly la “Lettera di partenza” a chiusura del libro. Per chi come noi non ha esperienze da scout: è la missiva che il giovanotto ventenne o giù di lì indirizza al gruppo, raccontando quel che vorrà fare nella vita. “Io sono sempre il ragazzo che venticinque anni fa scriveva la sua lettera di partenza al gruppo scout di Pontassieve – scrive Matteo Renzi. E precisa: “Una lettera che si scagliava contro la dittatura dell’apparenza, dell’immagine contro la sostanza”.

 

Abbiamo pensato male e abbiamo indovinato. Di nuovo: “L’immagine contro la sostanza”. Esempio: creare posti di lavoro, non raccattare like sui social. Ogni adolescente pensa: “Io sono autentico in questo schifoso mondo di ipocriti”. Il politico quarantacinquenne dovrebbe avere capito che le cose sono più complicate. Che l’autenticità non è una virtù, spesso viene rivendicata per disattendere le regole elementari della convivenza. Vale anche per le regole democratiche, abbiamo esempi recenti di come va a finire quando fantozzianamente è ammesso il rutto libero. Meglio il proposito: “Voglio provare a essere migliore degli altri, se mi riesce”. Solo che, essendo l’Italia il paese dei “vincitori morali” (nel resto del mondo: perdenti che vivono di illusioni) se non sei una squadra di calcio o un pilota di Formula Uno arrivare primi è sconsigliabile. Finisce che ti odiano.

 

“La mossa del cavallo” sta tra Andrea Camilleri e Vittorio Foa, alleggerito dal sottotitolo “Come ricominciare, insieme” (prima o poi bisognerà fare uno studio su quella virgola “esortativa”, molto amata dalla pubblicità progresso). Più diretto è Stefano Bonaccini in “La destra si può battere” (Piemme), corredato dall’ebook “il virus si deve battere”. In materia, il sindaco di Milano Beppe Sala si fa distanziare parecchio: la parola “virus” (fidandoci della ricerca automatica, non è che ci siamo riletti daccapo il volumetto) compare una sola volta a pagina 115. Matteo Renzi non si fa cogliere impreparato, in ogni ragionamento tiene conto della pandemia.


Beppe Sala accompagna il suo viaggio verso il nuovo socialismo con un ricordo familiare. La malattia e la capacità di affrontarla 


Stefano Bonaccini racconta una vittoria contro tutti i pronostici, potrebbe essere d’aiuto per un futuro un po’ meno generico di quello prospettato da Renzi e da Sala. Non che in materia si possa essere tanto precisi, l’ultima battaglia l’abbiamo combattuta contro la plastica, senza immaginare che la chimica sarebbe stata di grande aiuto contro il virus. Virus che non è stato fabbricato in laboratorio, a differenza del vaccino che lo stenderà: pensiamoci prima di inneggiare all’armonia della natura. Possibile che del Leopardi letto al liceo rimanga in mente solo l’infelicità, e mai le cause della medesima? 

 

“Un passo avanti” era lo slogan di Stefano Bonaccini, che puntualizza: “anche l’Emilia-Romagna lo è rispetto all’Italia”. Ancora non era (ri)scoppiato il regionalismo da virus, in materia di viaggi, di sicurezza e di rancore verso Milano “che non restituisce”. A un passato remoto, pur essendo l’altro ieri, sembra riferirsi la cronaca della lunga marcia verso la vittoria. Avanti, alla vecchia maniera e verso il sole dell’avvenire. Più prosaicamente, verso la carica di “sindaco dell’Emilia Romagna” (elezione diretta, conoscenza del territorio, mille altre qualità che ai politici lontani dal loro collegio elettorale sfuggono). Il resto è campagna elettorale: sale e piazze da riempire, riunioni, appuntamenti, cene.

 

Matteo Renzi suggerisce la “mossa del cavallo” che fa avanzare in diagonale, spiazza l’avversario e a volte pure aiuta a saltare gli ostacoli. Arditamente, mette in relazione le lacrime di Teresa Bellanova e le lacrime di Mowgli nel “Libro della giungla” di Rudyard Kipling. Ormai cresciuto, il cucciolo d’uomo deve lasciare la giungla e gli animali che lo hanno allevato. Le sue sono lacrime da adulto, e vanno rispettate. Da fiorentino, ricorda che dopo la peste nera arrivò il Rinascimento: non siamo alla fine del mondo, potrebbe essere un nuovo inizio – grazie al cielo ci risparmia la storiella del bruco e della farfalla che andava forte sulle magliette vendute in libreria. Contro l’altro pericoloso virus che si chiama populismo – sostiene – esiste già il vaccino della politica.