Album di famiglia (senza sentimentalismo)

A 71 anni la fotografa Judith Black pubblica la sua prima monografia con le immagini scattate dal 1979 al 2000 nella sua casa di Pleasant Street

Luca Fiore

Pleasures and Terrors of Domestic Comfort” era il titolo della mostra con cui, nel 1991, Peter Galassi inaugurava la direzione del dipartimento di fotografia del Moma di New York. Aveva sulle sue spalle un’eredità pesante: quella di John Szarkowski, il più influente critico e curatore del XX secolo.

Nella fotografia contemporanea aveva prevalso, almeno fino alla metà degli anni Settanta, il racconto della vita pubblica visibile lungo le strade. Galassi spiegava che in “The Family of Men”, la storica mostra del 1955, che Edward Steichen aveva curato sempre per il Moma, poche erano le immagini scattate all’interno delle abitazioni. Con gli anni, invece, l’attenzione si era sempre più concentrata sul racconto della vita domestica, dove “piaceri e terrori” si intrecciano, restando spesso invisibili alla classica fotografia di strada e documentaria.

 

Quella mostra, oltre a confermare alcuni grandi nomi come Lee Friedlander, William Eggleston o Joel Sternfeld, consacrò autori come Philip-Lorca diCorcia, Nan Goldin e Cindy Sherman. Altri fotografi, sopratutto donne, hanno faticato a restare sotto la luce dei riflettori. Col tempo, tuttavia, anche grazie alla pubblicazione di libri di qualità, artiste come Sage SohierSheron Rupp, Jo Ann Walters e Mary Frey sono tornate a far parlare di sé, confermando l’intuizione di Galassi. L’ultima in ordine di tempo è Judith Black che, a trent’anni di distanza dalla mostra del Moma e a 71 anni compiuti, pubblica la sua prima monografia: “Pleasant Street” (Stanley/Barker, 2020).

 

La Black, nella stringata pagina di introduzione, racconta la genesi del libro: nel 1979, madre single di quattro figli, si trasferisce a Cambridge (Massachusetts) per iscriversi al Master di fotografia del MIT, fondato e diretto fino a poco tempo prima da Minor White. Capisce in fretta che non avrebbe potuto viaggiare o passare molto tempo per strada per scattare fotografie. Gli impegni come assistente all’MIT, i corsi da seguire, e le faccende di casa da sbrigare glielo impedivano. Scrive: “Il nostro appartamento era buio, ma divenne il mio studio. Qualche volta la luce del mattino era invitante. C’erano occasioni che chiedevano una foto, come un compleanno, una laurea, una vacanza. A volte ci avventuravamo fino ai gradini all’aperto quando il clima si faceva caldo. Le foto sono diventate il mio diario, etichettate con date, luoghi e ricordi”.

Pleasant Street è il nome della via su cui si affacciava la casa presa in affitto dalla fotografa, nella quale arriva ad abitare anche Rob, che diventa il patrigno di Laura, Johanna, Erik e Dylan. Il libro si apre con un autoritratto scattato dieci anni prima, nel 1969, in cui la Black si mostra nuda, incinta della primogenita Laura. Il racconto, se così si può chiamare, procede soprattutto con ritratti, singoli e di gruppo. Dal 1979 fino al 2000.

 

Johanna in pigiama. Dylan spettinato. Erik col broncio. Laura con i capelli lunghi. Laura con i capelli corti. Tutti biondi con gli occhi azzurri di mamma. Rob ha baffi anni Settanta, anche negli Ottanta e nei Novanta. Judith annota che la foto dei quattro figli seduti sugli scalini di casa è stata scattata il 9 luglio 1982, prima di partire per le vacanze. Il 29 maggio 1984 Dylan mostra il taglio di capelli che gli ha fatto Laura. Il 6 novembre 1988 Erik ha quasi 18 anni. I figli crescono. I genitori invecchiano. L’ultimo scatto, che dà al libro un senso circolare commovente, mostra Laura, il 14 maggio 2000: ha in braccio il figlio Malcom ed è incinta di Cadie.

 

Alla Black non interessa tanto raccontare la vita familiare nei termini di “piaceri e terrori” che si consumano tra le mura di casa. Eppure dai volti dei suoi cari traspaiono entrambi. L’innocenza dell’infanzia, l’inquietudine dell’adolescenza, le tensioni, la malinconia. Si tratta, da una parte, di un comune album di famiglia dove vediamo il passare del tempo modificare i tratti dei volti e le forme dei corpi. Dall’altra la sequenza ha la sistematicità propria dei progetti di documentazione, oltre che l’abilità tecnica del fotografo professionista. A questo si aggiunga la grazia e l’equilibrio femminile, che qui è anche sguardo materno, che sa essere paziente, quando occorre essere pazienti, e severo, quando occorre severità. Parlando di queste foto, quando non tutte erano state ancora scattate, Peter Galassi scriveva: “Viste insieme sembrano dire che la vera tenerezza inizia quando finisce il sentimentalismo”.

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