Se la natura si mette in posa

Fino al 31 maggio, al museo Santa Caterina di Treviso, una mostra con capolavori dal Kunsthistorisches Museum di Vienna. Un viaggio tra le molteplici sfaccettature che caratterizzano il genere della natura morta

Giuseppe Fantasia

Treviso. Passeggiare per le viuzze e i tanti canali che circondano, proteggono e abbelliscono questa città veneta è una cosa da fare almeno una volta nella vita come spingersi poco più là della piazza dei Signori e di palazzo Zignoli, nel cui cortile c’è una copia della Fontana delle Tette legata al periodo della Serenissima Repubblica di Venezia e al potere dei Podestà. Si raggiunge così una piccola piazza dedicata al restauratore Mauro Botter, “raffigurato” sul muro di una casa a lui molto cara mentre sale una scala. Di fronte c’è l’ingresso di quello che fino al 1772 fu un convento e una chiesa dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, oggi un museo con opere del Cinquecento veneto - Lorenzo Lotto e Jacopo Bassano in particolare - e alcuni pezzi del Settecento, tra cui spiccano i pastelli di Rosalba Carriera, le tele di Sebastiano Ricci e quelle di Francesco Guardi, senza dimenticare i celebri affreschi di Tommaso da Modena con le Storie di Sant'Orsola conservati all'interno dell’adiacente chiesa sconsacrata. Ad attirare la vostra attenzione sarà il chiostro piccolo con tracce di preesistenti decorazioni ad affresco, ma soprattutto il chiostro grande con le sue eleganti linee architettoniche rinascimentali, arcate a tutto sesto e volte a crociera. In fondo troverete l’ingresso agli spazi che di solito ospitano le mostre temporanee, questa volta una delle più attese: “Natura in posacon capolavori dal Kunsthistorisches Museum di Vienna in dialogo con la fotografia contemporanea, in programma fino al 31 maggio prossimo.

 

“Visitandola - spiega al Foglio Francesca Del Torre Scheuch, curatrice per la pittura italiana del Rinascimento al celebre museo viennese e curatrice della sezione antica della mostra assieme a Gerlinde Gruber e Sabine Pénot, nonché autrice del catalogo pubblicato da Marsilio – si compie un viaggio attraverso le molteplici sfaccettature che caratterizzano il genere della natura morta”. Si va dalle scene del mercato a quelle di interni, dalle tavole imbandite alle vanitas, dalle nature morte venatorie a quelle floreali. L’Estate di Francesco Bassano (1585/1590), con i suoi episodi biblici e i soggetti di vita agreste attirerà la vostra attenzione nella prima sezione dedicata ai mercati, che assieme alle scene allegoriche delle stagioni appartengono ai precursori delle nature morte. Il Medico (1653), ricco di oggetti e particolari posizionati da Gerard Dou in primo o in secondo piano, è l’opera più importante della seconda sezione dedicata agli interni con i loro protagonisti che quasi sempre sono rappresentati in modo giocoso ironico, eroi senza nome provenienti dagli strati più bassi della società.

 

Seguono poi, nella terza sala, tavole imbandite con tappeti persiani, porcellane cinesi e frutti esotici in un’alternanza di forme e colori. La Natura morta con strumenti musicali di Evaristo Baschenis colpisce per la sua minuziosità e per il simbolismo della caducità. Le nature morte dedicate invece alla caccia sono minuziose e per averne conferma vi basterà soffermarvi ad ammirare gli Attrezzi venatori di Johannes Leemans, con utensili che simboleggiano quelli usati nella falconeria, arte venatoria praticata dai nobili. I fiori, simbolo per eccellenza della fugacità e una maniera, soprattutto all’epoca, per meditare sulle meraviglie della creazione divina, concludono il percorso di questa sezione antica che offre al pubblico la possibilità di ammirare (dedicategli qualche minuto in più della vostra visita per scoprirne i molteplici dettagli) il Mazzo di fiori in un vaso blu di Jan Brueghel Il Vecchio, “il Brueghel dei fiori”, come è stato definito.

 

Il percorso, impreziosito dalla sua installazione eccellente per i colori e i giochi di luce, continua al piano superiore dove troverete la sezione fotografica curata al meglio e come solo lui sa fare, da Denis Curti, direttore artistico di quello speciale gioiello veneziano che è la Casa dei Tre Oci, alla Giudecca. Dall’atmosfera intima e incantata della prima sezione, con opere delicate e preziose messe in risalto da luci soffuse e spotlight calde a contrasto, grazie a Curti si torna alla luce e al genere fotografico dello still life con immagini che sono il riflesso di quella modalità fotografica che intende avvicinarsi agli stessi sentimenti delle pratiche pittoriche. La natura morta – ci spiega – è il simbolo della caducità della vita e dell’effimero che attanaglia la materia e l’umanità intera capace di portare con sé un’attinenza spontanea con le ambizioni ideali che la fotografia ha maturato sin dagli esordi”.

 

“Quel binomio artistico tra pittura e fotografia – continua il curatore che ha accostato i fiori di David Lachapelle (Earth Laughs in Flowers) con le salse (Western Australia Roadhouse) e l’enorme toast (Spain, Benidorm) di Martin Parr alla splendida Vanitas in bianco e nero di Hans Op De Beeck e ai particolari di foglie (Herbarium) di Nino Migliori – vuole significare quel sentimento di continuità e di fascinazione che ancora oggi pervade la produzione contemporanea, andando al di là dei mezzi di produzione e degli strumenti creativi fino a portare l’attenzione sui sentimenti degli autori stessi, sui loro sogni e sulle loro visioni più intime”. Il risultato è sorprendente: quella realtà, come le tante del piano inferiore, non esiste, ma è viva più che mai grazie a chi la guarda.

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