Violentare la figura di Gesù è l'estrema forma di dissacrazione dell'uomo

Rocco Quaglia

Il ritorno dell’arte blasfema oggi nasconde la sua debolezza

Di Gesù era già stato detto tutto, ma nessuno poteva immaginare che qualcuno lo “dipingesse” come pedofilo e in atteggiamento esplicito. Esposto al museo comunale di Roma è comparsa una presunta opera d’arte raffigurante un Gesù in posa eretta con un fanciullo inginocchiato. L’immagine era stata segnalata sul quotidiano Libero lo scorso dicembre, e subito rimossa con scuse per “l’errore”. Forse l’arte non deve avere limiti, ma penso che qui l’arte c’entri davvero poco; non vedo nessun messaggio artistico, piuttosto un’adolescenziale quanto sciocca provocazione, al cui confronto le vignette di Maometto diventano poca cosa. Demolire la figura di Gesù equivale a demolire, in primo luogo, tutto ciò che siamo stati e siamo, vale a dire duemila anni di storia, di civiltà, di pensiero occidentale. La figura di Gesù, infatti, è l’ultimo argine che resta come esempio di vita e come modello di uomo per non precipitare nel nichilismo di un’esistenza omogeneizzata, dove tutto è indifferenziato, indistinto, uniforme, ovvero una vita vissuta senza più un perché e senza più uno scopo. Violentare la figura di Gesù rappresenta l’ultima ed estrema forma di dissacrazione dell’uomo, sia dell’uomo come ideale e meta dello sviluppo sia dell’uomo come figura adulta e di autorità. Non per caso il titolo del dipinto è “Ecce Homo”, che si potrebbe tradurre: “Ecco chi è l’uomo”. Questa espressione blasfema è soltanto una delle tante manifestazioni che da qualche tempo hanno il sacro come obiettivo da abbattere, più precisamente l’uomo sacralizzato, cioè pensato a immagine di Dio. Quel che lo psicologo coglie in tutte queste apparenti provocazioni è la denuncia di un malessere generazionale. In varie forme e modi questa generazione chiede un rimedio. In passato si protestava contro qualcuno per ottenere qualcosa; oggi, nel mondo dei diritti e delle libertà graziosamente concesse, il malessere può essere espresso soltanto mediante la provocazione, priva sia di un contenuto sociale sia di un destinatario, poiché il malessere non ha un’identificazione. Tuttavia, faremmo male a ridurre ogni cosa a semplici atti provocatori. C’è bisogno invece di una risposta, ma per rispondere è necessario comprendere.

 

Gli attacchi alla figura di Gesù non sono casuali; Gesù è una figura che rappresenta un ideale nel mondo occidentale. Sono attacchi di aggressività maligna, volta a distruggere, come dicevo, l’idea stessa di uomo, cioè quella idea, o ideale di uomo, che ogni bambino fantastica di essere un giorno con riferimento al proprio padre. In uno sviluppo soddisfacente è intorno all’immagine del padre che si forma e si sostanzia la personalità del figlio. Quando l’ideale del bambino si frantuma, per cause varie, di fronte alla delusione provata per il fallimento della figura paterna, nell’animo del piccolo resta un angoscioso vuoto. In altre parole, “un modello” è quel padre che si presenta al figlio (maschio e femmina) come colui che è “forte”, ossia accogliente, protettivo, rassicurante, ma anche un padre che limita e resiste alle richieste straordinarie del figlio, ponendo condizioni da soddisfare. Inutile ricordare che è la madre a presentare il padre ai figli. Al contrario, un padre accondiscendente e permissivo si rende inesistente al figlio, emotivamente non importante, condannandolo a un’esistenza di figlio, cioè di puer aeternus con desideri infantili, con una sessualità immatura, e un desiderio di distruggere tutto ciò che è sentito debole per realizzare quell’ideale di forza che non ha mai conosciuto. Un padre sentito forte è temuto, ammirato, rispettato, e questo attiva i processi di identificazione. Un padre debole è disprezzato, poiché disillude. In tale condizione il figlio può manifestare una chiusura depressiva alimentata da un senso di inadeguatezza per un fallimento vissuto come proprio, oppure può sperimentare odio verso quell’ideale che ha tradito le proprie attese. Per far cessare la sofferenza c’è un solo modo: negare che un ideale esista. Da questo deriva che ogni “immagine” simbolo di un qualsiasi ideale vada schernita, dissacrata e ridotta alla propria immagine bambina, piccola, crudele e perversa. In assenza di ideali, di valori, di dover essere, viene meno il confronto tra “l’ideale domanda di essere” e la realtà di vita che si vive. La più grande sciagura dell’occidente è la perdita del padre. Era rimasto solo Dio come “Padre nostro”, un “padre” in unione con il “figlio”.

 

La figura di Gesù costituiva l’ultimo ideale per l’occidente, un ideale che se non è amato nella giovane età, non eserciterà mai alcuna attrattiva.

 

Gesù ha perduto oggi gran parte del suo fascino, di lui non si parla più in termini di forza, di colui che sferza i mercanti del tempio, che tiene testa ai capi del popolo, ai suoi giudici, e infine ai suoi carnefici, affrontando stoicamente il supplizio della croce. Questo ideale è stato degradato e ridotto alla nostra “altezza”: oggi si parla di un Gesù debole, effeminato, mammone, omosessuale e per finire pedofilo. Se Lui è come noi, non c’è colpa a non essere come Lui.

 

Comunque quel che preoccupa maggiormente non è una tale rappresentazione, per quanto indecente e sconcia possa essere, ma l’assenza di una risposta da parte di tutti, se pure tutti, in altra occasione, abbiano dichiarato il rispetto per il sentimento religioso. Mantenere il silenzio è indice di un’assoluta indifferenza, come se non ci fosse più nulla da salvare, o peggio come se tacitamente si avallasse un tale degrado morale. Può darsi che nessuno voglia accorgersene, ma con la raffigurazione del Redentore in quell’atteggiamento si cerca, forse inconsapevolmente, una giustificazione della stessa pedofilia. In ogni caso, la provocazione ha sempre tratti infantili e non è mai fine a sé stessa, poiché ha il “padre” come riferimento per motivarlo a reagire con “forza”, in vista di un confronto e infine di una rappacificazione. Senza la risposta, la provocazione diventerà sempre più aggressiva fino alla rassegnazione completa. Oggi, nel nostro mondo, tecnologizzato e magico, ci sono generazioni in balia di loro stesse senza più adulti da ammirare e imitare, ma anche da odiare e da mettere alla prova.

 

Queste provocazioni, ideologicamente presentate, sono attacchi all’età adulta, un’età di impegno, di responsabilità, di consapevolezza, in favore di un’infanzia da trascorrere nel paese dei balocchi.

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