La Storia c'insegna che non siamo padroni neanche di ciò che esce dalle nostre mani

Marco Archetti

Le risposte alle domande che nessuno s'era fatto. Un libro

Prima venne il podcast. E poi quest’intuizione che la Storia sia una macrostoria contenente microstorie in cornice che ne costituiscono l’ordito – e che, quindi, le cose siano consustanziali soprattutto quando non lo sembrano – ha guadagnato lo statuto di vero e proprio criterio di osservazione, e ha preso la forma di racconto, in un libro allegro, documentatissimo e senza note a piè pagina, intelligente trovarobato di aneddoti, brillante inventario ragionato di cose del mondo, sorprendente traiettoria che narra se stessa.

 

Storia imprevedibile del mondo di Sam Willis e James Daybell (il Saggiatore, 513 pp., 35 euro) contiene tutte le nostre vite a partire dall’intuizione puntiforme – Primo Levi chiamava così il piccolo dettaglio da cui sgorgava la sua narrazione – che un conto è lo studio della storia come la conosciamo accademicamente (ricerca sul passato attraverso lo studio di uomini, idee, conflitti, economie), e un conto è divagare, o meglio, “saper” divagare, cioè divagare con criteri specifici, e approdare a un ritratto puntinista in cui tutti i puntini sono uniti come nella Settimana Enigmistica. Accettato questo punto di vista – che a sua volta accetta le correlazioni più enigmatiche (tali sono in apparenza, in realtà sono solo meno indagate) – non sarà più strano scoprire che la barba ha un nesso con la guerra di Crimea, le graffette con la Norvegia e la Stasi, e i gatti con la Rivoluzione francese: del resto, perché no? La Storia è fatta non solo della decifrazione di contributi lineari e universali, ma anche di fenomeni determinanti scatenati da un dettaglio, a loro volta generatori di altro: elefanti che partoriscono topolini e topolini che cavalcano elefanti, perché la Storia è un valzer di ragioni minuscole che caratterizzano le grandi, scambio continuo tra micro e macro, quadriglia di quadri che si contengono l’un l’altro, e non tutto è solo prospettiva secolare o complesso disegno preordinato.

 

Il testo è organizzato in trenta capitoli (“La mano”, “I guanti”, “Il profumo”, “La bolla”, “Gli orologi”, “Il prurito”, “I sogni”, “La spazzatura”, ecc…) e dalla ramificazione di ogni indagine si procede verso un’altra, correlata talvolta incredibilmente. Leggendo, colpirà certamente scoprire la centralità del guanto nello sviluppo umano e il fatto che gli esterni del baseball abbiano cominciato a usarlo molto tardi a causa della pillacchera antivirile che, all’inizio, sembrava rappresentare (disonore sulla mascolina capacità di resistenza al dolore e alle fratture). Oppure compulsare, al capitolo 27, la piccola antologia della diffidenza verso il sorriso che, ben oltre il tramonto dell’Ancien Régime, gravava ancora sulle relazioni sociali, essendo diffusamente associato per lo più ai bifolchi, alle meretrici e agli indemoniati (l’arte ci mise del suo, con Dirck van Baburen e Frans Halls che nel 1622 e nel 1635 rappresentarono una mezzana e una pazza nell’atto scostumato di una risata piena). La storia del sorriso segue di pari passo quella dell’odontoiatria – aprire la bocca, fino al secolo scorso, significava spesso mostrare una parata di denti marci – e da essa verrà sempre determinata, giacché il sorriso come strumento sociale o seduttivo è diventato tipico di un mondo più evoluto, almeno dal punto di vista igienico e commerciale; un mondo più sano, che deve vendere dentifrici. Sorprendente anche scoprire che, grazie all’evoluzione della gascromatografia-spettrometria di massa, oggi possiamo avere un’idea molto precisa degli odori del passato: grazie al naufragio di una nave da guerra di Enrico VIII nell’estate del 1545 e ad alcune boccette conservatesi intatte nell’armadietto di un medico di cabina, possiamo sapere che aroma aveva, esattamente, l’“Acqua d’Ungheria” o l’allora sponsorizzatissima “Ambra grigia”, molto usata anche oggi in profumeria, la quale non sarebbe altro che una parte di calamaro non digerita dai capodogli, espulsa dall’intestino. Insomma, la Storia ha molte storie da raccontare, e in questo libro ci sono tutte quelle su cui nessuno si era mai fatto grandi domande. Aromi compresi. (Ma anche la Storia – sorpresa! – ha un suo odore: acido acetico, furfurale, benzaldeide, vanillina, esanolo.)

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