Gina Lollobrigida, all'anagrafe Luigia Lollobrigida, è nata a Subiaco il 4 luglio del 1927 (foto LaPresse)

Elogio della vecchiaia

Giuseppe Fantasia

Un’icona arcitaliana che non ha mai smesso di essere fischiata per strada. La vita secondo Gina Lollobrigida

La vecchiaia? “E’ la rivelazione suprema del carattere e in questo senso è la manifestazione piena dell’esistenza”, scriveva James Hillman (1926-2011), celebre psicoanalista, saggista e filosofo statunitense, ne La forza del carattere (Adelphi), il suo bestseller più conosciuto, un libro a dir poco straordinario che ha per argomento la vocazione, il destino, il carattere, l’immagine innata e le cose che sostanziano la cosiddetta “teoria della ghianda”, quell’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere tale. Una volta anziani – sosteneva l’autore – diventa straordinariamente più facile comprendere la nostra vita. Basta rimpianti, quindi, niente strade sbagliate, niente veri errori, perché “l’occhio della necessità svela che ciò che facciamo è soltanto ciò che poteva essere”.

 

Chioma perfetta, gioielli di ogni tipo, un anello sulla mano sinistra su cui spunta uno smeraldo grande come due noccioline

La conferma di tutto questo ce l’abbiamo durante l’ora trascorsa insieme a Gina Lollobrigida, simbolo dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta e della sua rinascita, icona (non soltanto) sexy del cinema di quel periodo di cui sono in molti a sentirne la mancanza. Siamo a Taormina, sotto il pergolato di un ristorante, ci sono quasi quaranta gradi, ma lei non si scompone mai, nemmeno quando assaggia una delle sei granite che le vengono offerte. Sta per ritirare il Premio Cinematografico delle Nazioni, giunto quest’anno alla sua tredicesima edizione, un premio voluto dal critico cinematografico Gian Luigi Rondi, suo grande amico, oggi organizzato da Michel Curatolo e dalla Agnus Dei di Tiziana Rocca. Chioma perfetta, gioielli di ogni tipo, a cominciare dall’anello sulla mano sinistra su cui spunta uno smeraldo grande come due noccioline di wasabi, giusto per restare in tema con l’abito giapponese rosso e dorato (sobrietà, questa sconosciuta). Si muove a piccoli gesti, osserva, assaggia con cucchiaiate profonde, ma il rossetto resta sempre perfetto, senza alcuna sbavatura. Lei sembra non patire quelle alte temperature, il suo trucco ancora meno. Davvero un mistero, perché quei tipici dessert freddi siciliani, invece, si sciolgono in pochi minuti. “Ho una gran voglia di vivere e tutte le difficoltà e gelosie che ho avuto nella vita le ho superate”, confessa al Foglio. Ecco qui ancora Hillman che riteneva che ciascun essere umano, soprattutto una persona anziana, compensi le proprie debolezze con la forza, potenziando e controllando ogni inettitudine. Lei, “la Lollo”, come la chiamano i più da sempre, a 92 anni da poco compiuti – pardon, a “trenta, più trenta più trenta più due”, come ama ricordarci tra il serio e l’ironico – lo dimostra. E’ a dir poco unica, non ha rimpianti e non pensa affatto di aver mai percorso strade sbagliate. Tutti la cercano e tutti la adorano, la invitano ovunque, ma tanto alla fine – precisa – “sono sempre io a scegliere se e dove andare”. Che sia stata una bersagliera (in “Pane, Amore e fantasia” accanto a Vittorio De Sica), una provinciale (nell’omonimo film di Mario Soldati) o una cantante famosa e bellissima (Lina Cavalieri in “La donna più bella del mondo”), persino la sorella di Napoleone (Paolina Bonaparte in “Venere Imperiale”) o la fatina dai capelli celesti nel “Pinocchio” di Comencini, continua a essere amata dal pubblico. Perché?, vien da chiedersi. “Probabilmente perché non ho mai recitato”,ci risponde subito senza pensarci, “ma ho sempre interpretato un personaggio, che è poi la cosa più difficile da fare. Questa è stata la mia regola. In tal modo si ottiene molto più rispetto e un risultato di verità”. “Sono stata sempre abbastanza prudente, ho avuto tante opportunità e offerte di lavoro, ma alla fine ho scelto sempre le cose che non facevano mai male a me o agli altri”.

 

Tutti la cercano e la invitano ovunque, ma tanto alla fine – precisa lei – “sono sempre io a scegliere se e dove andare”

Al Teatro Antico, la sera prima, è stata accolta da una lunga standing ovation in cui la cosa che ha colpito di più è stato il fatto che ad applaudirla c’erano soprattutto molti giovani che, probabilmente, più che vederla nei suoi film – centinaia davvero, storie di un reale pieno di speranze e ancora tanti sogni da realizzare – l’hanno vista spesso in tv dalla Venier o da Vespa. C’erano anche gli immancabili nostalgici a ricordarla ancora come un sogno neanche poi tanto segreto di gioventù, come Eugenio Longo, 96 anni, l’elegantissimo ex sindaco di Taormina che è voluto salire sul palco accompagnato dall’assessora/badante per premiarla e per dar vita, a sua insaputa, a un siparietto tra il tenero e l’esilarante. “Sono sempre stato colpito dalla tua bellezza, sono stato e sono un tuo ammiratore, ci siamo visti altre volte, te lo ricorderai, anche se io ho conosciuto l’altra Gina”. E lei, impassibile, lo fissa e senza farsi attendere, forse proprio per fargli pagare a suo modo quel finale di frase non proprio felice, gli risponde: “Sai, ho avuto troppi corteggiatori. E’ impossibile ricordarli tutti”. Risate dalla platea e l’arzillo vecchietto con bastone che se ne va portandosi a casa “solo” un baciamano. La “tosta” Anna, protagonista di “Achtung! Banditi”, il primo film di Carlo Lizzani, è ancora lì e ne abbiamo le prove, e quella ragazza di Subiaco che la interpretò per la prima volta nel 1951 continua a dimostrarlo. Le attrazioni e la vita sessuale ci sono anche nella terza età, ci mancherebbe, ma la vita sessuale, ricorda sempre Hillman, “è in primo luogo immaginaria”. Nasce nell’immaginazione ed è di immaginazione che si alimenta e che continua ad alimentarsi. Poi però arriva Kent Haruf (1943-2014), lo scrittore americano dell’amata Trilogia di Holt, che nel suo romanzo postumo, “Le nostre anime di notte” (NN Editore), da cui è stato tratto l’omonimo film di Ritesh Batra con Robert Redford e Jane Fonda, dimostra che ci può essere qualcosa in più, raccontandoci la storia d’amore tra due ottantenni, Addie e Louis, facendo iniziare tutto da un campanello che suona e da una frase di lui: “Vuoi passare la notte con me?”. Lei accetta ed è subito amore, ma come può esserlo tra due persone di quell’età, entrambi vedovi, un amore fatto di racconti sussurrati, carezze e piccoli gesti di premura tra libertà e rimpianti. “Siamo tutti soli e ce ne stiamo per conto nostro per troppo tempo. Le notti sono la cosa peggiore. Dormire insieme, anche solo per parlare, aiuta”.

 

Nega tutto sulla rivalità con la Loren. E dice: “Non ho mai avuto bisogno di un protettore nella mia vita privata, né in quella pubblica”

La Lollo ha sempre vissuto totalmente i suoi amori, ha sempre avuto una vita sentimentale abbastanza solida e movimentata insieme. Prima con Milko Skofic, un uomo che negli anni Quaranta prestava servizio ai profughi presso Cinecittà, con cui decise di sposarsi e avere un figlio, Andrea. Dopo il divorzio seguirono altri amori, dichiarati e non, come quello con l’imprenditore Javier Rigau, più giovane di lei di trent’anni, una liason che ha anticipato quella “moda” di avere un toy boy esplosa poi tra le attrici americane e non, da Sharon Stone a Valeria Golino. Un amore poi naufragato perché lui cercò di truffarla. “Sono una buona e mi fido delle persone”, dichiarò anni fa la Lollo, poco prima di un altro scandalo di cui si parla anche in questi giorni, perché la Procura della Repubblica di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per il suo ex manager Andrea Piazzola, oggi trentaduenne, per fatti che risalgono a meno di dieci prima, tra case vendute vicino piazza di Spagna e milioni sottratti. Ma queste sono altre storie, le sue storie, ed è bene non entrarci. “Me la sono sempre vista da me”, incalza lei, “non ho mai avuto un bisogno di un protettore nella mia vita privata così come in quella pubblica e lavorativa”. Ogni riferimento all’altra diva per eccellenza, ma napoletana, anche lei con una folta chioma e un fisico da urlo, non è puramente casuale, ma guai a nominargliela, guai a chiederle di un’eventuale rivalità. “Non ho mai guardato le altre, ho guardato solo me stessa e gli sbagli da correggere”, precisa alzando la voce. “La rivalità l’hanno sempre fatta gli altri, non certo io”. Sette David di Donatello ricevuti, due Nastri d’Argento, ma niente Oscar. Hollywood l’ha omaggiata a suo modo con un Golden Globe per “Torna a settembre”(1961) di Rock Hudson, una sorta di Vacanze Romane con tanto di vespa ma in Liguria, e con una stella sulla Walk of Fame. “Non l’avevo mai considerata”, spiega. “All’inizio pensavo che fosse un premio turistico, poi invece, tornando a Los Angeles, mi sono resa conto del contrario, e ovviamente mi ha fatto molto piacere”. Mentre parliamo, un ragazzo la chiama, le grida che è splendida, ma lei continua a non scomporsi, perché comunque la si metta, è pur sempre una diva. “C’è stata la diva e la donna, ma la donna in me ha avuto sempre la meglio”. 

 

“Amo gli eccessi, ma nella mia vita sono stata semplice e sempre risoluta”. Quando si trasferì con la famiglia dal paesino laziale nella Capitale con papà falegname e madre casalinga, i soldi scarseggiavano e così lei, per aiutarli, cominciò a vendere caricature disegnate a mano con il carboncino. Questo almeno fino al 1947, quando partecipò, ma solo perché convinta da un amico, a Miss Roma, arrivando seconda, per continuare poi a Miss Italia dove arrivò terza. A recitare aveva iniziato già due anni prima in una commedia di Scarpetta, ma i successi veri arrivarono nel 1949, da “Campane a martello” a “Fanfan la Tulipe” (1952). Da quel momento diventò “la Lollo”, un mito assoluto, ancora oggi uno dei volti femminili del mondo dello spettacolo più celebri di sempre.  

 

E su Roma: “Detesto la violenza però, da intendere in molti sensi, per la sporcizia e per le buche. La mia soluzione? Esco di meno”

“Nella vita”, continua, “non si nasce professori e da tutti si può imparare. Ho frequentato capi di Stato come gente comune, della strada, il popolo, ed è anche per questo che sono amata. Ho conosciuto la guerra, ne so qualche cosa”. “Sono sempre stata me stessa, e con me stessa sono sempre stata severa. Non ho mai guardato ai soldi, ma soltanto alle storie”. Quando Neil Armstrong mise per primo un piede sulla luna, cinquant’anni fa, lei era in Messico. “Come molti, guardai il tutto con grande stupore. Quando tornarono, fu Armstrong a chiedere all’allora ambasciatore americano a Roma di poter fare una festa a casa mia e io accettai immediatamente. Non dissi nulla ai miei ospiti, così avere quei magnifici tre (oltre ad Armstrong, gli altri due erano Michael Collins e Buzz Aldrin) fu una grande emozione. Erano felicissimi e si comportavano come dei ragazzini quando sono in libera uscita o in vacanza”. Armstrong, e non solo lui, era un po’ innamorato di lei, ma tra i due non successe mai nulla, almeno così ci racconta. 

 

L’Italia, la sua Italia, “non è un paese per giovani”, ricorda. “E’ cambiata molto, purtroppo”, e quei suoi cambiamenti, “non sono allegri, ma questa è la vita”. “Il mondo va avanti, si hanno esperienze dure, ma così si impara a vivere”. Vive a Roma, nella sua bella villa sull’Appia Antica che i ladri hanno cercato di svaligiare ben undici volte, ma la Capitale le piace. “Detesto la violenza però, da intendere in molti sensi, per la sporcizia che c’è e per le buche. Anche questo è violenza. La mia soluzione? Esco di meno, ma so che questa non è la soluzione”. L’ambiente, tema centrale del Premio Cinematografico delle Nazioni di quest’anno, “va rispettato, ma questo qualche capo di stato ogni tanto se lo dimentica”. “Spero che si facciano meno sbagli in tal senso, perché in questo momento non possiamo proprio permettercelo”.

 

Le molestie sessuali e il #MeToo? “Anche io le ho subite, ma non ho mai denunciato. Prima non si aveva il coraggio di parlare. Avrei dovuto denunciare due persone, uno straniero e uno italiano, ma non lo feci. La prima volta ero innocente, non conoscevo l’amore, non conoscevo niente, quindi era ancora più grave e la persona era molto conosciuta. Avevo 19 anni e andavo ancora a scuola. Della seconda è meglio non parlarne. Ero già sposata e cominciavo a fare cinema. Non li ho denunciati per non rivelare una cosa mia”. Per cosa le piacerebbe essere ricordata?, le chiediamo prima di salutarci. C’è una macchina che la aspetta, un trucco da sistemare, foto, autografi, ancora foto e parrucchiere al seguito, robe da diva insomma. “Mi piacerebbe lasciare la mia testimonianza per quanto ho fatto per il cinema, ma anche per la scultura e la fotografia. Sono tosta, non è che mi si distrugge così”. Invecchiare non è un mero processo fisiologico, ma una vera forma d’arte.

 

Solo coltivandola potremo fare della nostra vecchiaia “una struttura estetica possente e memorabile” e incarnare il ruolo archetipico dell’avo, custode della memoria e tramite della forza del passato.

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