Il premier ungherese Viktor Orbàn (Foto LaPresse)

Ci vuole un romanzo per raccontare l'attualità. Due libri sull'Ungheria di Orbán

Micol Flammini

Il giornalista Adam LeBor e il rapporto tra realtà e distopia

Il Danubio sa sempre come far parlare di sé. Rive brune, acque che ingannano, ogni tanto fa capolino da qualche episodio di cronaca, spesso doloroso, come il battello con turisti sudcoreani a bordo che si è scontrato con un’altra imbarcazione, in diciotto sono morti. Il Danubio è così, ispira da sempre, è un teatro inquieto, eterno bardo di storie letterarie e anche politiche. Nei romanzi di Adam LeBor, ad esempio noir, quotidianità e finzione cercano di spiegare quello che i nostri tempi non sono più in grado di spiegare: come si trasforma una società. L’Ungheria è tra le nazioni che si sono trasformate più in fretta, lasciando analisti, politici e alleati stranieri inermi a osservare come un primo ministro spostava sempre più a destra il suo partito, da liberale si trasformava in illiberale, da europeista a euroscettico. La letteratura ha anche questo vantaggio, spiegare l’inspiegabile e visto che i nostri tempi sono quello che sono, contorti e masochisti, gli scrittori sembrano trovare nella quotidianità una grande ispirazione. Ad esempio, nulla come la Brexit, la separazione del Regno Unito dall’Ue continua ad avere dell’irreale, ha dato vita a romanzi, fumetti e serie televisive, tutte catastrofiche e tutte distopiche.

 

Il primo romanzo di LeBor, giornalista londinese, collaboratore dell’Economist e del Financial Times, era intitolato “District VIII” e raccontava la storia dell’uccisione di un migrante, ritrovato nella capitale ungherese, della campagna contro l’immigrazione fatta dal governo, delle indagini dell’investigatore Balthazar Kovacs. LeBor è stato corrispondente per diversi anni da Budapest, ha visto crescere l’orbanismo, ha visto le trasformazioni sociali, ha visto la capitale a poco a poco chiudersi su stessa e non ha scelto un saggio per raccontare questa trasformazione, ha scelto un romanzo. “District VIII” è uscito nel 2017, e due anni dopo il giornalista è tornato con un altro romanzo, un altro tentativo di raccontare Budapest, il suo governo e la sua Ungheria. Il titolo è “Kossuth Square”, “Piazza Kossuth”, la piazza davanti al Parlamento. In questo secondo libro la capitale ungherese è ancora più pericolosa, l’investigatore Kovacs lavora senza sosta a omicidi, rapine, esplosioni, e come se la violenza dalle parole si fosse mutata in qualcosa di concreto, in fatti ripetuti che hanno trasformato Budapest in un posto inquietante. Questa volta la polizia deve indagare sulla morte di un imprenditore del Qatar, trovato morto in un bordello. L’uomo avrebbe avuto un appuntamento il giorno seguente con il primo ministro, voleva fare degli investimenti importanti nel paese, trasformare e modernizzare l’Ungheria.

 

Oltre alla polizia, il governo ha riabilitato delle forze dell’ordine che esistevano da prima della guerra, dei gendarmi che hanno il compito di proteggere l’ordine nazionale, dipendono dal primo ministro e detestano la polizia. C’è una guerra tra forze dell’ordine, che va avanti dal primo romanzo, se Kovacs è il capo della polizia, il capo dei gendarmi è un tale Attila Ungar che fa colazione con il fegato di pollo. Kovacs invece è un personaggio complesso, a metà, metà ungherese, metà rom. Ha una fidanzata giornalista e un’ex moglie, ha anche una figlia che fa un dottorato in studi di genere. LeBor, che sta anche realizzando una serie televisiva sui suoi romanzi, ha descritto, con sfumature letterarie, prima il problema dell’immigrazione, la propaganda, la violenza verbale che diventa fisica, poi nel secondo romanzo ha invece parlato del clientelismo, di quel rapporto tra governo e ricchezza che lega politica e affari e che mantiene in vita il potere di Orbán. Un Orbán che non si chiama Orbán nei romanzi, ma la cui presenza si intuisce, si sente, come demiurgo di una società che si volta indietro. La grande domanda, la curiosità rimane però sempre la stessa, un giornalista che ricorre ai romanzi per raccontare il quotidiano. Quasi la realtà ci sfuggisse di mano, troppo irreale per essere raccontata fuori da un romanzo.

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