Tornano sotto i riflettori dei critici le due grandi distopie letterarie: la settimana scorsa se n'è occupato lo scrittore inglese John Lanchester (Foto Flickr)

"Diventeremo schiavi della cultura cafonesca". La distopia di Postman è diventata realtà

Giulio Meotti

Il critico americano Neil Postman capì tutto: “Il nostro ‘1984’ sarà l’oppressione da intrattenimento. E saremo felicemente sottomessi”

Nella visione di Aldous Huxley, l’umanità si trovava di fronte a un mondo anestetizzato dal piacere, dalla droga e da distrazioni volontarie: una ‘infantilizzazione civilizzata’. Per George Orwell, l’umanità avrebbe affrontato uno stato di guerra permanente e un controllo mentale totalitario”. Così lo scrittore inglese John Lanchester sul Financial Times della scorsa settimana ha provato a indagare quale scrittore distopico abbia di più capito e sia riuscito meglio a prefigurare il nostro tempo.

 

Venne il 1984 e non accadde nulla di terribile. La notizia principale fu Steve Jobs che presentò il suo primo Macintosh. L’universo di controlli, disperazione e squallore immaginato da Orwell nel suo celebre romanzo scritto nel 1948 non si realizzò. In una Londra simbolo di ogni altra società totalitaria, lo scrittore prevedeva il dominio assoluto del socialismo e del Grande Fratello, entità onnipotente, onniveggente, onnisciente. Prevedeva che la vita dei cittadini sarebbe stata in ogni attimo sorvegliata da una “psicopolizia” lettrice del pensiero, da schermi televisivi sempre accesi in ogni casa e capaci, oltre che di trasmettere, di spiare gesti e voci e smorfie degli abitanti.

 

Orwell temeva che saremmo stati distrutti da ciò che odiamo; Huxley, da ciò che amiamo; Postman, dall’intrattenimento che ci avrebbero sommersi. La soma è diventata virale. 

Prevedeva l’uso di una “neolingua”, destinata a rendere impossibile ogni forma di pensiero diversa da quella voluta dal Partito; la scomparsa della Storia, continuamente cancellata e riscritta secondo le esigenze politiche, e la cancellazione della memoria individuate. Nell’Europa che usciva dall’epoca delle dittature fascista e nazista, che conosceva lo stalinismo trionfante, quest’anticipazione di fantapolitica presentava qualcosa di spaventoso, ma non d’inverosimile. Nel giro di cinque anni, però, il Muro di Berlino sarebbe venuto giù. Due anni ancora, e l’Unione Sovietica era già storia. La distopia immaginata da Orwell è certamente quella cui oggi si fa continuo riferimento. Ma ce n’è un’altra, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley.

 

Si nasce in bottiglie. Le capacità fisiche e mentali degli individui sono preordinate e ogni classe è condizionata in modo da rispondere esattamente al compito a cui la si destina. L’educazione, ridotta allo strettamente necessario, è impartita “secondo gli ultimi ritrovati della psicologia sperimentale: ipnopedia, o suggestione, durante il sonno, per mezzo di altoparlanti, di norme di condotta, di gusti, di abitudini; espedienti di behaviorism, per cui si provocano nei bambini associazioni piacevoli o dolorose a seconda che si desidera che essi ricerchino o rifuggano determinati oggetti. Si condizionano le masse. Condannata la passione, condannata la famiglia, gli spettacoli mirano solo a deliziare i sensi. Un mondo igienico, sterilizzato, senza virtù e senza vizi, senza infamia e senza lode, meccanicamente perfetto, spiritualmente mortale.

 

“Nel ‘Mondo nuovo’, il sesso è una distrazione e una fonte di divertimento, quasi una droga”, scrive ancora Lanchester. “Huxley avrebbe guardato il nostro mondo di intrattenimento di massa sessualizzato e sarebbe stato premiato per le sue previsioni. Orwell vide un futuro in cui lo stato scoraggiava il sesso. Sotto questo aspetto Orwell aveva completamente torto e Huxley perfettamente ragione. Orwell ha scritto di un mondo che era sensualmente limitato, grigio. Huxley ha visto un futuro in cui la vita sarebbe stata molto piacevole, ma in modo indolente, letale, piacevolmente intorpidito. Piaceri senza pretese e intrattenimenti indiscussi erano fondamentali per il funzionamento della società. Le fonti di distrazione svolgevano un ruolo vitale. I ‘feelies’, la principale fonte di intrattenimento di massa, erano tutti incentrati sulla fuga dal sé. Il metodo preferito è ‘soma’, un farmaco privo di effetti collaterali che garantisce la felicità dissociata. Qui Huxley avrebbe potuto guardare all’uso moderno di farmaci antidepressivi, anti ansia e sedativi e concludere che aveva capito”.

 

Si discute su chi, fra Orwell e Huxley, ha previsto meglio il nostro domani. Secondo Postman, l’autore del “Mondo nuovo” 

Il tema di un attacco alla privacy fu invece previsto da Orwell. “Il crimine del pensiero è uno dei più gravi in ‘1984’. Non abbiamo i ‘due minuti di odio’ ufficiale, come nello stato di Oceania di Orwell, ma i nostri equivalenti social media ci vanno piuttosto vicini. L’idea di una società permanentemente stratificata in classi sociali ereditate o geneticamente determinate si adatta bene a un mondo moderno in cui le società più ineguali sono anche quelle in cui le persone hanno maggiori probabilità di ereditare le proprie opportunità di vita. Una società dominata a livello mondiale e governata da un partito e un leader forte, una società che usa ogni possibile metodo di sorveglianza e raccolta di dati per monitorare e controllare i suoi cittadini, una società che sta godendo anche di un record di prosperità e abbondanza, e che usa tecniche senza precedenti nella scienza e nella genetica – questa società assomiglia molto a una miscela delle visioni di Orwell e di Huxley”.

 

Altri scrittori nella seconda metà del Novecento avrebbero provato con la distopia, da “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury (un mondo in cui i libri sono bruciati perché pericolosi) ad Anthony Burgess, con le sue denunce del socialismo di marca inglese degenerato in uno strapotere di sindacati dalla soffocante protervia, in cui niente funziona e tutti sono perennemente in sciopero al fine di ottenere miglioramenti di orari e salari.

 

 “Orwell temeva che saremmo diventati una cultura prigioniera. Huxley temeva che saremmo diventati una cultura banale”

Venne dunque il 1984 e anche un grande critico americano, Neil Postman, ci offrì la sua visione del “Mondo nuovo”, forse la più realistica, di cui si è tornati adesso a parlare. Alla Fiera del libro di Francoforte del 1984, Postman, che faceva parte della piccola schiera di critici culturali americani assieme ad Allan Bloom e a Christopher Lasch, discusse proprio le visioni di Orwell e Huxley e concluse che entrambi avevano ragione, ma che la distopia vera sarebbe stata un’altra. Benché Huxley non avesse specificato che la televisione sarebbe diventata la nostra droga principale, non avrebbe difficoltà ad accettare l’osservazione di Robert MacNail, secondo il quale “la televisione è il soma del ‘Nuovo mondo’ di Aldous Huxley”.

 

“Aspettavamo tutti il 1984”, scriveva Postman nel suo capolavoro dimenticato, “Amusing ourselves to death”, uscito l’anno dopo. “Venne, ma la profezia non si avverò; gli americani più riflessivi tirarono un sospiro di sollievo, congratulandosi per lo scampato pericolo. La democrazia aveva resistito. Altrove nel mondo forse c’è stato il terrore; a noi furono risparmiati gli incubi di Orwell. Nella visione di Huxley la gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che libera dalla fatica di pensare. Orwell temeva che i libri sarebbero stati banditi; Huxley, non che i libri fossero vietati, ma che non ci fosse più nessuno desideroso di leggerli. Orwell temeva coloro che ci avrebbero privato delle informazioni; Huxley, quelli che ce ne avrebbero date troppe, fino a ridurci alla passività e all’egoismo. Orwell temeva che la nostra sarebbe stata una civiltà di schiavi; Huxley, che sarebbe stata una cultura cafonesca, ricca solo di sensazioni e bambinate”.

 

Postman temeva che la grande capacità di distrazione degli occidentali avesse compromesso la loro capacità di pensare. “Quando una popolazione si distrae con le trivialità, quando la vita culturale viene ridefinita come un perenne giro di divertimenti, quando una seria conversazione pubblica diventa una forma di discorso adolescenziale, quando, in breve, un pubblico diventa audience e la sua attività pubblica un atto di vaudeville, allora una nazione si trova a rischio; la morte della cultura è una chiara possibilità”. La distopia di Postman è una società totalitaria morbida, governata da una dittatura benevola dove ci si gode la sottomissione attraverso il condizionamento televisivo-digitale e il consumo culturale. E ancora dovevano nascere i social media, la distopia online.

 

L’autore di “1984” temeva chi ci avrebbe privato delle informazioni; lo scrittore del “Mondo nuovo” chi ce ne avrebbe date troppe

 Postman aprì il suo saggio con un accenno all’anno che l’aveva preceduto. Aveva parlato delle libertà di cui godevano gli americani e gli occidentali del 1984: culturali, commerciali, politiche. Il veicolo della loro oppressione? La televisione, che Newton Minow definì “una vasta terra desolata”. “L’intrattenimento è la sovra-ideologia di tutto il discorso in televisione. Non importa ciò che è raffigurato o da quale punto di vista, la presunzione generale è che è lì per il nostro divertimento e piacere. E’ per questo che anche nei notiziari che ci forniscono quotidianamente frammenti di tragedia e barbarie, siamo sollecitati dai giornalisti a ‘unirsi a loro domani’”. La nuova censura sarebbe stata paradossale secondo Postman: “Il nostro ministero della Cultura è huxleyano, non orwelliano. Fa tutto il possibile per incoraggiarci a guardare continuamente. I tiranni di tutte le varietà hanno sempre saputo il valore di fornire alle masse divertimenti come mezzo per placare il malcontento”. Ma i tiranni hanno sempre fatto affidamento, e continuano a farlo, sulla censura. “La censura, dopo tutto, è il tributo che i tiranni pagano al presupposto che un pubblico conosce la differenza tra discorso serio e intrattenimento. Quanto sarebbero felici tutti i re, zar e Führer del passato (e commissari del presente) a sapere che la censura non è una necessità quando tutti il discorso pubblico assume la forma di uno scherzo. Il Grande Fratello è Howdy Doody (popolare programma per bambini, ndr)”.

 

In un dibattito alla New York University, dove insegnava, Postman disse: “Due terzi della nostra vita sono televisione”. Cioè niente. Postman scrisse questo libro durante il periodo in cui divenne abituale pratica per i politici come George McGovern e Jesse Jackson dimostrare e amplificare la propria popolarità facendosi ospitare al “Saturday Night Live”. Nel corso della sua carriera, Postman smentì senza paura le illusioni allora di moda, come l’idea che la rivoluzione informatica sarebbe stata una panacea. “Se i bambini muoiono di fame in Etiopia, si verifica a causa della mancanza di informazioni?”, chiese in una convenzione del 1990 con degli scienziati informatici. “Il razzismo in Sudafrica esiste a causa della mancanza di informazioni?”.

 

L’uomo del XX secolo, disse Postman, fa ormai una quotidiana “indigestione di informazioni”. Moriremo di una indigestione di informazioni: “Da milioni di fonti in tutto il mondo, le informazioni arrivano”, scrisse ancora. “Dietro di esse, in ogni forma immaginabile di archiviazione – su carta, su nastro, video e audio, su dischi, film e chip di silicio – c’è un volume di informazioni sempre maggiore in attesa di essere recuperato. Come l’Apprendista Stregone, siamo inondati di informazioni. L’informazione è diventata una forma di spazzatura”. Avvertì allora che la dittatura democratica avrebbe controllato i propri cittadini non attraverso le punizioni, ma attraverso i piaceri. “Orwell temeva coloro che ci avrebbero privato dell’informazione” scriveva Postman. “Huxley temeva coloro che ce ne avrebbero data così tanta da ridurci alla passività. Orwell temeva che la verità ci sarebbe stata nascosta. Huxley temeva che la verità sarebbe annegata in un mare di irrilevanza. Orwell temeva che saremmo diventati una cultura prigioniera. Huxley temeva che saremmo diventati una cultura banale”.

 

“La censura, il sogno di tutti i tiranni, oggi non è più necessaria, visto che il discorso pubblico assume la forma di uno scherzo”

Postman temeva l’avvento di una cultura cafonesca. “Ci sono due modi”, scriveva, “per spegnere lo spirito di una civiltà: nel primo – quello orwelliano – la cultura diventa una prigione. Nel secondo – quello huxleiano – diventa una farsa”. Da questa seconda oppressione è più difficile liberarsi, perché la catena non lega polsi e piedi, ma la nostra testa. Uomo di sinistra e membro del comitato di redazione della rivista The Nation, Neil Postman avrebbe probabilmente apprezzato l’ironia della propria morte, per un cancro alla gola all’età di 72 anni. Aveva capito che il Mondo nuovo sarebbe stato il condizionamento orwelliano del pensiero tramite l’intrattenimento huxleyano. “Sento che l’incubo di ‘1984’ – aveva scritto lo stesso Huxley a Orwell – è destinato a modulare l’incubo di un mondo che ha più somiglianze con quello che ho immaginato nel ‘Mondo nuovo’”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.