Topolino con un Piero Angela “paperinizzato” in Peter Quarky

Topolino di lotta, non di governo

Fabiana Giacomotti

Ha compiuto da poco novant’anni, ha uno zoccolo duro di lettori più adulti che bambini, ogni settimana spara contro la narrazione populista. Elogio di Topolino, delle sue parodie e dei suoi mondi alla rovescia

L’opposizione, o qualunque cosa la rappresenti nell’attesa beckettiana del compattamento del Pd, ha un validissimo alleato nei media e quasi certamente non lo sa. Topolino. Cartoon di lotta e non di governo. In Italia, il fascicolo brossurato con le avventure del detective dalla moralità integerrima e della banda dei paperi esce ogni mercoledì da tempi immemorabili, più di quarantacinque anni di sicuro, perché molti di noi nati a metà dei Sessanta lo ricordano come il loro primo acquisto autonomo e che costava cento lire, ma solo da un anno a questa parte, e da qualche mese con particolare intensità, ogni mercoledì Topolino scarica una fucilata contro la narrazione populista e i suoi strumenti di diffusione primari: la manipolazione via social, l’antiscienza, la paura del diverso.

 

Pare che leggere fumetti dall’età prescolare aiuti a sviluppare le facoltà cognitive più di quanto faccia la lettura di un semplice testo scritto

  

Per i suoi novant’anni, compiuti tre settimane fa, Topolino si è regalato una grande tavola con molti personaggi delle sue avventure, e vi figurano quasi esclusivamente abitanti di terre di pura fantasia e di etnie sconosciute. Il linguaggio delle storie è ricco e sofisticato come metà dei quotidiani nazionali non è più e certi rotocalchi popolari mai sono stati, perché il target di riferimento di Topolino continua a essere il preadolescente, ma lo zoccolo duro del suo lettorato siamo voi e io che ne seguiamo le storie da quando la massima espressione dei mutamenti sociali in corso era Paperetta Yé-Yé e assomigliava a Rita Pavone. Sull’ultimo numero comparivano gli aggettivi “dogmatico” e “declassato” mentre, per dire, l’altro giorno l’amica gastroenterologa Laura ha dovuto riformulare la domanda a una giovane mamma in attesa di gastroscopia perché inabile alla comprensione del sostantivo “digiuno”. Alla sua faccia smarrita ha scandito a voce alta: “Signora, è a stomaco vuoto?” e quella si è illuminata e ha accennato un sì con la testa; forse era spaventata, o forse il ministro Marco Bussetti farebbe bene a rivedere il piano di eliminazione dei compiti. Il cervello dei ragazzi è in vacanza già troppo spesso e quello dei loro genitori lo segue da vicino.

 

Il sessanta per cento dei lettori di Topolino ha più di trentacinque anni e un profilo socio-culturale equiparabile a quello del quotidiano che state leggendo, anche nell’iconoclastia. Il restante quaranta per cento ha un’età compresa fra i sette e i dodici anni e, dicono le ricerche, è più brillante e sveglio dei coetanei. Pare che leggere fumetti dall’età prescolare, unire cioè disegni e scrittura in una stessa immagine, aiuti a sviluppare le facoltà cognitive più di quanto faccia la lettura di un semplice testo scritto, e che questo avvenga soprattutto in caso di lettura condivisa, cioè fatta con fratelli o genitori. Di certo, Topolino ci mette del suo per tenere insieme gli uni e gli altri: dopo anni di crollo verticale nelle vendite, il tasso di acquisto e lettura si è fermato a un livello accettabile per chi deve mantenere una redazione di trenta persone, tenere in attività centoquaranta fra sceneggiatori e disegnatori e produrre circa seimila tavole all’anno per il solo albo settimanale. Si dice che gli abbonamenti siano in crescita, ma è un fatto che solo di inchiostro a colori se ne vadano decine di migliaia di euro alla settimana. E poi c’è quella missione educativa per così dire storica da coniugare con un lettorato più che adulto, talvolta rimasto affezionato all’acquisto anche nella terza età.

 

La difficoltà di parlare al pubblico dei bambini e a quello della mezza età è il motivo per cui una sceneggiatura può prendere intere settimane

La difficoltà di parlare a un doppio pubblico, quello dei bambini e quello della mezza età, è il motivo per cui una sceneggiatura può prendere intere settimane, in particolare quella di apertura, sempre più di frequente legata alla cronaca o alle tendenze del momento. Circa un mese fa, Gambadilegno ha indossato i panni di un aspirante dittatore che sfrutta i social media per controllare i cittadini e orientarne le scelte politiche; la scorsa settimana, un Piero Angela “paperinizzato” da Silvia Ziche in “Peter Quarky”, ha combattuto contro un gruppo di ciarlatani che mira a trasformare la scienza in sondaggio e opinione, lasciando parola e orientamento decisivo su questioni capitali a una platea di villici e di boccaloni armati giusto del telecomando e della propria sicumera. “Stasera parleremo di due nuovissime teorie! La prima sostiene che la luna non esiste, mentre la seconda dice che forse esiste ma è un ologramma. E’ aperto il televoto”.

 

 

Sull’account Instagram #topolinomagazine e il sito del settimanale, la riproduzione della copertina e il commento della redazione hanno fatto il pieno di like: “Clickbait? Fake news? Cialtronaggini? Esempio: un avviso mette in guardia dai cellulari, perché premendo troppe volte lo zero si potrebbe finire catapultati in un’altra dimensione. Ma vi rendete conto? Per fortuna al mondo esistono persone in grado di ragionare e non fermarsi alle apparenze. Occhi aperti ragazzi. Promettete di non cascare in queste trappole e di verificare le notizie ogni volta che potete?”. Insomma, ci si rivolge ai figli per sensibilizzare i genitori. Si rassicura il lettorato adulto sulla sua capacità di analisi e di decodifica della realtà mettendo sotto i riflettori soggetti che possono invece permettersi di non capire e il lusso di crescere; che, anzi, devono farlo il meglio possibile, con i valori e la famosa integrità-tà-tà che il massacro di Corinaldo ha dimostrato essere andata a farsi benedire, insieme con quella povera mamma che, accidenti, aveva accompagnato la figlia ad ascoltare uno che la apostrofava “hey troia” senza avere trovato la forza per impedirglielo, spiegandole magari e nel contempo che non ci si fa mettere sotto i piedi a questo modo da nessuno e che migliaia di donne continuano a morire nel mondo perché questo non avvenga.

 

Un Piero Angela “paperinizzato” ha combattuto contro un gruppo di ciarlatani che mira a trasformare la scienza in sondaggio e opinione

Non ci sono dubbi che i calembour e le simbologie di cui Topolino è costellato siano rivolti agli ultratrentenni laureati e che a un dodicenne debbano almeno essere spiegati (“siete sicuro che la scienza vada elargita? Non sarebbe meglio chiuderla in cassaforte, quotarla in Borsa, investirla?”, implora un Paperone piangente a Peter Quarky), ma è altrettanto evidente che si spera che questo avvenga. E’ cambiata la temperatura basale delle storie, decisamente più elevata, e le sceneggiature coprono interessi più vasti rispetto alle cacce al tesoro di un tempo, che pure rimangono, nella seconda parte della rivista. I cattivi di sempre rubano meno soldi, perché ambiscono al furto di identità e di libertà di pensiero; i buoni si sono fatti furbi, cioè un pochino meno buoni. Se si considera che il settantacinque per cento dell’intera produzione disneyana mondiale esce da un palazzone sulla strada per Abbiategrasso, alla periferia di Milano, dove ha sede locale la Panini di Modena che nel 2013 ha comprato i diritti di pubblicazione di tutte le testate e della relativa gadgettistica, probabilmente ha più influenza internazionale Topolino di tre quarti della stampa italiana, inchiodata alla barriera di Chiasso dalla barriera linguistica e dalla debolezza economica.

 

 

Il Topolino di oggi assomiglia molto di meno all’animaletto in mutandine rosse e scarponcini gialli delle strisce apparse sul Giornale del Popolo nel 1931, e si era già in epoca fascista, e molto di più al Gulliver di Jonathan Swift e alle sue allegorie di mondi alla rovescia, troppo simili a quello conosciuto per non osservarli con disgusto.

 

Alla Panini preferiscono esporsi il meno possibile, e c’è da capirli. Nel sede sulla strada per Abbiategrasso cui si accennava all’inizio e da cui fra breve, oh gioia, verrà pubblicata anche la prima parodia di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen con Paperina nei panni di Elizabeth Bennett, un lavoro di tre anni fra sceneggiatura, disegni e letterali prove costume per il cast dei pennuti, (mettetela come volete, ma c’è gente che conosce Manzoni solo attraverso i Promessi paperi), il direttore editoriale di Topolino Alex Bertani dice guardingo che no, “il Topo (nessuno lo chiama altrimenti, nda) continua a essere apolitico come è sempre stato” ma che sì, in effetti “negli ultimi tempi il legame con la cronaca e i grandi movimenti sociali si è fatto un po’ più evidente”. Dopotutto, quando Mario Monti si insediò a Palazzo Chigi, la Lega in cui Matteo Salvini andava facendosi le ossa scandì dura che avrebbe vigilato sulla “nuova Banda Bassotti”. L’antropomorfismo dei personaggi sui quali Walt Disney lasciò la salute guadagnandosi la fama di dittatore reale e ben oltre le sue velate simpatie naziste, è da sempre terreno di metafora e parallelismi per la politica italiana e, se vogliamo essere onesti anche noi, non da oggi. Sulla meritocrazia, per esempio, la banda dei paperi ci andò pesante già nel 1988, facendo di Paperino il portaborse dell’“onorevole Papeotti” tramortito dalle richieste di “raccomandazioni che logorano chi non ce le ha”, dall’assenteismo (“è uscito sei anni fa a prendere il caffè, ma dovrebbe tornare da un momento all’altro”), dalla burocrazia maldisposta e fancazzista, dal linguaggio della politica (“lo scoccialriformismo non passerà! Indiremo un referendum” e, in effetti, la storia potrebbe essere aggiornata all’argomento Tav domani mattina). Il divo Giulio, che adorava Walt Disney, si divertì moltissimo a quella satira tutto sommato blanda, lontana dei graffi dispensati oggi ai lettori rincretiniti di smartphone o anche dalla violenta satira antiamericana del cortometraggio underground diretto da Whitney Lee Savage e prodotto nientemeno che da Milton Glaser del 1969, in cui Topolino si arruola nell’esercito americano e poco dopo essere sbarcato in Vietnam viene ucciso con un colpo di fucile alla testa (potete trovarlo su YouTube, dura meno di un minuto, è straziante). Zio Paperone si occupò poco dopo dello Stretto di Messina e ancora Paperino di un “iniquo equo canone”. Stava arrivando Tangentopoli, e lo sentiva anche l’albo dei paperi. Si sfiorò invece l’incidente politico vero, e lì vi mise il naso con gusto anche il Corriere della Sera, quando nel 2013, in pieno processo Ruby, Topolino venne chiamato alla centrale di polizia di Topolinia come garante dell’amico Atomino Bip Bip (giovane, minuscolo, ipoteticamente indifeso), dicendo agli agenti che lo avevano arrestato che si trattava del “nipote dell’imperatore del Giappone”.

  

Il 75 per cento della produzione disneyana mondiale esce da un palazzone alla periferia di Milano dove ha sede locale la Panini

Bertani, che in Italia gestisce anche i supereroi della Marvel, di certo meno politicamente impegnati di Topolino nonostante la gloriosa nascita antifascista e talvolta sionista di molti di loro, dice che un cambio di passo era inevitabile ma che, dopotutto, “avulso dalla realtà, Topolino non è mai stato”. In realtà, si è anche molto emendato di certi comportamenti che oggi verrebbero definiti politicamente scorretti. Per dirne una, il solito Gambadilegno non decapita più nemici e sodali (non possiamo credere che ci faccia così impressione veder decapitare un’oca) e Paperino, capo della famiglia più allegramente distopica che si possa immaginare, dove non si sa bene chi sia figlio di chi e nipote di che cosa, dopotutto alla fine siamo tutti uova, non minaccia più di sculacciare i nipotini Qui, Quo, Qua. L’educazione si ferma alle parole e ai fatti, e non di rado sono i tre paperotti a cantargliele. Sulla diversità culturale, invece, il punto rimane fermo: “Nessuno potrebbe essere più diverso di Topolino e Pippo”, osserva il direttore, “ma il primo ha spesso bisogno del pensiero laterale del secondo per potenziare la propria intuizione”.

 

La scorsa estate, mentre Salvini faceva il gioco durissimo sull’Aquarius e mezzo Parlamento ne sfruttava le opportunità mediatiche, al TEDxTrento una delle storiche animatrici Disney, Cinzia Angelini, presentava il suo film d’animazione, “Mila”, uno sguardo infantile sulla Seconda guerra mondiale, sottolineando il valore unico dell’animazione per raccontare le diversità e “abbattere gli ostacoli posti dall’ignoranza e dalle differenze culturali”. Nel medio oriente c’è l’esempio virtuoso del Gatto del rabbino di Johann Sfar e la Persepolis di Marjane Satrapi; entrambi, però, sono letture (e visioni cinematografiche) quasi esclusivamente adulte. Topolino tiene abilmente le zampe su entrambi, e recupera consensi dopo ogni attacco. Quattro anni fa, dopo che Andrea Scanzi aveva inscritto Topolino e i testi dei fratelli Righeira fra le letture fondative della cultura renziana, insorsero non solo i maggiori esperti di fumetti, ma perfino un paio di economisti, ravvisando nell’esportazione delle storie del “Topo” una delle eccellenze italiane, come peraltro diceva anche Dino Buzzati, fan di Paperino: “Gli amici e i colleghi ridono quando sanno che leggo volentieri le storie della Disney? Che ridano pure”. Nel frattempo è chiaro che Renzi, il topolinista, abbia un nuovo piano per chiamare a raccolta le Giovani Marmotte. Qualcuna perfino di nuovo reclutamento.

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