Die Augsburger Monatsbilder

Nella società post eroica affiora la paura. C'è chi la sfrutta e chi si chiude

Alberto Brambilla

Le radici dell’occidente spaventato in un nuovo saggio

Roma. La Zeit esortava il popolo tedesco a essere coraggioso, Sei mutig!, nella storia di copertina di Maximilian Probst. Non per caso Probst prende a prestito il termine “società post eroica” per descrivere la Germania contemporanea. Una nazione a basso tasso di riproduzione demografica, innamorata del rischio zero, religiosamente distaccata, e perciò spaesata. Per dirla come Giulio Meotti sul Foglio, anche “un gigante economico può rivelarsi un nano morale” in quanto una nazione priva di coraggio, per quanto ricca possa essere, rischia di consumarsi lentamente. Da qui l’appello-allarme della Zeit.

     

Quali caratteristiche sviluppa una società in cui coraggio individuale non è più considerato un carattere rilevante? Qualcuno, davvero, ambisce oggi a essere considerato “eroico” oppure, com’è probabile, privilegia la ricerca della felicità in modo edonistico? Cosa comporta smarrire l’eroismo? E a cosa lascia spazio?

   

Una risposta può essere trovata nel saggio “La paura in occidente, storia della paura nell’età moderna” (IlSaggiatore) di Jean Delumeau, storico e docente al College de France, un excursus storiografico sulle paure che hanno attraversato l’Europa nell’età moderna covate dalla massa, dalle classi dirigenti, dagli individui.

  

Nel Rinascimento Delumeau inscrive l’ascesa nella società occidentale dell’elemento borghese accompagnato da una narrativa epica che esalta l’eroismo e la temerarietà assegnando queste caratteristiche alla aristocrazia. Diverse minacce gravavano sugli uomini in combattimento di cui viene esaltato il valore. Il che fornisce anche una giustificazione, agli occhi del sovrano, del loro status sociale e del loro potere. L’epica eroica è stata strumento dell’aristocrazia per affermarsi in epoca di battaglie, la paura (assimilata alla viltà) era caratteristica assegnata al popolo. Concetto antico, quest’ultimo, già introdotto da Virgilio nell’Eneide: “La paura è prova di bassi natali”. L’esaltazione dell’eroismo ha cancellato dalla narrazione la paura, sorella della condizione umana, coprendola come un velo. Peste, recessioni agricole, condizioni climatiche gravi, carestie, rivolte e invasioni di popoli stranieri sono fenomeni che nello stesso periodo penetrano il vecchio continente. Paure reali che per la chiesa non erano da temere di meno di paure artificiali, come il peccato, la morte dell’anima, o il diavolo. Una risposta, ancora una volta, fornita alla classe dirigente che si sentiva accerchiata da una cultura rurale e pagana, ergo satanica. Un inventario dei mali del mondo, quello approntato dalla chiesa, i turchi, gli ebrei, gli eretici, le donne (streghe), profezie apocalittiche. La paura, dunque, può essere strumentalizzata e non da oggi. Molto dipende da come viene risolto il clima di terrore e se può essere battuto, uscendone vincitori.

   

Delumeau si chiede dunque se esista una relazione tra la coscienza dei pericoli e il livello culturale. “L’affinamento prodotto in noi da un lungo passato culturale non ci ha forse reso oggi più fragili di fronte al pericolo e più permeabili alla paura rispetto ai nostri avi?”. “Determinate civiltà sono state – o sono – più portate alla paura rispetto alla altre?”. E se, in riferimento alla nostra epoca, le “malattie da civilizzazione” – con cui si descrive il ruolo del tipo di vita contemporanea che le fa insorgere – si possano risolvere oppure no.

   

L’insieme di paure, peste, carestie, guerre di religione, ha provocato la malattia occidentale della percezione di uno stato d’assedio. L’Europa è infine uscita vincitrice. Ma adesso, come nota la Zeit, come risponde a “nuove” paure? Con quali energie? La strumentalizzazione politica di un set di paure, vere o immaginarie, dove conduce? Anche ora ne beneficia la “classe dirigente”?

  

Se la Germania è maestra, è il caso di ricordare la città di Augusta, una fortezza, circondata da fossati e barriere di ferro, il massimo dell’ingegneria del XVI secolo. Una città di soli 60 mila abitanti voleva difendersi dai nemici alle porte dell’impero in cui ogni straniero è sospetto, soprattutto di notte, dice Delumeau. Augusta rispose alla paura chiudendosi, non affrontandola con coraggio da eroe.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.