Foto di Ira Gelb via Flickr

Romanzi, stupro e tragiche violenze

Matteo Marchesini

In "Vergogna" di Coetzee ed "Espiazione" di McEwan attorno al nodo della violenza si ridefiniscono i confini tra verità dell’esperienza e correttezza civile

Nel XXI secolo, il postmodernismo si è allontanato da noi a passi rapidi. La riapparizione della Storia, coi suoi spettri pronti a farsi carne e sangue, ha indotto a rivalutare anche retrospettivamente una narrativa “realistica”, che ripropone in forme più temperate alcune tecniche moderniste, e che nei casi migliori fa emergere il contesto sociale dal puro gioco dei legami intimi tra i personaggi. Si pensi a Coetzee e a McEwan, alla loro versatilità tematica ma anche al loro stile misurato, “metallico”. Partito da parabole apocalittiche, kafkiane, che rispecchiano l’asettico meccanismo sopraffattorio del mondo sudafricano e occidentale in cui è vissuto, Coetzee ha poi sfruttato i modi del saggio e del diario, l’espediente del commento e della riscrittura di testi canonici. McEwan ha inventato apologhi sinistri e sorprendenti sulla vita famigliare, la scrittura, l’eros e la politica, riprendendo i procedimenti di condensazione e dilatazione temporale della Woolf. I libri più belli di questi narratori, “Vergogna” (1999) ed “Espiazione” (2001), appartengono alla loro fase “classica”. In “Vergogna”, la degradazione di un professore rivela la brutalità del Sudafrica post-apartheid e i rimorsi dei bianchi.

 

David Lurie, accademico cinquantenne che ha incanalato il suo libertinismo in una routine impiegatizia, corteggia per gioco Melanie “la nera”, un’allieva che dopo un inizio di relazione esitante e inquieto lo accusa di molestie. Condannato da un processo universitario di rigore anglosassone, Lurie abbandona Cape Town per le selvagge campagne dove sua figlia presidia un’ex fattoria hippie, passando i giorni tra lavori agricoli e assistenza veterinaria. Quando viene violentata da una banda di ragazzi neri, Lucy lascia il padre a bocca aperta scegliendo di non denunciarli: da lì in poi, anzi, si arrende alla protezione omertosa del bracciante Petrus, quasi dovesse scontare un debito per abitare la sua terra. Questa figlia testarda, e il mondo ostile che la circonda, costringono David ad affrontare il nocciolo duro dei rapporti umani, le emozioni ferine che è abituato a eludere.

 

“Espiazione” inizia invece nel 1935, in una villa della campagna inglese. La tredicenne Briony Tallis prepara uno spettacolo teatrale per una festa di famiglia, ma presto la sua fantasia di poeta in nuce e i suoi sentimenti ancora indistinti – gelosie, amori, smanie di protagonismo - si mescolano dentro e fuori di lei in una trama reale minacciosa e ingovernabile. Prima è ferita da Lola, la cugina quindicenne pronta a sottrarle la parte che ha creato per sé, poi interpreta erroneamente come una violenza a sua sorella Cecilia l’approccio di Robbie, il figlio della domestica che loro padre mantiene agli studi. Scesa la notte, questa miscela di sofferenze e di equivoci si concentra nell’attimo in cui Briony decide che l’ombra allontanatasi dal cespuglio dove Lola è stata appena stuprata appartiene a Robbie. In realtà il colpevole è un industriale che la cugina sposerà. Ma Lola non smentisce, enigmatica e passiva come Melanie, e finalmente “si lascia scrivere” la parte scelta per lei. Naturalmente la testimonianza comprometterà l’esistenza di Robbie, di Cecilia e della stessa Briony, la cui iniziazione all’adolescenza e all’arte coincide con un delitto. Nel finale una Tallis ottantenne, al termine della sua carriera di scrittrice, ci fa capire che ciò che abbiamo letto è il suo ur-romanzo, che adesso, mentre sta per sprofondare nella demenza, licenzia cancellando l’ultima menzogna: i veri Robbie e Cecilia non hanno vissuto l’amore che gli regala il suo risarcitorio plot, sono morti in guerra.

 

Di “Vergogna” e di “Espiazione” mi ha sempre convinto l’aspetto tecnicamente tragico: caso, fato, colpa, rimorso si fondono in una valanga che semina lutti e annulla l’io. Però solo in questi mesi weinsteiniani ho riflettuto sul fatto che la coincidenza di nitore e ambiguità tragica è ispirata dai temi dell’eros e della violenza sessuale. In tutti e due i romanzi si misura lo scarto tra il gesto muto, buio, e il suo racconto pubblico, che come scopre Briony non può ricevere una condanna o un’assoluzione inconfutabili, oggettive, perché il falso e il vero restano interi a carico di chi testimonia e interpreta. Sia in “Vergogna” che in “Espiazione” è infatti decisivo lo status letterario dei protagonisti: il Byron dell’operetta a cui lavora Lurie e l’alonata letteratura anni Trenta a cui si vota la giovane Tallis sono (anche) alibi per non affrontare gli eventi. Attorno al nodo della violenza sessuale si aggrovigliano le differenze di ceto e di pelle, si giocano il riconoscimento e la perdita di identità e onore, si ridefiniscono i confini tra verità dell’esperienza e correttezza civile. Non ci sono conclusioni da trarre. I romanzi non concludono, come conviene invece a ogni lotta politica. I romanzi dispongono davanti a noi tutti gli elementi, rispettandoli nella loro inconciliabile e non pretestuosa pluralità: ci permettono di contemplarli in un solo sguardo perché possiamo tenerli presenti insieme senza dimenticare né strumentalizzare niente.

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