Piero Ostellino (foto LaPresse)

Piero Ostellino, liberale

Carlo Stagnaro

È morto a 82 anni. È stato giornalista, scrittore e direttore del Corriere della Sera dal 1983 al 1987. Per lui la libertà, economica e politica, era il valore più importante e l’autonomia dell’individuo il fine ultimo 

Per ricordare Piero Ostellino, scomparso oggi all’età di 82 anni, non bisogna utilizzare il sostantivo (giornalista, scrittore e direttore del Corriere della Sera dal 1983 al 1987). Bisogna usare l’aggettivo: liberale. Per Ostellino la libertà, economica e politica, era il valore più importante e l’autonomia dell’individuo il fine ultimo. Questo era tanto più vero in un paese come il nostro, le cui potenzialità erano e sono tenute in ostaggio dai veti incrociati delle mille corporazioni.

 

Durante la sua carriera di giornalista, cercò in ogni occasione di valorizzare una prospettiva da sempre minoritaria nel nostro paese, e in alcuni periodi quasi clandestina. Nel 1963 fu tra i fondatori del Centro Einaudi di Torino. Dall’anno successivo ne diresse la rivista “Biblioteca della libertà” fino al 1970, contribuendo a scoprire, riscoprire e preservare il pensiero degli autori del liberalismo classico e a offrire ospitalità a quelli contemporanei. Il Corriere della Sera fu la sua casa professionale e spirituale dal 1963: per lui era naturale che il quotidiano della borghesia illuminata custodisse la fiaccola del liberalismo. Nel 2015 decise di abbandonare la rubrica settimanale “Il dubbio”, e migrò sul Giornale, dove continuò a firmare editoriali in difesa della società aperta.

 

La libertà che Ostellino predicava fu anche la cifra della sua avventura professionale. In tanti momenti avrebbe potuto avere vantaggio, se non da un’abiura, quanto meno dal un addolcimento delle sue posizioni. Invece, egli mantenne sempre la ferma volontà di pensare con la propria testa e di scrivere quel che pensava, senza omissioni o ipocrisie. Nella vita fu persona entusiasta e generosa. Chi scrive ebbe la fortuna di conoscerlo e frequentarlo grazie alla sua vicinanza all’Istituto Bruno Leoni, che aiutò come faceva con tutte le iniziative finalizzate a promuovere la libertà degli individui e a denunciare il peso ingombrante dello Stato massimo. La sua era una consapevole e argomentata critica della pervasività dei poteri pubblici nella vita economica e sociale dei cittadini, non la facile retorica dell’anticasta. Il problema di Ostellino non erano gli stipendi dei parlamentari o le autoblu, che al massimo potevano rappresentare la punta della punta dell’iceberg: i suoi demoni erano l’estensione dello Stato, il peso delle tasse, la cappa plumbea della regolamentazione.

 

Il suo ultimo libro – pubblicato nel 2009 per i tipi di Rizzoli – rappresenta forse il manifesto più maturo e anche sconsolato del suo pensiero. Il titolo parla da solo: “Lo Stato canaglia. Come la cattiva politica continua a soffocare l’Italia”. Da uomo ironico qual era, è bello pensare che abbia scelto di andarsene proprio quando non abbiamo, e verosimilmente non avremo ancora per un po’, un Governo nel pieno dei suoi poteri. Il Governo migliore, amava dire citando Henry David Thoreau, è quello che governa meno. Dovunque sia, in questo momento ci sta guardando da lontano, ridacchiando.

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