La mosta sulla rivoluzione russa al Meeting di Rimini e quel giudizio di Benedetto XVI

Ubaldo Casotto

Il ruolo e il peso del marxismo nella tragica epopea della rivoluzione russa e la precoce caduta del mito della sua infallibilità come dottrina scientifica. "La questione posta dal marxismo non è risolta"

Rimini. Una ragazza di ventun anni entra nel palazzo della direzione carceraria con addosso una cintura di cinque chilogrammi di tritolo. Tre terroristi a bordo di un veicolo imbottito di duecentocinquanta chilogrammi di esplosivo si lanciano all’interno della residenza del primo ministro: ventisette morti. San Pietroburgo, inizi del Novecento.

 

L’episodio è riportato sui pannelli della mostra “Russia 1917. Il sogno infranto di un mondo mai visto”, curata da Adriano Dell’Asta, Marta Carletti e Giovanna Parravicini, ed esposta in questi giorni al Meeting per l’Amicizia tra i popoli di Rimini. Il terrorismo di cento anni fa illumina quello odierno. Era un terrorismo nichilista, “aveva come protagonisti giovani e giovanissimi – spiega Adriano dell’Asta – un quinto aveva tra i quindici e i diciannove anni; e colpiva nel mucchio, ammazzando gente comune: undicimila vittime tra il 1900 e il 1917”. Alcuni gruppi si autodefinivano “terroristi senza motivi”. Non era un terrorismo di origine marxista e leninista, ma la radicalizzazione violenta di un vuoto di cui Lenin riconobbe tutta l’utilità alla causa: “Gli eroici metodi terroristici di lotta hanno contribuito alla sistematica educazione rivoluzionaria del popolo russo”.

 

A fronte di questo vuoto, il vuoto del potere. Uno zar incapace e un governo costantemente screditato, entrambi lontani dai bisogni di un popolo colpito da una crisi economica devastante. Scriveva Lev Tolstoj all’imperatore Nicola II nel gennaio 1902: “Se, durante un viaggio regale, Lei potesse passare tra le file dei contadini schierati alle spalle dei militari lungo tutto il percorso della ferrovia, e ascoltasse quello che dicono quei contadini, anziani, capi villaggio, guardie campestri fatti venire dai paesi vicini e tenuti lì al freddo, nel fango, senza ricompensa, solo col loro pane per qualche giorno, Lei sentirebbe da questi stessi contadini, lungo tutta la linea ferroviaria, dei discorsi che non coincidono affatto con l’amore all’autocrazia e al suo rappresentante”. A tutto ciò si aggiunga una chiesa ortodossa supina al potere che arriva a condannare duramente una processione guidata da un sacerdote, Georgij Gapon, con tanto di icone e ritratti imperiali, che chiedeva allo zar di potergli consegnare una petizione in cui “popolo e operai” rappresentavano i loro bisogni: centoquarantamila persone vestite a festa accolte dalle mitragliate della polizia: milleduecento morti. La prima domenica di sangue del Novecento, 9 gennaio 1905.

 

Vent’anni prima della drammatica domanda di Thomas Stearn Eliot – “E’ la chiesa che ha abbandonato l’umanità o è l’umanità che ha abbandonato la chiesa?” – il 1 febbraio 1918 Nikolaj Berdiaev sanciva: “Si lamentano che la chiesa avrebbe abbandonato il popolo, che non se ne preoccupa abbastanza, che non lo guida abbastanza nei momenti difficili della sua esistenza storica. E’ vero. Però c’è anche l’altra faccia della medaglia (…) E’ il popolo stesso che ha abbandonato la chiesa”. Alla crisi economica, esistenziale e di potere si aggiunse quella militare: una guerra mondiale alle porte, con le armate tedesche che minacciano di arrivare alla capitale. Questo mondo svuotato dal suo interno si consegnò sostanzialmente senza resistenza ai bolscevichi, inizialmente in netta minoranza all’interno dei Soviet, i quali iniziarono a colpi di decreti a smantellare quanto resisteva della parvenza di uno stato e della società civile: decreto sulla pace, sulla terra, sul Consiglio dei commissari del popolo, sulla stampa, sui tribunali, sul controllo operaio sulla nazionalizzazione delle banche. Dopo i decreti, la repressione e il terrore. Poi l’attacco alla religione, al pluralismo politico. E il mito dell’uomo nuovo.

 

La mostra, ovviamente, riconosce tutto il ruolo e il peso del marxismo nella tragica epopea della rivoluzione russa, ma segnala anche la precoce caduta del mito della sua infallibilità come dottrina scientifica.

 

Il fallimento era sotto gli occhi di tutti, la scienza marxista non giustificava più né le rinunce del presente in nome di un avvenire radioso né l’apparato repressivo che le imponeva, i decreti libertari dei primi anni (amore libero, divorzio, aborto…) condussero rapidamente a uno sfaldamento sociale, ed ecco il regime ateistico che si trova costretto a convertirsi in una sorta di nuova fede, che impone una sua morale. In un crescendo di violenza e di disgregazione umana che arriva sino al suo crollo.

 

La mostra, e lo studio che la accompagna, un saggio omonimo edito da La Casa di Matriona, sono ovviamente meno schematici, più analitici e più approfonditi di questi pochi appunti, e conducono a un finale che ripropone oggi la grande questione che ha attraversato e attraversa la storia europea e mondiale. I curatori della mostra l’hanno affidata alle parole, ancora una volta lucide in modo da non lasciar scampo alla presunzione intellettuale di ciascuno di noi che pur ci riteniamo “vincitori” di questo passaggio della storia, di Joseph Ratzinger.

 

Eccole.

 

“La questione posta dal marxismo non è ancora affatto risolta”. Se la promessa era che il mutamento delle strutture avrebbe prodotto il vero uomo libero, “anche un cieco poteva in realtà vedere che nessuna delle strutture costruite rendeva reale quella libertà, a motivo della quale era richiesta la rinuncia alla libertà”. L’offerta del marxismo e della rivoluzione era in fondo la stessa del serpente: “Diventerete come Dio”. Ma “dobbiamo ancora prendere congedo dal sogno dell’assoluta autonomia della ragione e della sua autosufficienza”. Il fatto che loro abbiano avuto torto non implica che noi oggi si abbia ragione: “Solo la verità rende liberi”. “Noi siamo a questo punto. Che cos’è menzogna, ora lo sappiamo – almeno in relazione alle forme di marxismo finora realizzate. Ma che cos’è la verità lo ignoriamo ancora. Anzi, il timore cresce: forse non esiste affatto una verità? Forse non esiste affatto la giustizia e il diritto? Lo scetticismo cresce, e le sue ragioni si rafforzano, ma non si può eliminare la volontà di un mondo della perfetta libertà”.

Di più su questi argomenti: