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Repubblica e democrazia negli Stati Uniti. Quant'è attuale il pensiero di John Calhoun

Federico Morganti
Da protagonista della politica americana, nei primi decenni dell’Ottocento rifletté sul significato della Costituzione, sulla natura e i limiti del potere federale e sul binomio tra federalismo e democrazia. Le sue teorie e le sue intuizioni nel libro Luigi Marco Bassani.

Studiare la storia delle idee non è come collezionare pezzi d’antiquariato. Da essa può venire una più alta consapevolezza circa i problemi che ci riguardano da vicino e un pizzico di profondità teorica, che le banalizzazioni del dibattito pubblico costringono invece a mettere da parte. E’ questo il senso del libro di Luigi Marco Bassani (“John C. Calhoun e i dilemmi di una società libera”, IBL Libri, 201 pp., 20 euro): sviscerare la riflessione politica di un autore a noi lontano, inquadrandola sì nel suo contesto storico ma mostrandone i nuclei teorici ancora attuali. L’autore è John C. Calhoun (1782-1850) il quale, da protagonista della politica americana, nei primi decenni dell’Ottocento rifletté sul significato della Costituzione, sulla natura e i limiti del potere federale e sul binomio tra federalismo e democrazia.

 

L’eredità storica, però, può talvolta risultare scomoda. L’ostacolo più evidente per chiunque intenda riproporre le idee di Calhoun è la sua indefessa difesa della schiavitù, negli anni in cui questa diventava questione sempre più calda. Lo schiavismo fu insomma uno dei nodi attorno al quale Calhoun perorò la causa del diritto degli stati. Appiattire il pensiero di Calhoun sull’anti-abolizionismo sarebbe tuttavia un errore. Non soltanto perché non fu quella la sua unica preoccupazione, ma anche perché la sua interpretazione del documento costituzionale e la conseguente difesa dei diritti degli stati – vicina a quello che era stato l’impegno di Thomas Jefferson – possono essere depurate da quelle scorie senza perdere la propria forza.

 

Se la Costituzione è un patto fra stati, se l’Unione ha valore solo strumentale e non ha la facoltà di prevaricare le decisioni dei contraenti, allora uno stato può non soltanto secedere dall’Unione ma anche annullare i provvedimenti federali che reputi contrari ai propri diritti. E’ questo il caso dei dazi commerciali, che ad avviso di Calhoun costituivano un privilegio arbitrariamente garantito dal governo a un particolare gruppo di produttori, quelli che producevano per il mercato interno.

 

Le restrizioni al commercio erano insomma una delle ingiustizie rispetto alle quali gli Stati avevano il diritto, costituzionalmente sancito, di porre il proprio veto: “Libertà e governo limitato, non l’Unione, erano il cuore dell’esperimento americano di autogoverno”. Un principio che l’esperienza storica americana ha però disatteso.

 

All’inizio dell’Ottocento la spesa federale era inferiore al 5 per cento, oggi è superiore al 20 per cento. In presenza di una crisi la risposta della politica è sempre maggiore accentramento, tendenza che né Clinton né Trump sembrano intenzionati mettere in discussione. E ciò mostra quanto la testimonianza di Calhoun sia attuale e, per questo, preziosa.

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