(Immagine di Robert Couse-Baker via Flickr)

Il Foglio protocollo – Nota di classe

Quando il compito diventa il prolungamento di un piacere

Mario Leone
Se il compito diventa il prolungamento di un piacere e una scoperta vissuta in classe, non è più il “compito a casa”. Me l’ha insegnato un mio alunno. Ha terminato la terza media con la barba perché aveva ripetuto tutte le classi. Finché un giorno ha scoperto di saper usare la voce per simulare batterie o cose simili: “Il beatboxing prof!”. E’ rinato.

Al “Prendete il diario” la lezione è ormai terminata. Tra gli alunni c’è chi si desta, chi urla “Ma che giorno è?”. I ragazzi, in particolare, sembrano avere coscienza soltanto del lunedì e del venerdì: il campionato è il discrimen. Il diario. Il misterioso regno dei compiti. Alle elementari, dramma per i genitori alle prese con la decifrazione del contenuto. Alle medie, compresi i compiti assegnati, il dilemma riguarda l’impossibilità di portarli a termine in un tempo ragionevole. Il ministro Giannini sostiene che gli insegnanti insicuri ne assegnano tanti. I genitori si autocompiacciono delle proprie scelte controcorrente: “Gentile Maestra mio figlio non ha fatto i compiti perché si è dedicato ad attività ricreative”. Durante i miei primi anni d’insegnamento ho dovuto fare i conti con questa realtà.

 

Non ha senso assegnare i compiti di musica ai bambini piccoli; man mano che crescono però potrebbe avere un senso. A determinate condizioni. Noi insegnanti di musica dimentichiamo un aspetto fondamentale. La musica è gioco. I cugini francesi, i tedeschi e gli inglesi utilizzano un unico termine per indicare il giocare a calcio oppure il suonare il pianoforte. To play soccer, to play piano. Così si gioca nelle mie classi. Via i banchi. Iniziano gare di marcia, balletti su ritmi di valzer. Si gioca a mosca cieca cercando uno strumento suonato da un amico. Si ascolta musica classica, pop, hard rock, che sia proposto da me o dagli studenti, e si provano a creare coreografie istintive. Si fanno cori parlati, intonati, mimati. Si suona il corpo come uno strumento musicale. Ai primi mesi di scuola genitori allarmati si rivolgono a me perché i figli hanno riferito loro di giocare durante l’ora di musica!

 

Con i più grandi, poi, ci si diverte a mettere in scena, con le dovute modifiche e adattamenti, le storie delle opere liriche. Tredicenni che diventano Mimì, ragazze di ottima famiglia che interpretano Violetta e le cui madri m’intimano di non far recitare più il ruolo di una prostituta alle proprie figlie! Quando la materia diventa gioco i compiti a casa diventano il prolungamento di esso. E di nuovo affronto genitori allarmati, perché i figli studiano solo musica, battono su padelle, piatti e bicchieri, intonano scioglilingua o arie d’opera.

 

Scoprire il beatboxing

 

Se il compito diventa il prolungamento di un piacere e una scoperta vissuta in classe, non è più il “compito a casa”. Me l’ha insegnato un mio alunno. Ha terminato la terza media con la barba perché aveva ripetuto tutte le classi. Sempre molto educato ma disattento alle mie lezioni. Finché un giorno ha scoperto di saper usare la voce per simulare batterie o cose simili: “Il beatboxing prof!”. E’ rinato. Accompagnava qualsiasi brano di musica con le sue improvvisazioni. Da Mozart ai canti per la messa. Ha coinvolto la classe. Abbiamo dedicato momenti di ogni lezione al beatboxing e ai programmi da DJ. Studiava anche gli altri argomenti di musica. Nelle altre materie ha continuato a far poco. A casa, nel pomeriggio, giocava e sperimentava soltanto con i suoni.

 


Un esempio di "beatboxing"


 

Qualcuno potrebbe obiettare che con “musica” sia facile. Molto più noiosa l’analisi grammaticale. Che sia vero o meno, quanti docenti non godono nell’insegnare la loro materia e bruciano di passione per essa? Il compito a casa rischia di diventare, a volte, una piccola rivalsa di noi docenti: “Vediamo se ora riesci visto che hai dormito tutta l’ora”. Per i ragazzi, di conseguenza, è il prolungamento di un rapporto noioso con qualcosa che sembra inutile e ostile. Le materie invece sono tutte una finestra sulla realtà alla quale il prof cerca di introdurre lo studente. I compiti vissuti così diventano la possibilità di godere di quel panorama e di quel “respiro” che nessuna attività ricreativa è in grado di offrire a quel livello. Se viene meno questo è finita. Il mio alunno intanto aveva nel suo destino il lavoro. “Prof io devo lavorà e nun fa’ cazzate” mi ha sempre ripetuto. Ora è un muratore su al nord Italia, lavora e non fa cazzate. Segue un corso pomeridiano di beatboxing, ha studiato la chitarra e ama tutta la musica. 

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