Guendalina Sartori, Claudia Mandia, Lucilla Boari (foto LaPresse)

Tanto fracasso per cicciottelle e bamboline, ve lo dice un grassottello o anche solo un grasso, non è un rumore gradevole

Giuliano Ferrara
Dodici anni fa un altro tiratore con l’arco, che si portò via l’oro ad Atene, fu definito così come il trio Sartori-Mandia-Boariè è stato definito, ed era un maschio e si chiamava Marco, né ci furono colpevoli, allora. Ora invece c'è il moto perpetuo dei social network

Guendalina Sartori, Claudia Mandia, Lucilla Boari sono tre cicciottelle, “il trio delle cicciottelle”. Hanno visi amabili, polpa amabile che le riempie e le espone come figure animate di statua, prendono la mira e fendono l’aria con la traccia secca della freccia che vola e colpisce. Hanno perso la medaglia di bronzo, e può capitare, ma poi – ci dicono i loro custodi decoubertiniani – hanno pianto tutta la notte per la sconfitta, solo per ritrovarsi contro un mondo linguistico pronto al dileggio: l’importante non è vincere ma essere definiti con un eufemismo. Che brutto, quanto sguaiato e poco sincero, questo presunto premio di consolazione.
Nessun editore arcigno e ipercorretto e nessun titolista di quotidiani possono cambiare le cose. Nel tiro con l’arco, bellissimo sport, la medaglia di bronzo italiana non c’è, ma è un dettaglio del medagliere, restano tre magnifiche atlete cicciottelle, più importanti e simpatiche di qualunque medaglia appesa a un nastro, e dello scandalo che si fa per la loro definizione intesa come abuso e discriminazione. La realtà e la lingua si guardano e a volte si baciano, troppo raramente, porgendoci un sapore che forse nel mondo seriale delle chat politicamente ammodino sarà dimenticato, ma non da tutti, quello dell’ironia e della dolcezza. Licenziato, anzi no sospeso, con toni bruschi per essere stato irriguardoso e antinazionale, Giuseppe Tassi, al quale dovrebbe andare il premio da me sempre agognato che si chiama “non è giornalismo”, aveva già rimpiazzato il titolo, dopo strepiti e pressioni, con uno da favola per quanto è sciatto e incapace di attrarre alla lettura (buono per il premiazzo dei terrazzari milanesi: “è giornalismo”): “Le azzurre si fermano sul più bello”. Non fa schifo, come titolo?

 

Tassi ha spiegato che il sessismo non c’entra, sarà mica un Salvini arrapato di insulti alle prese con una donna nelle istituzioni. In effetti ha ricordato quanto sembra bolso Higuain con la pancetta di ritorno dalle ferie, e quanto glielo rimproverano senza scandalo maschi e femmine delle tifoserie, pronti a strapparsi i capelli al prossimo gol. Dodici anni fa un altro tiratore con l’arco, che si portò via l’oro ad Atene, fu definito così come il trio è stato definito, ed era un maschio e si chiamava Marco, né ci furono colpevoli, allora. Ma adesso tanti anni dopo vibrano nell’aria i social-media, che sono diventati parecchio cicciottelli e che si sono ben meritati da un loro assiduo frequentatore, e loro censore arguto, il seguente aforisma-sentenza: “Il moto perpetuo dei social network: la sensazione di essere circondati da cretini che si lamentano di essere circondati da cretini”. Non è perfetto?

 

Quando il tipaccio Vincenzo De Luca ebbe l’estro di definire bambolina, e per di più imbambolata, la nuova sindaca di Roma, fu gara trasversale, Boschi e Cuperlo uniti nella lotta, a dissociarsi e a segnalare quanto fosse riprovevole il comportamento di quell’uomo fuori del tempo corrente. Ma si sa, Boschi è alle prese con la Costituzione più bella del mondo, Cuperlo ha una passionaccia mitteleuropea per Rainer Maria Rilke: che ci volete fare? Invece “bambolina imbambolata” era anche particolarmente azzeccato, dico sul piano politico, perché la sindaca, per lo meno a sentire le trascrizioni di telefonate che l’hanno fatta vincere alle comunali, è una pupattola nelle mani di un’assessora, non imbambolata, che frequentava bene (Buzzi Panzironi e quell’altro) in materia di rifiuti. Nel bel saggio sulla lingua latina di Nicola Gardini, prendetevelo in libreria, è pubblicato da Garzanti, si fa l’elogio del turpiloquio come specchio di autenticità e di verità della lingua nel suo apogeo classico e lirico (in Catullo). Dico turpiloquio e si intendono cose brutte, che comporterebbero oggi, più che il licenziamento, il supplizio della ruota a chi le assuma: approfondite voi, che a me mi viene da ridere. Ma tanto fracasso per cicciottelle e bamboline, ve lo dice un grassottello o anche solo un grasso, non è un rumore gradevole.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.