Richard Millet

Gallimard caccia l'editor “reazionario”

Giulio Meotti
“Tutti gli appelli contro di me alla fine hanno funzionato”, dice Richard Millet al Foglio. Un mese dopo la condanna di Anders Breivik, l’autore della strage di Utoya realizzata nel 2011, presso l’editore parigino De Roux, dal nome del fondatore dei Cahiers de l’Herne, comparve il libro di Richard Millet.

Roma. “Tutti gli appelli contro di me alla fine hanno funzionato”, dice Richard Millet al Foglio. Un mese dopo la condanna di Anders Breivik, l’autore della strage di Utoya realizzata nel 2011, presso l’editore parigino De Roux, dal nome del fondatore dei Cahiers de l’Herne, comparve il libro del migliore dei redattori della casa editrice Gallimard, Richard Millet. Classe 1953, saggista premiato dall’Académie française, Millet è “la fabbrica di Goncourt”: “Suoi” sono gli ultimi due titoli vincitori per Gallimard del premio più blasonato di Francia, “Le Benevole” di Jonathan Littell e “L’Arte francese della guerra” di Alexis Jenni. Il libro del 2012 si intitola “Langue fantôme” e contiene un “Elogio letterario di Anders Breivik”, in cui lo stragista diventa “il sintomo della decadenza dell’occidente”. Il giorno dopo inizia una campagna per l’estromissione di Millet da Gallimard. Per la prima volta un primo ministro attacca un libro: Jean-Marc Ayrault si dice “scioccato” da Millet. La più grande libreria del Belgio, Filigranes, lo ritira dal commercio e seguono gli attacchi di J.-M. Le Clézio, premio Nobel e autore Gallimard, che definisce Millet “lugubre”. Arriva la “lista Ernaux”, dal nome di un’altra autrice Gallimard che raccoglie sul Monde le firme di centoventi scrittori contro Millet. E’ “l’editto di  Saint-Jermaine-des-Prés”. Al caso dedica una copertina il magazine Valeurs Actuelles: “A Mosca veniva chiamata purga”. E Bruno de Cessole, direttore dellla Revue des Deux Mondes, parla di “fatwa letteraria”: “Non è senza disgusto che abbiamo letto petizioni di colleghi perché caccino lo scrittore da Gallimard. Millet è diventato la pecora nera da sacrificare sull’altare della buona coscienza”. Ancora lo scorso gennaio, quando Libération sbatte in prima pagina i “néoréac”, l’immagine che accompagnò il servizio fu una foto di Millet. E Pascale Kramer prende ispirazione da Millet per il protagonista di “Autopsie d’un père” (Flammarion). Muriel de Rengervé gli dedica un libro, “L’Affaire Millet” (Editions Jacob-Duvernet). Alla fine, l’editor è costretto a dimettersi dal comitato di lettura di Gallimard e deve continuare per quattro anni il suo lavoro da casa. Nel frattempo, Millet continua a pubblicare libri per Gallimard, dal romanzo “Une artiste du sexe” a un saggio musicale su Sibelius.

 

Dopo quattro anni, oggi la campagna raggiunge il suo scopo: Millet è stato appena licenziato da Gallimard. “Si può essere licenziati per una recensione?”, si è appena chiesto Le Point. La “colpa” di Millet stavolta è aver scritto per la prestigiosa Revue Littéraire, di cui ha assunto la direzione, un saggio dal titolo: “Perché la letteratura francese è pari a zero”. Con quel testo, uscito anche su Le Point, Millet torna a scioccare le lettere parigine. Ma stavolta gli costa il posto di lavoro.

 

Nel saggio, Richard Millet critica Maylis De Kerangal, scrittrice pubblicata dal gruppo Gallimard, la stessa De Kerangal che aveva firmato, assieme ad altri centoventi scrittori, l’appello che chiedeva la testa di Millet. Ma quando era stata lei a farlo, a criticare un collega, la casa editrice non si era certo scomodata per chiederne il rientro nei ranghi. Sébastien Abgrall, amministratore delegato di Gallimard, conferma invece che i procedimenti sono in corso contro Millet.

 

Nel saggio, Millet definisce De Kerangal “la romanziera preferita da migliaia di idioti” e parte di una letteratura che “invita il lettore a conformarsi all’infantilismo”. “Mi hanno detto che, come dipendente di Gallimard, non potevo parlare male di un altro dei loro scrittori”, conferma al Foglio Millet. “Ma loro hanno fatto esattamente questo per anni. E’ una forma di stalinismo. Ma io rifiuto la sottomissione, il significato della parola islam”. Per quattro anni, Millet ha lavorato per Gallimard da casa, correggendo bozze. “A casa, con scrupolo, ho letto cinque manoscritti alla settimana, che ritiravo dalle mani di un corriere. Non avevo più alcuna influenza. Ero diventato un soldato semplice. Ho vissuto anni in isolamento fino a quando Léo Scheer mi ha proposto di dirigere la Revue Littéraire. Era prevedibile che avrebbero cercato di uccidermi”.

 

Negli stessi giorni in cui Millet lascia Gallimard, la stessa gauche attacca uno scrittore algerino, Kamel Daoud, tacciandolo di “islamofobia” e “razzismo”. “La sinistra non perdona a Daoud di aver detto cose ‘reazionarie’”, ci dice Millet. “Daoud non sta al ‘gioco’, per questo è scomunicato”. Millet attacca i “bobos”, i bourgeois-bohème, che nel saggio che gli è costato il posto a Gallimard definisce “zeloti del narcisismo umanitario” e “attivisti dell’auto-amore travestiti da altruismo”. “Sono filistei che vogliono essere progressisti e ribelli e affermano un’etica fatta di anti razzismo, diritti umani, matrimonio gay, teoria di genere. I loro soggetti letterari sono sempre i migranti, gli omosessuali, le donne, denunciano pseudo trame neo naziste. Scrivono in un linguaggio minimalista. Il successo di Michel Houellebecq li ha significativamente ostacolati. Prendi gli ultimi due premi Nobel francesi: Le Clézio è un apostolo della correttezza politica e Modiano parla solo del passato. Quello letterario è un ambiente mafioso e io sono considerato come un pentito di mafia. Non è possibile dire la verità nel mondo letterario, a causa della consanguineità di ruoli e incarichi fra romanzieri, giornalisti e giurati. Il conformismo è sempre esistito; ma mai la letteratura era diventata in Francia uno strumento di propaganda: anche i vecchi stalinisti come Aragon avevano più genio. Oggi la gauche mantiene il mito della cultura, che è morta e si è trasformata in ‘culturale’, in etica dell'intrattenimento”.

 

Millet rifiuta l’accusa di essere stato sleale con la casa editrice. “Non ho insultato o criticato Antoine Gallimard né la sua casa editrice, ma tutta la letteratura francese. Devo ricordare l’enorme controversia tra Sartre e Camus, o il coraggio che ci voleva per ripubblicare Céline dopo la liberazione, e poi Drieu La Rochelle, Rebatet, e gli stalinisti Éluard e Aragon? Ma tutto è cambiato: il tempo e la visione della storia. Oggi siamo in grado di parlare di qualsiasi cosa, a condizione che sia la vulgata ‘bobo’: i migranti sono necessariamente buoni, i cattolici cattivi, i bianchi colpevoli, i musulmani una risorsa”. Ha ricevuto solidarietà dai colleghi? “Nessuna. D’altronde Alexander Solgenitsin ha detto che il coraggio ha lasciato l’occidente”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.