Vendola, il corpo delle donne e la “fattoria dei bambini”
Roma. “Sul corpo delle donne, ciclicamente si intensifica la lotta culturale”. “Bisogna mettere in discussione la contesa egemonica sul corpo delle donne”. “C’è una degradazione dell’immagine delle donne: l’umiliazione del loro corpo, la riduzione della loro realtà a orpello, a contorno delle performance del genere maschile”. “C’è un gioco che tende a trasformare il corpo delle donne in un trastullo degli uomini”. Negli ultimi anni, Nichi Vendola si è speso tanto contro la mercificazione del corpo delle donne. Senza pensare, forse, che un giorno vi avrebbe fatto ricorso per dare alla luce il suo magnifico figlio in California. Il Wall Street Journal lo ha chiamato “l’assemblaggio del bambino globale”. Si prende l’ovocita di una bellissima donna dell’Europa orientale, lo si insemina con lo sperma di un ricco occidentale attempato, spesso gay, e lo si impianta nell’utero di una povera donna indiana o messicana. “La rivoluzione gay ha portato a un inquietante e brutale sfruttamento delle donne, che di solito provengono dal mondo in via di sviluppo e spesso sono vittime di bullismo nell’affitto dei loro uteri per soddisfare i desideri egoistici degli occidentali ricchi”, scrive la femminista e lesbica Julie Bindel.
Persone provenienti da Europa e Stati Uniti, che rabbrividiscono all’idea del traffico di esseri umani, indulgono oggi in una forma grottesca di “traffico riproduttivo”. Spesso è la gente che dice di avere a cuore gli interessi dei più deboli, dei più poveri, degli emarginati. La chiamano “fattoria dei bambini”. In India, ci sono appositi “dormitori” per le madri surrogate, autentiche operaie al servizio della fiorente industria del turismo medico. I clienti sono americani, britannici, francesi, giapponesi, israeliani. La maggior parte delle donne provengono da zone rurali. Sono arruolate tramite annunci sui giornali che promettono denaro. In India la surrogata costa 20 mila euro, un terzo che negli Stati Uniti. Ci sono almeno 350 cliniche della surrogata in India. E’ la nuova industria dei paesi poveri: India, Messico, Tailandia. Uno studio delle Nazioni Unite, datato 2012, stima che il business della surrogata nella sola India ammonta a 400 milioni di dollari all’anno. Due terzi dei clienti sono occidentali.
Seimila sono i bambini della surrogata che nascono ogni anno in India. I gruppi per i diritti delle donne dicono che le cliniche della fertilità non sono altro che “fabbriche di bebé per ricchi”. Queste donne povere e non istruite sono attirate da agenti delle cliniche che fanno loro firmare contratti che a malapena capiscono. E quando una madre surrogata muore durante il parto, è registrata come “morte accidentale”. Va da sé che la coppia di ricchi europei se ne va con il pupo commissionato. Ma se si scopre che il bimbo è affetto da sindrome di Down, come è successo in Thailanda, il cliente occidentale lo può abbandonare alla madre surrogata.
Queste donne arruolate dall’industria della surrogata hanno un nome: “replicanti”. Si prestano a portare a termine più gravidanze dietro pagamento. In America è uscito anche un film sul fenomeno: “Breeders”, gli allevatori. Le cliniche conducono corsi per le surrogate per separarle psicologicamente dal bambino che portano in grembo. La comunità gay rappresenta il 60-70 per cento del volume di affari in India. Ma visto che il governo indiano sta restringendo la surrogata alle coppie eterosessuali, spesso ci si sposta a partorire nel vicino Nepal, dove non esistono regole.
Capita che le donne siano costrette alla surrogata a causa delle strutture patriarcali. In Messico, dove l’utero in affitto sta diventando un business fiorente, ci sono casi di abusi delle donne che si prestano alla surrogata. Storie di agenzie senza scrupoli, donne in gravidanza sottoposte ad abusi psicologici, racket perfino sui loro pagamenti. Vi è anche la prova che molte surrogate vengono reclutate senza uno screening rigoroso della loro idoneità mentale. Il Guardian parla di “bracconaggio” delle surrogate. Alle coppie gay, spesso americane, che scelgono il Messico come nido, le agenzie offrono anche una vacanza di sabbia, sole e mare a Cancún. La pubblicità, soprattutto su internet, mira al vasto mercato gay della costa occidentale degli Stati Uniti. Gran parte dei clienti arriva da San Francisco.
Le donne messicane dicono che “la surrogata è meglio della prostituzione”, l’unica altra attività da quelle parti che può far guadagnare qualche soldo in più. Alla faccia del corpo delle donne.
Visto che il Messico proibisce la surrogata per motivi economici, le cliniche della fertilità hanno istituito un ente di beneficenza che riceve “donazioni” dai genitori contraenti e che vengono poi trasmesse alle madri surrogate sotto forma di “aiuti”. “C’è una domanda globale”, scrive France Winddance Twine, che ha scritto il libro “Outsourcing the Womb”: “Più di 160 milioni di cittadini europei vogliono questi servizi”. Così ci si rivolge ai “dannati della terra”, come li chiamava Frantz Fanon. E quando un mercato si chiude, un altro si apre, per tenere il passo con la domanda. Il prossimo è l’Ucraina, dove la donazione di ovuli è già incredibilmente comune tra le donne povere; altri esperti si aspettano di vedere la maternità surrogata in Grecia, dove la crisi economica ha lasciato tante donne senza posti di lavoro e dove le leggi sulla maternità surrogata sono ambigue.
I gay di solito optano per la “maternità surrogata gestazionale”, in cui la donna ospita un embrione trasferito nel suo utero, al contrario della maternità surrogata tradizionale, in cui il proprio ovulo viene fecondato con lo sperma dal padre. Questo lo si fa per avere un bambino perfettamente occidentale. Monitorate come prigioniere, queste donne sono “invitate” a non fare sesso in gravidanza e a non usare biciclette o cavalli, per evitare di mettere a rischio la gravidanza. Alle surrogate può anche essere impedito di utilizzare antidolorifici.
[**Video_box_2**]Ci sono regole precise in questa triste linea di produzione in cui i bambini sono progettati su misura per le coppie ricche dell’occidente, come se fossero fuoriserie. Le giovani donatrici di ovuli femminili arrivano da paesi come Ucraina, Lituania, Georgia, Armenia e Bielorussia e sono pubblicizzate in un catalogo per i futuri genitori. Una volta creati, gli embrioni vengono congelati a meno 196 gradi, collocati in contenitori di azoto liquido simili a piccoli bidoni di latta e spediti in città come Delhi e Bombay, dove vengono impiantati nei “replicanti”. Se troppi embrioni si sviluppano nella fase di fecondazione, alcuni sono selettivamente terminati. I “peggiori”, ovviamente. Eufemisticamente, gli indiani chiamano questa pratica “riduzione”.
Con un piccolo extra, si può anche richiedere di fecondare due ovociti con lo sperma diverso dei due padri, in modo che la coppia gay possa condividere la stessa madre genetica. Con settemila dollari in più scegli persino il sesso del bambino. Che bel Mondo Nuovo.
Antifascismo per definizione