Esportare Sanremo
Quando la Jugoslavia di Tito guardava Sanremo
Sarajevo. C'è stata un'epoca, anche se dopo quasi settant'anni pare assai remota, in cui sulle note della musica leggera italiana a ballare non era soltanto il Bel paese, ma anche il meno prossimo tra i suoi vicini: la Jugoslavia di Tito, che dallo stivale era divisa non soltanto dalla "cortina di ferro" calata a tracciare il limite tra l'Europa occidentale e quella socialista, ma anche dalla spinosa questione della sistemazione del confine orientale e della sovranità sulla città di Trieste.
Si tratta di un'epoca di cui, oggi, restano ancora delle tracce: la prima che viene in mente è il film “Ti ricordi Dolly Bell” del regista sarajevese Emir Kusturica, nel quale le vicissitudini legate all'educazione sentimentale del protagonista Dino sono costantemente intramezzate dal refrain di “24 mila baci”, il classico di Adriano Celentano presentato al Festival di Sanremo nel 1961. La pellicola, realizzata nel 1981, tratteggia l'amarcord di un'epoca in cui la zabavna muzika, la musica d'intrattenimento, cominciava a diffondersi tra le classi popolari jugoslave soprattutto grazie ai complessi italiani e al Festival.
“Bezbroj Poljubaca”, rifacimento jugoslavo di “24 mila baci”
A un decennio dalla fine della seconda guerra mondiale, l'Italia rappresentava per i giovani jugoslavi un punto di riferimento da cui captare i riflessi della rivoluzione del rock ’n’ roll che stava avvenendo negli Stati Uniti (e alla quale le autorità comuniste di Belgrado continuavano a guardare con un certo sospetto).
"Ad avvicinarsi al festival di Sanremo dalla Jugoslavia all'inizio erano singoli individui, attraverso gli apparecchi radio che dalle coste riuscivano a sintonizzarsi sulle frequenze della rai", spiega al Foglio Francesca Rolandi, ricercatrice dell'Università di Rjeka che al tema ha dedicato una tesi di dottorato ora pubblicata in un libro: “Con ventiquattromila baci: l'influenza della cultura di massa italiana in Jugoslavia”.
“Hiljade Plavih Balona”, rifacimento di “Le Mille Bolle Blu”
"Soprattutto dopo la normalizzazione dei rapporti con Roma, le autorità jugoslave cominciarono a dimostrare crescente interesse per il festival, che assunse ben presto un'enorme popolarità. Dopotutto Italia e Jugoslavia, nonostante i diversi sistemi politici, erano paesi dalle dinamiche sociali molto simili: negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta iniziava ad affermarsi la società dei consumi, del divertimento di massa, in un mondo che però restava per molti versi tradizionalista. Quel rock italiano", conclude Rolandi, "a Belgrado piaceva perché già nell'interpretazione che ne veniva fatta nel nostro paese esso veniva, per così dire, spogliato degli elementi sovversivi che aveva nel mondo anglosassone".
Una musica da ballare, poco impegnativa e sufficiente ad assicurare lo svago ai giovani di entrambe le sponde dell'Adriatico senza causare grattacapi a censori e governo: la musica italiana percorreva la Jugoslavia attraverso luna park e giostrai in transito tra i due paesi, prima ancora che con i juke box. A Nova Gorica, località giusto al di là del confine, i complessi attendevano la serata del Festival per poi riproporre, fin dall'indomani, i pezzi nelle sale da ballo, come ricorda la documentarista Anja Medved in un suo documentario dedicato alle origini della città, “Mesto na travniku” (la città sul prato).
“Nogometna Utakmica”, rifacimento di “La partita di pallone”
E se, da canto loro, gli artisti italiani di maggior successo (come Mina, Domenico Modugno, Gigliola Cinquetti, Rita Pavone e Al Bano tra gli altri) cominciavano a organizzare tournée in Jugoslavia, d'altra parte le principali etichette d'oltre Adriatico s'affrettavano a concludere accordi con le case discografiche italiane per riproporre i principali successi di Sanremo "in esecuzione nazionale", reinterpretandoli in serbo-croato.
[**Video_box_2**]E’ questo il caso, per esempio, di “Hiljade Plavih Balona”, rifacimento di “Le Mille Bolle Blu”; “Bezbroj Poljubaca” (“24 mila baci”); “Nogometna Utakmica” (“La partita di pallone”) o di altri successi italiani dell'epoca come “Guarda che Luna”, incisa da Dorde Marjanovic col titolo “O, kakav mesec”.
Titoli ormai da antologia, stampati in vinili che recavano in copertina – quasi come un marchio di fabbrica – la riproduzione del lungomare di Sanremo. E che oggi restano a testimoniare come quell'epoca, per l'appunto, sia effettivamente esistita: un'epoca in cui il nostro Festival poteva essere ambasciatore internazionale della musica leggera, e in cui Italia e Jugoslavia – pur appartenendo a mondi diversi – erano paradossalmente molto più unite di oggi.
“O, kakav mesec”, rifacimento di "Guarda che Luna"
Intervista a Gabriele Lavia