Tariq Ramadan

La lingua biforcuta di Tariq Ramadan

Giulio Meotti
“In pubblico Tariq Ramadan parla di democrazia, nelle cassette distribuite nelle banlieue divulga idee integraliste”, ha detto l’intellettuale franco-tunisino Lafif Lakhdar. Ramadan si porta benissimo quando parla in inglese.

Roma. “In pubblico Tariq Ramadan parla di democrazia, nelle cassette distribuite nelle banlieue divulga idee integraliste”, ha detto l’intellettuale franco-tunisino Lafif Lakhdar. Ramadan si porta benissimo quando parla in inglese. La sua lingua è forbita, sinuosa, buca il video, è carismatica, ecumenica, rassicurante e gli ha permesso di ottenere una cattedra alla prestigiosa Oxford University, un posto da consulente per l’integrazione con il governo inglese e di sedersi al fianco dell’ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema, che ha appena discusso di Europa e islam con Tariq Ramadan all’Università di Lovanio (quale posto migliore del Belgio per elogiare il multiculturalismo). Quando si trasferisce nella banlieue francese, Ramadan diventa un’altra persona e anche il suo islam cambia registro e contenuti. Per questo il delegato del governo francese del socialista Manuel Valls per la “lotta contro il razzismo e l’antisemitismo”, Gilles Clavreul, ci è andato giù duro contro Ramadan, accusandolo di far parte di una galassia “antidemocratica, razzista e antisemita”. Nel mirino una conferenza che Ramadan ha appena tenuto a Saint-Denis, la banlieue parigina dove sono sepolti i re di Francia ma vivevano anche gli attentatori del 13 novembre scorso. Conferenza accusata da Clavreul di “legittimare l’islamismo” e “difendere i predicatori fondamentalisti”, oltre che di promuovere “un discorso comunitario che non condanna mai, e spesso incoraggia, sfoghi razzisti, antisemiti e omofobi”. Il quotidiano Libération si è imbucato alla saga degli “indigeni” di Ramadan e quello che ha raccontato non è molto dalemiano.

 

Il professore ginevrino, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani, ha detto che “il 13 novembre è un pretesto per fare la guerra” e che la guerra era stata addirittura preparata per tempo. Poi l’affondo: “Le fonti dell’islamofobia le conosciamo: l’ottanta per cento sono discorsi legati ciecamente a organizzazioni sioniste”. Ha anche aggiunto che “le forze pro sioniste e israeliane in Francia non vogliono questo discorso”. La vecchia storia del capro espiatorio ebraico.

 

[**Video_box_2**]Fra i partecipanti alla serata di Ramadan anche il Partito degli indigeni, movimento islamista che ha accusato la Francia di “filosemitismo di stato”. C’era anche Alain Gresh, l’ex direttore del Monde diplomatique, che ha spiegato la strage al Bataclan con le politiche d’Israele: “A partire dal 2003, ci sono state tre guerre contro Gaza, il tutto giustificato dai governi di destra e sinistra. Questo ha creato ostilità contro la Francia”. Durissimo il commento di Pascal Bruckner sul Figaro a proposito di Ramadan: “Questo incontro è stato un insulto alle vittime del 13 novembre, i valori della democrazia. ‘Né Charlie, né Parigi, mais perquistionnable’ è quello che Tariq Ramadan ha pubblicato sul suo sito ufficiale un paio di giorni dopo le uccisioni di Parigi. E’ un pericoloso islamo-goscismo”.

 

Ma in fondo, anche questa isteria da complotto contro Israele, rientra nell’arte di épater le bourgeois in cui eccelle sempre il fratello Tariq.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.