Cielo, Tierra, Dharma, Africa, Ali, Ma-Tzu… Sono leoni, leopardi, tigri brasiliane, siberiane, tigri del Bengala bianche. Eduardo ci tiene a specificare che quello che fa non è per tutti

Anche i leoni vanno in paradiso

Giulia Pompili
La macellazione di Cecil, i traffici di scheletri e corni, la ricerca di facili trofei africani. Ma c’è ancora chi riesce a salvare gli animali dai bracconieri (e dagli animalisti chiodati). La caccia è un rito per iniziati: l’attesa solitaria, il corpo cosparso di escrementi animali all’olfatto delle bestie l’odore del cacciatore.

Un altro articolo su Cecil il leone, direte voi. E invece no, questo non è un articolo sulla morte, è un articolo sulla vita. Come esercizio dialettico, prima di cominciare, sarebbe opportuno spiegare cosa non vorremmo scrivere. Non vorremmo scrivere sull’inutilità di tutte le campagne che nascono sui social network; non vorremmo scrivere della velocità con cui certe campagne vengono dimenticate, non vorremmo scrivere della trappola dell’ipocrisia – se si aderisce a una causa ci sarà sempre qualcuno che punterà il ditino per spiegare che, in fondo, c’è una causa ben più seria e tragica da sventolare. Non vorremmo nemmeno scrivere dell’effetto “Re Leone” della Disney, e del fatto che ieri Aaron Blaise, uno degli animatori del celebre film del 1994, ha pubblicato un poster sostituendo Cecil a Mufasa – il padre di Simba, ricordate? quando appare tra le nuvole al futuro re, suo figlio, dopo essere stato ucciso da un branco di gnu nella lotta per il potere cominciata dal fratello cattivo Scar. Il poster ora è diventato un appassionato gadget che si può comprare per la modica cifra di venti dollari, e tutto il ricavato verrà donato a WildCRU, l’unità di ricerca del dipartimento di Zoologia dell’Università di Oxford fondata nel 1986 dal professor David Macdonald. Pure Ty Warner, uno dei re dell’industria dei giocattoli americana, filantropo ma con il vizietto di non pagare le tasse, ha commercializzato a tempo di record con la sua Ty Inc. un pupazzetto di Cecil. Costa una decina di dollari, finiscono sempre nelle casse di WildCRU. Che nel frattempo, a suon di campagne di solidarietà, ha raccolto in una settimana oltre ottocentomila dollari. Con ottocentomila dollari, un ricco dentista del Minnesota potrebbe ammazzare circa sedici leoni.

 

Cinquantamila dollari, infatti, è il prezzo medio perché qualcuno attiri un leone fuori dal Hwange National Park dello Zimbabwe, e perché un annoiato professionista possa abbatterlo senza tante rotture. La caccia è un rito per iniziati: l’attesa solitaria che attraversa la notte, il proprio corpo cosparso di escrementi animali per coprire all’olfatto delle bestie l’odore del cacciatore. E poi la preda, che è tale perché poi venga mangiata, oppure per difendersi da un’invasione, come accade oggi con i cinghiali, la cui caccia è autorizzata perfino a Roma nord. Ma qui non vorremmo nemmeno parlare del perché sia poco nobile cacciare un animale attirandolo fuori da un parco di conservazione, e del perché sia ancora meno nobile abbatterlo con un arco compound, come un fucile di precisione che invece dei proiettili di piombo ha dei proiettili acuminati. E’ vero, somigliano a delle frecce, ma quel fucile è tutto tranne che un arco. E forse non è nemmeno una questione di fucili, e di armi. Perfino i figli di Donald Trump sono stati fotografati con il cadavere di un leopardo appena ammazzato in Africa, con la coda di un elefante appena staccata da un pachiderma ammazzato, poi con un’antilope, con un bufalo nero. Tutti animali africani che rispondono alla regola mediatizzata dal dentista Walter James Palmer: se puoi permettertelo, puoi cacciarlo, è solo una questione economica. Il candidato alle primarie repubblicane Donald Trump naturalmente ha difeso i figli, e il loro vizietto, dicendo che in fondo quel tipo di caccia non è molto diverso dal golf, e anche se lui non gioca a golf, difende strenuamente il secondo emendamento. Cecil non è uno dei leoni che Alfredo Guzman, il figlio dell’uomo più ricercato d’America, El Chapo, tiene a casa e con i quali si fotografa. Quelli sono solo artigli. La storia di Cecil il leone, invece, è evocativa.

 

Perché è una vicenda che ha a che fare con i violentissimi ed epici racconti del premio Nobel Rudyard Kipling, che ne “Il libro della giungla” racconta la legge della natura proprio così com’è, feroce e spiacevole. E con le tigri di Emilio Salgari. Cecil è la storia simbolo, una costruzione dell’uomo: “Internet è impazzito la scorsa settimana per via della notizia di un leone – l’amato Cecil dello Zimbabwe, il leone dalla criniera nera preferito del luogo, che è stato attirato fuori dalla zona protetta e ucciso da un dentista americano in cerca di un trofeo. Circa 600 leoni vengono uccisi ogni anno, per lo più legalmente, tuttavia questa caccia ha scatenato una tempesta di copertura mediatica”, ha scritto ieri Jason Bittel, famoso giornalista scientifico, su OnEarth, il magazine del Natural Resources Defence Council. “La Peta ha chiesto la testa del dentista. A Jimmy Kimmel è venuto il magone mentre descriveva la morte di Cecil. Nel frattempo, sono stati versate centinaia di migliaia di dollari in donazioni per la conservazione e la ricerca dei leoni. La gente vuole fare in modo che Cecil non sia morto invano. Lo Zimbabwe sta perseguendo le due guide coinvolte nella caccia e ha chiesto l’estradizione del dentista. La US Fish and Wildlife Service sta ancora esaminando la questione, ma l’eredità del leone potrebbe includere un nuovo disegno di legge per scoraggiare le uccisioni-trofeo di specie in via di estinzione. Diverse compagnie aeree hanno inoltre messo le teste di leone e altri trofei simili nelle liste di oggetti no-fly”. Ma se l’uccisione di Cecil è triste, secondo Bittel bisognerebbe anche pensare a un altro aspetto: “In Sudafrica, dove ben 8.000 leoni vivono in cattività – più di quelli che il paese ha allo stato brado – molti sono allevati soltanto per fornire ai cacciatori ricchi animali contro cui sparare. Quando sono giovani, i cuccioli sono disponibili per coccole e sessioni di foto con i turisti in cerca di dolcezze accanto a un cucciolo praticamente uguale a Simba. Ma una volta che invecchiano, i leoni addomesticati sono in genere venduti all’estero come trofei per i cacciatori che cercano l’emozione di conquistare un’icona africana. Ma non sono tutti Mufasa: la maggior parte ha sempre e solo conosciuto l’interno di una recinzione”.

 

Bittel a questo punto del racconto cita un documentario dal titolo “Bloods Lions” che spiega come questo tipo di industria potrebbe danneggiare la natura dei leoni in Africa, e non soltanto. Che cosa succede? Quando il cacciatore ha ucciso il suo leone, ne prende una parte come trofeo (di solito è la testa, o un dente, o una zampa, a seconda della disponibilità del trasporto). “Il resto del corpo solitamente è spedito in Asia, dove c’è grande richiesta delle ossa degli animali”. E’ il caso, per esempio, dell’enorme domanda di corni di rinoceronte. Esiste un mercato nero di corni di rinoceronte – che arrivano a costare fino a trecentomila dollari l’uno – che sta provocando il dimezzamento della popolazione. Eppure il rinoceronte ha un corno fatto di cheratina, mica avorio, la stessa materia di unghie e capelli umani, e se rimosso può ricrescere. Ma asportare il corno anestetizzando l’animale è più costoso che ammazzarlo ed eseguire poi il lavoretto su un cadavere. In alcune riserve africane il corno del rinoceronte (vivo) viene asportato proprio per evitare che l’animale diventi preda dei bracconieri. Dopo anni di ricerche si è arrivati a capire il motivo della domanda così alta, e dei prezzi gonfiati: il motivo è il Vietnam, dove il corno di rinoceronte viene venduto a ricchi signori che lo usano tradizionalmente come panacea per ogni male. “Dal 1994 i ricercatori hanno iniziato a raccogliere una quantità crescente di prove che suggerivano che le ossa del leone stavano iniziando a sostituire le ossa di tigre in alcuni tonici e in alcuni prodotti venduti come panacee”, scrive Bittel, “ma l’industria vera e propria è nata nel 2007, dopo che la comunità internazionale ha adottato misure più rigorose per tutelare le tigri e altri grandi felini in Asia. L’anno seguente, il Sudafrica ha rilasciato permessi per l’esportazione di 50 scheletri di leone. Nel 2011 il numero era salito a 573 scheletri. Tra i paesi ufficialmente elencati come importatori di ossa di leone, il Laos è di gran lunga il peggiore. L’85 per cento di tutti gli scheletri provenienti dal Sudafrica tra il 2008 e il 2011 è stato spedito lì (e forse non è molto sorprendente, visto che un recente articolo del New York Times ha descritto il paese come un rifugio sicuro senza legge per il commercio illegale di animali, in particolare per l’avorio di elefante)”.

 

Ma cosa se ne fanno di queste ossa? In Asia, soprattutto in Cina, il vino di ossa di tigre è venduto a quasi trecento euro a bottiglia. E anche se l’efficacia della medicina tradizionale, specie nelle grandi metropoli, è messa in discussione (scrive uno dei medici personali di Mao, Li Zhisui, nel libro “La vita privata del presidente Mao” che lo stesso presidente diceva: “Anche se credo che dovremmo promuovere la medicina cinese, personalmente non credo in essa. Io non prendo medicine cinesi”), in Cina come in tutta l’Asia la domanda delle materie prime resta altissima.

 

[**Video_box_2**]“Il mondo ha bisogno di eroi. Veri eroi. Non figurine. Quando sono nato i valori erano diversi. Io sono vecchio, ma non abbastanza vecchio. Dov’è finita l’Umanità? Superman diceva: Verità, Giustizia, e modello americano. Vorrei cambiarlo con un modello umano. In fondo, siamo tutti parte dell’Universo. La gente vuole la verità, ma chi è disposto a lottare per essa? Il popolo vuole la giustizia, ma chi è disposto ad andare in prigione per questo? E le persone hanno a cuore l’umanità, ma chi è disposto a morire per questo?”. Quando è stata diffusa la notizia di Cecil e del dentista del Minnesota, tra le migliaia di messaggi interrogativi c’era anche questo messaggio. Il messaggio di Eduardo Serio. Nel settembre del 2013 Eduardo, che vive a Città del Messico, viene a sapere dal cugino Miguel di una pantera nera. La madre è morta dandola alla luce, e lei sarebbe stata venduta a un negozio per diventare attrazione da fotografie. Eduardo e la fidanzata d’allora, Rachel, intercettarono la vendita e comprarono la pantera, la chiamarono Cielo, la portarono a casa. E’ così che Cielo è diventata la prima ospite della Black Jaguar White Tiger Foundation (www.blackjaguarwhitetiger.org), un posto unico al mondo, dove Eduardo e il suo staff accolgono “big cats”, gattoni strappati ai lavori forzati – circhi, zoo, allevatori. A oggi, tre milioni di persone seguono il suo lavoro tramite i social network. Eduardo e la fondazione sono gli eroi buoni della vicenda di Cecil: fanno un lavoro che nessun governo potrebbe mai permettersi. Attraverso una vincente rete di comunicazione Eduardo è riuscito ad attirare l’attenzione, e le donazioni, di personaggi famosi – lo scorso anno è andata a trovare i gattoni che vivono alla Black Jaguar White Tiger Foundation pure Paris Hilton: tante foto postate su Instagram, e un assegno da capogiro lasciato per dar da mangiare ai trenta felini finora salvati da Eduardo.

 

Cielo, Tierra, Dharma, Africa, Ali, Ma-Tzu… Sono leoni, leopardi, tigri brasiliane, siberiane, tigri del Bengala bianche. Eduardo ci tiene a specificare che quello che fa non è per tutti, che non si può mica allevare questo genere di gattoni dentro casa, bisogna lasciarli vivere creando intorno a loro un habitat naturale, anche a Città del Messico. La Black Jaguar White Tiger Foundation non fa parte della Peta (People for the ethical treatment of animals, l’organizzazione internazionale con sede a Norfolk, in Virginia, che è dietro alle campagne animaliste più cruente che conoscete), che scoraggia questo tipo di iniziative private dove non si fa abbastanza guerra animalista, non si diffondono macabri video di animali squartati o gonfiati o Dio solo sa come torturati, ma solo immagini di animali felici. Il metodo di Eduardo è educativo, e prevede tre passaggi d’inserimento per ogni nuovo animale salvato. Le immagini che pubblica sui social network dimostrano per lo meno una cosa: tra il dentista incosciente del Minnesota e l’animalismo fanatizzato, c’è una terza via possibile.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.