Smaltire i rifiuti senza tabù tecnologici: così si battono le ecomafie

Chicco Testa

Per reprimere l’illegalità è necessario ridurre la filiera e si devono attivare più impianti. Le raccomandazioni della Dia

La consueta relazione semestrale della Dia ci consegna un focus sul tema “mafia e rifiuti”. Consiglio la lettura a tutti i “decision maker” italiani in materia di gestione dei rifiuti (nazionali, regionali e locali); lì dentro ci sono tutti i temi critici del nostro sistema, descritti non da pericolose lobby industriali, ma dagli operatori della giustizia. Forse questo lo leggono.

 

Primo: la filiera dei rifiuti (urbani e speciali), dice la Dia, è troppo lunga e complessa: produttori, laboratori di analisi, intermediari, trasportatori, stoccaggi, primi trattamenti (miscelazione), trattamenti finali, export infraregionale e internazionale. Una filiera talmente lunga, frammentata e articolata che inevitabilmente genera “aree grigie” al cui interno si colloca l’offerta (illegale) delle organizzazioni mafiose. Accorciare la filiera è quindi il primo indirizzo da seguire, consentendo a tutti i territori italiani di disporre di filiere corte, senza intermediari, trasparenti e legali. Le filiere lunghe costano molto e sono per loro natura opache. Questo dovrebbe essere anche il pensiero centrale degli amministratori della città di Roma.

 

Secondo: le organizzazioni criminali hanno gioco facile in un paese in cui non ci sono impianti e l’emergenza rifiuti è realtà o è dietro l’angolo. Mancano impianti di tutti i tipi: di recupero e riciclaggio (così la frazione organica viaggia per l’Italia e i fanghi anche all’estero), impianti di recupero energetico, impianti per rifiuti pericolosi (amianto in primis). La mancanza di impianti è “il brodo di coltura” delle organizzazioni mafiose, che prosperano in un quadro di incertezza, scarsità di offerta, tempi di autorizzazione lunghi. Laddove gli impianti esistono il fenomeno si riduce. Un dato di Ispra preoccupa: l’aumento dello stoccaggio. In pratica depositi, che dovrebbero essere provvisori, di rifiuti in vista del recupero e dello smaltimento: un brutto segno. Un altro dato è chiaro: la discarica attrae più illegalità degli impianti con tecnologie complesse (inceneritori, digestori).

 

Terzo: i criteri di assegnazione dei servizi di gestione dei rifiuti urbani sono ancora opachi specie al sud, con meccanismi al massimo ribasso, che generano offerte poco chiare. Dice la Dia: “La perdurante emergenza, che in alcune aree del paese condiziona e ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti, vede tra le sue cause certamente l’assenza di un’idonea impiantistica, primi fra tutti i termovalorizzatori, e nel contempo il mancato potenziamento delle ulteriori infrastrutture necessarie, a monte, per il riciclo di materia e la stabilizzazione della trattazione organica. Una situazione che ha inevitabilmente determinato l’allungamento della filiera e il mancato compimento del ciclo di gestione, demandando lo smaltimento dei rifiuti urbani al conferimento in discarica, che spesso avviene dopo un farraginoso e dispendioso iter di trattamento e trasporto”. Un’ ottima premessa a una strategia nazionale sui rifiuti.

 

E ancora “E’ pertanto assolutamente necessario ridurre il più possibile l’intera filiera e fare in modo, così, che la chiusura del ciclo possa avvenire in prossimità del luogo di produzione del rifiuto, al di là della sola logica del conferimento in discarica. I trafficanti lo sanno bene: più rifiuti, più passaggi, più chilometri, più affari in vista”. Dovrebbero leggere bene questa relazione sia il ministro dell’Ambiente capendo che la repressione dell’illegalità non si fa con i proclami giustizialisti, ma colmando il gap fra domanda di smaltimento e offerta di impianti, senza preclusioni tecnologiche. E dovrebbero leggerla bene i tanti comitati che strepitano contro ogni tipo di impianto. Rendendosi di fatto, è ora di dirlo, complici delle ecomafie dei rifiuti.

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