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Nemmeno i cinesi vogliono più Roma

Redazione

La storia della Zecca che poteva diventare hotel di lusso e il declino capitale

Abbiamo perfino firmato un accordo con i cinesi per attrarre sempre più investimenti, attirandoci le critiche dei nostri alleati tradizionali. Lo abbiamo fatto perché si dice che le aziende cinesi arrivano, trovano soluzioni, hanno investimenti e velocità nel progettare e costruire. Il fatto è che poi, di fronte all’incapacità tutta italiana di gestire gli affari, perfino i cinesi scappano via. E Roma, la capitale più maltrattata d’Europa, è il simbolo di questo declino. La storia l’ha raccontata l’altro ieri il Corriere della Sera: la Rosewood Hotels and Resorts International, controllata dal colosso cinese World New China Land, era interessata all’edificio che ospitava la Zecca dello stato in piazza Verdi a Roma, messo in vendita da Cdp Immobiliare. Dopo quattro anni di trattative, pare che il gruppo cinese si sia defilato: “Non sono riusciti ad avere l’immobile in disponibilità nei tempi previsti. Perché? Ritardi. Rallentamenti”, scrive il Corriere, e l’immobile finirà per essere in parte centro direzionale Enel, e in parte… boh. Chissà. Ed è strano, visto che Roma Capitale ha un sindaco dei Cinque stelle, lo stesso partito che al governo centrale ha caldeggiato l’intesa con Pechino nonostante le perplessità internazionali. E la stessa Virginia Raggi è quella che avrebbe voluto risolvere la microcriminalità romana grazie alle telecamere di sorveglianza cinesi.

   

Nel frattempo, un progetto di riqualificazione urbana affidata a privati, un immobile di prestigio pressoché abbandonato, perde un’occasione (mentre ieri si dava molta importanza via social all’altra Zecca, quella dell’Esquilino, che forse verrà riqualificata). Ma bisognerebbe imparare a memoria l’editoriale di ieri del Messaggero a firma del direttore Virman Cusenza: “Morte di una città. Troppe volte ne abbiamo raccontato la crisi e il declino. Troppe ci siamo fatti interpreti del disagio e dello sconforto dei romani davanti allo sfacelo di tutti i giorni, ma questa volta – a tre anni dall’elezione della Raggi – non basta più: la catastrofe agli occhi di tutti appare ormai inarrestabile”. Editoriale al quale la Raggi ha risposto con la solita retorica dei “poteri forti”, “cattiva fede” e “malaffare”. Roma è caduta, e nemmeno i cinesi hanno voglia di sporcarsi più le mani qui.

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