L'uragano Harvey e i soliti talebani dei cambiamenti climatici

Nic. Imb.

La tempesta che ha distrutto Houston è veramente colpa del climate change? Ancora una volta la scienza smonta le certezze della propaganda

Guardi le immagini di Houston sommersa dall'acqua, i danni dell'uragano Harvey, le persone sfollate e ovviamente qual è la prima cosa che ti viene in mente? Ovvio, i cambiamenti climatici. Perché ogni sciagura, ogni disastro ambientale, in fondo, non può che essere colpa del clima. Così la propaganda si arma e parte all'attacco di Donald Trump, quasi che l'uragano Harvey fosse diretta conseguenza della sua decisione di uscire dall'accordo di Parigi.

 

Peccato che come spesso capita la propaganda è quanto di più lontano possa esistere dalla realtà. E così si scopre che i cambiamenti climatici, con Harvey, c'entrano abbastanza poco. I sostenitori di questa teoria fondano la loro certezza su due elementi: il primo è l'abbassamento del suolo di Houston e della Contea di Harris che sarebbe causato dall'estrazione di petrolio; il secondo è il fatto che l'uragano ha stazionato lungamente nella zona. E questo ne ha aumentato gli effetti.

 

Come ha spiegato su Climate Monitor il meteorologo, Guido Guidi, entrambe le cose hanno motivazioni ben più complesse e con basi scientifiche molto più solide. Per quanto riguarda l'abbassamento del suolo, un articolo di una anno fa dello Houston Chronicle raccontava chiaramente che si tratta di un fenomeno naturale. La città è infatti costruita in una zona ricca di acque sotterranee. E l'aver pompato questa acqua ha prodotto un progressivo abbassamento del suolo. Dal 1920 Houston è sprofondata di 3-3,6 metri. Le autorità hanno provato in tutti i modi a stabilizzare il terreno, anche vietando ai cittadini di pompare acqua dal sottosuolo utilizzando le risorse idriche disponibili in superficie, ma alcune aree continuano a sprofondare per circa 5 centimetri l'anno. Questo ovviamente crea un effetto conca: quando l'acqua invade queste aree, difficilmente riesce a defluire. Non fosse altre perché lo sprofondamento del terreno produce anche lo sprofondamento dei canali di drenaggio che così non sono più in grado di far scorrere l'acqua come dovrebbero. Insomma, il petrolio non c'entra, c'entra l'acqua.

 

Quanto alla secondo obiezione, qui intervengono i meteorologi, che nelle loro analisi spiegano chiaramente di non poter assicurare una correlazione tra cambiamento climatico e uragani. Servirebbero analisi più approfondite, serie storiche che, forse, verranno sviluppate nei prossimi anni. Al momento tutti concordano nel dichiarare che Harvey non è il frutto dei cambiamenti climatici.

 

Lo dicono, tra gli altri, il professore Stefan Rahmstorf co-presidente del Sistema di analisi della Terra presso l'Istituto Potsdam per la ricerca sul clima (PIK) in Germania, e Tim Palmer, professore presso l'università di Oxford e un'autorità nel campo della meteorologia. Entrambi escludono infatti che la tempesta sia stata creata dal climate change. E al massimo si spingono a dire che gli effetti di Harvey potrebbero essere stati amplificati da variazioni climatiche. La pioggia torrenziale, ad esempio, ne sarebbe una prova. Con Harvey sono caduti circa 1200 mm di pioggia. Si potrebbe eccepire che nel luglio del 1979, sulla città di Alvin, sempre in Texas, caddero 1000 mm di pioggia in 24 ore. Mentre il record assoluto è detenuto dall'uragano Hiki e dai 1320 mm di pioggia caduti alle Hawaii nel 1950. Insomma le piogge torrenziali non sono un fenomeno esclusivo del presente e, in ogni caso, una cosa è certa: in un periodo in cui il numero di uragani è in diminuzione, eventi come Harvey restano relegati al campo dell'eccezionalità. Non s'era mai visto nulla di simile ma al momento non ci sono dati che mostrano che siamo di fronte ad una tendenza con significativi cambiamenti nelle modalità di formazione e sviluppo degli uragani. Nuove evidenze scientifiche potrebbero arrivare, ma si tratta di una posizione ben diverso dalla certezza incrollabile spacciata da certa propaganda. E da qui a dire che è tutta colpa dei cambiamenti climatici ce ne passa.

 

Nel frattempo, dopo Harvey, un nuovo uragano si è formato sull'Atlantico orientale. Si chiama Irma, è stato classificato per il momento categoria 2 (su 5). Secondo gli esperti, non c'è pericolo immediato per gli Stati Uniti. Ma gli esperti, si sa, ormai non vanno più di moda. 

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