Uno dei bambini salvati dai soccorritori all'hotel Rigopiano

Ludovica e la vita dopo le macerie

Annalena Benini

I bambini bloccati dalla valanga nell’hotel Rigopiano sono tutti salvi. La determinazione di chi ha continuato a gridare e a scavare è una forza più grande dell’ostinazione di quelle scosse cieche della terra

Quando la testa del bambino è spuntata da tutta quella neve, e la giacca a vento azzurra e poi un accenno di sorriso stremato, quello è stato il momento dell’esultanza, e le mani dei vigili del fuoco gli accarezzavano i capelli, senza perdere un minuto ma per godersi l’istante della felicità assoluta, dirompente: la commozione di trovarli vivi, dopo due notti passate sotto le macerie, due notti di silenzio e di gelo, e passavano le ore e noi tutti a pensare: no, non è più possibile. Quando il padre, Giampiero Parete, il cuoco scampato alla valanga per essere andato in auto a cercare un’aspirina, ha detto dall’ospedale, giovedì sera: “Magari adesso mi portano buone notizie”, noi abbiamo chinato la testa. Pensato all’assideramento, alle macerie addosso, al buio, alla mancanza di ossigeno, a quelle notti interminabili con il vento che soffia forte e non c’è una via di uscita. Dicono che hanno acceso un fuoco per scaldarsi, chissà se è vero, come hanno fatto, da dove hanno tirato fuori il coraggio, chissà che cosa dicevano le madri ai figli per tranquillizzarli, se raccontavano storie, se cercavano di tenerli svegli o di farli addormentare. Ma le urla dei vigili del fuoco: sono vivi, tiriamoli fuori, hanno rivelato tutto ciò che sappiamo: l’ostinazione di vivere e di salvare le vite degli altri.

 

La squadra del Soccorso alpino che ha sciato al buio e poi camminato con le pelli di foca ai piedi per arrivare all’albergo e intanto appiattire la neve fresca, e che si contavano l’uno con l’altro per essere sicuri di non perdere nessuno lungo la strada, cercando di evitare le cornici di ghiaccio, e hanno incontrato altre due valanghe, i vigili del fuoco che hanno scavato con le mani e con piccole pale per non rischiare di far crollare altra neve, e quelli che la mattina alle sette hanno ripreso il cammino e non hanno creduto mai che fosse finita, hanno sperato nelle bolle d’aria che permettessero ai prigionieri della valanga di continuare a respirare, resistere per tre o quattro giorni, e non li hanno mai lasciati soli, hanno gridato, battuto, scavato cunicoli, hanno concentrato tutta la vita nella salvezza della vita: non può esistere una gioia più immensa di sentire in mezzo al vento una voce che dice: “Siamo qui”. Dicono che i quattro bambini che erano nell’albergo quando è arrivata la valanga siano tutti vivi, e che è stato fondamentale avere addosso le tute da sci e non essere stati a contatto con la neve.

 

Erano vestiti, pronti ad andare via, aspettavano la pulizia della strada per salire in macchina: avevano le giacche addosso, impazienti di scappare, quando si sono trovati improvvisamente incastrati, bloccati, forse al buio, in trappola.

 

Tutto quello che i vivi devono fare è restare vivi. Tenersi vivi. Affidarsi agli altri. Credere che gli esseri umani saranno più forti della neve, della bufera, del terremoto. Fidarsi della determinazione di chi continuerà a gridare e a scavare e a tendere la mano, che è una forza più grande e più precisa, perché umana, dell’ostinazione in quelle scosse cieche della terra.

 

Quando abbiamo visto la testa del bambino di otto anni e la sua giacca a vento azzurra, la gioia pura è durata un secondo e un secondo dopo ecco di nuovo lo sgomento: e sua sorella minore, dov’è sua sorella, dov’è Ludovica? Dopo qualche minuto hanno estratto la madre, Adriana, e di nuovo i vigili del fuoco esultavano, ma si vedeva la paura di lei, e il braccio che ancora indicava là sotto, e le uniche parole: mia figlia è là, nella stanza accanto, mia figlia è là, andate da lei. Lei non poteva ancora abbandonarsi alla barella, alla coperta termica, all’elicottero che la portava in ospedale con il figlio di sette anni. Per tutto il pomeriggio tutte le madri del mondo hanno pensato a Ludovica. E’ rimasta sola? E’ viva? E’ ferita? La valanga è arrivata alle 17.40 di mercoledì pomeriggio, è troppo tempo, è buio, fa troppo freddo.

 

I bambini sono tutti salvi. Hanno tirato fuori dalla cucina dell’albergo anche Ludovica, la bambina che voleva vedere la neve, che aveva chiesto ai genitori come regalo di compleanno di andare in montagna, e i genitori l’avevano accontentata: durante la settimana l’albergo costava di meno, c’era un’offerta.  I bambini sono tutti vivi: la valanga cieca è scesa giù per ucciderli, gli esseri umani ostinati e coraggiosi sono riusciti a salvarli.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.