I soccorsi sul posto dopo l'incidente (foto LaPresse)

In Puglia ha fallito la demagogia del regionalismo all'italiana

Umberto Minopoli
Inutile girarci intorno imbarazzati: sul binario unico Bari-Barletta si è schiantato il modello demagogico italiano del federalismo e del regionalismo senza innovazione. Le reti ferroviarie minori in concessione sono un tributo della storia italiana, un retaggio della nostra particolare costruzione unitaria e dell'eredità del localismo pre-unitario? Vero. Ma solo in parte.

Inutile girarci intorno imbarazzati: sul binario unico Bari-Barletta si è schiantato il modello demagogico italiano del federalismo e del regionalismo senza innovazione. Le reti ferroviarie minori in concessione sono un tributo della storia italiana, un retaggio della nostra particolare costruzione unitaria e dell'eredità del localismo pre-unitario? Vero. Ma solo in parte.

 

L'eredità pre-unitaria riguardava 1.326 Km di rete affidate a imprese ferroviarie locali e private. Oggi si apprende che le reti locali assommano a 9.000 km di rete (su 16.000 km): più della metà della rete ferroviaria. Ma la gestione di questa rete "minore" non è affatto privata. Attenti ad agitare la nenia del liberismo e della privatizzazione.

 

La rete ferroviaria italiana è, nei fatti, tutta pubblica. E' solo splittata tra due soggetti pubblici di proprietà e regolazione: Rete Ferroviaria Italiana, di proprietà delle Fs (che gestisce poco più che 7.000 Km di rete) e società che gestiscono la "rete minore" (ben 9.000 Km di rete) in base a contratti di servizio con le Regioni. Si apprende, inoltre, che solo la rete in gestione diretta Fs è realmente sottoposta ai vincoli e agli standard (europei e internazionali) dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, nata nel 2007. La giurisdizione di questa Agenzia, infatti, si esercita solo sulla rete di proprietà di RFI. Sul resto delle linee, la maggioranza della rete, la politica di sicurezza è articolata tra Regioni, Ministero dei Trasporti, concessionari locali. Un'evidente distorsione. Che non ha niente a che vedere con la liberalizzazione. E ha molto a che vedere con una malintesa interpretazione del decentramento e del federalismo: in cui lo Stato, in nome del regionalismo, rinuncia ad esercitare la sua giurisdizione diretta, specie in termini di scelte per la sicurezza, sulla parte maggioritaria della rete ferroviaria italiana.

 

La seconda ragione del disastro pugliese è tecnologica. L'assenza di un regolatore nazionale e unico, il localismo e il federalismo imperfetto, la limitatezza della risorse regionali hanno portato a una frammentazione dei piani di ammodernamento e di investimento delle reti locali. Con scelte discutibili. Ad esempio: apprendiamo che è stata data priorità al raddoppio delle linee locali e al superamento del binario unico (ne abbiamo ancora 9.161 Km). Non pare che questo sia il vero problema. Altri paesi europei hanno reti a binario unico anche più estese. Il vero problema non è il raddoppio. E' la tecnologia elettronica di separazione e controllo di sicurezza tra i treni. Questa è la chiave che minimizza gli incidenti: annulla l'errore umano (il vero obiettivo della sicurezza) e affida il mancato impatto tra i treni, esclusivamente, agli automatismi del fattore tecnologico.

 

E' la vera frontiera della politica di sicurezza nei sistemi complessi in ogni campo: l'operatore deve limitarsi, sempre più, a controllare la macchina dotato del massimo di informazioni possibili; i sistemi di sicurezza (blocco del treno, gestione degli allarmi ecc.) devono attivarsi automaticamente ben prima della materializzazione del rischio. Se si annulla il fattore umano la probabilità incidentale si abbatte esponenzialmente. Le più importanti tecnologie si chiamano Ertms/Etcs per le linee ad Alta velocità e Scmt (Sistema controllo marcia treno) per le linee convenzionali. In pratica, se un macchinista non si adegua ai segnali che dalle rotaie vengono rimbalzati in cabina, il treno si ferma. Ad esse, ormai, si aggiunge l'uso esteso delle tecnologie satellitari (Ersat) per il distanziamento dei treni. Essa però ha ancora un'applicazione molto limitata. Ora il problema è che la scelta tecnologica, per ragioni di risorse limitate e di modello gestionale (decentramento localistico) è stata sacrificata. E solo meno della metà della rete italiana può dirsi oggi sicura e sottoposta a standard moderni.

 

Su oltre metà della rete italiana, quella regionalizzata e data in concessione, si viaggia senza tecnologia e con soluzioni di sicurezza ancorate a metodologie dell'800. E' frutto della demagogia federalista. Qualche imbecille ambientalista se la prenderà con l'alta velocità. Dove l'applicazione delle tecnologie della sicurezza è al massimo. Per costoro nel medioevo doveva restare, invece, tutta la rete ferroviaria italiana. Invece è il contrario: nelle tecnologie di sicurezza e controllo tipici dell'alta velocità, sarebbe  dovuta entrare l'intera rete ferroviaria italiana. Invece ha prevalso la demagogia del decentramento e del federalismo: affidare a regioni senza soldi e competenze (che gestiscono attraverso concessioni a società senza soldi e competenze) la sicurezza ferroviaria.

 

E' l'aberrazione del regionalismo cretino italiano che ha sostituito moderne politiche di privatizzazione e liberalizzazione. Un modello che va superato. Pochi sanno ancora che questa aberrazione potrebbe essere superata se passa il Si al referendum di ottobre. Che tra i suoi quesiti contiene la riscrittura e della aree di competenza distinta di Stato e Regioni. Dico la verità: basterebbe questa revisione del regionalismo per votare, convintamente, si.

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