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Outlet Moratti. La svendita di Letizia e lo sconcerto degli artisti
Nella giornata di ieri sono state messe all'asta 34 opere della Fondazione San Patrignano e le critiche arrivano da tutte le parti: "Operazione senza criterio, messi insieme artisti giovani, defunti e quelli con un solido mercato", dicono curatori e archivisti
Outlet Moratti. Gli artisti donano, la signora svende. Si è tenuta ieri la tornata unica che ha messo all’asta alcune opere della Fondazione San Patrignano, co-fondata da Letizia Moratti. La collezione, voluta da Gian Marco e Letizia, nell’ottica del mecenatismo meneghino, è stata ferita ieri da una certa negligenza. “Io mi difendo”, dice Luca Pignatelli, tra i più apprezzati artisti italiani all’estero. Ma gli altri? “Ci sono artisti più giovani messi alla berlina da scelte, credo, curatoriali. Danneggiati e beffati da quotazioni bassissime, molto più basse rispetto alle quotazioni di vendita generale, non meno che dal fatto di non appartenere più a una collezione così prestigiosa”.
A sentire poi curatori e archivisti, l’operazione – appaltata alla casa d’asta Cambi – è “a dir poco sconcertante”. “E’ senza criterio”, spiegano, l’aver messo insieme artisti con un solido mercato, pittori defunti con un mercato secondario e giovani a quotazioni bassissime, che chissà mai se si riprenderanno. E dunque la storia di cui scriviamo, che può forse entrare nel filone di decadenza milanese, riguarda un “fuoritutto” stile black friday. Ossia l’outlet di 34 opere della Fondazione che i Moratti hanno sempre chiamato “seconda casa”. Una casa che certo non trova nell’arte il suo cuore o core business – come dicono appunto a Milano – ma che ha manifestato cura, almeno fino agli ultimi tempi, rispetto agli artisti emergenti. Anzi, all’inizio il mecenatismo morattiano era assai fiorente.
Prima che Gian Marco Moratti morisse, nel 2018, si andava in quella direzione: acquisizioni, donazioni, opere in comodato al museo riminese Part, per quanto nessuno avesse mai fatto mistero che il tutto poteva considerarsi parte di un sistema di endowment sul modello anglosassone (anche se Milano, in termini di mercato dell’arte, non è Londra). E sarà che la grandeur è finita, sarà che della Milano da bere non è rimasta che una influencer sul viale del tramonto, ma il momento di aprire la cassaforte, comunque, è arrivato. Con il nulla osta dei vertici e giocoforza dell’ex sindaco di Milano, oggi europarlamentare di Forza Italia. “Per la prima volta – scrivono da Cambi – la Fondazione mette all’asta una selezione di lavori della propria collezione con finalità benefica, destinando il ricavato a progetti di efficientemento energetico della struttura”.
Così, accanto a una grande scultura del defunto polacco Igor Mitoraj (60-80 mila euro) ieri c’erano installazioni del maestro della pittura analitica Pino Pinelli a soli 20 mila euro, e poi artisti viventi che non erano mai stati esposti in asta come Claudia Losi (andata poi decorosamente, ma non al livello delle quotazioni di mercato). Un calderone nel calderone giacché i 34 lotti sono stati battuti insieme ad altre opere, appartenenti ad altre collezioni, e guidate da un Morandi quotato a un milione. Chi ha seguito la vicenda per conto degli artisti racconta che altre case d’asta, forse con più “criterio”, avevano ponderato diversamente. Decidendo di non battere a prezzi così bassi opere di defunti, di artisti ricchi e forti di secondo mercato, e di giovani emergenti macchiati (si spera di no) da un’asta svilente. Qualcuno di loro – non lo dice ma lo pensa – non donerà più per cause benefiche. Non fosse altro che per evitarsi, lui o lei, una comunità di recupero per artisti depressi. E’ l’eterogenesi dei fini, bellezza.