in sicilia
L'incuria a Catania. Bruciato l'auditorium delle Ciminiere, capolavoro nato dal genio di Giacomo Leone
Bruciato il “cutuliscio”, l’auditorium simbolo di Catania ispirato ai ciottoli lavici dell’Etna. Ora la città, fedele al motto Melior de cinere surgo ("Rinasco migliore dalle ceneri"), è chiamata a far rinascere la sua architettura più poetica
Nero, evocativo e imperscrutabile, quasi esoterico, al pari dell’elefantino, u Liotru, che domina piazza del Duomo, il cuore della città di Catania. Così l’auditorium del Complesso Fieristico Le Ciminiere, conosciuto dai catanesi come cutuliscio, per via della sua forma peculiare che ricorda un ciottolo levigato dal mare, rappresenta l’ombelico culturale del capoluogo etneo. Quegli stessi ciottoli, i cutilisci sputati dall’Etna e levigati dall’acqua del mare, che Giacomo Leone, architetto dell’opera, andava cercando di domenica, accompagnato dai figli, lungo la scogliosa battigia catanese, per ritrovare la forma esatta, quella da tramutare poi in architettura.
Ma se l’elefantino è ancora lì, ben saldo sul suo piedistallo di marmo bianco, l’auditorium non c’è più, è ridotto in cenere dall’alba di ieri l’altro, quando i vigili del fuoco sono riusciti a domare l’incendio scoppiato nel tardo pomeriggio di martedì. Collocata nell’angolo nord est del centro fieristico, di fronte allo Jonio, dal quale lo separano i binari ferroviari, l’opera era oggetto di un intervento di restauro. Si suppone che alcune scintille di una fiamma ossidrica abbiano innescato l’incendio che ha divorato le imponenti travi lignee che coprivano la sala superiore da milleduecento posti, oltre alla copertura, completata dal tavolato, strati insonorizzanti e impermeabilizzanti e l’inconfondibile finitura con pomice lavica.
Sembrerebbe rimasto integro il solo spiccato in calcestruzzo armato e di conseguenza la sala inferiore da seicento posti collocata al suo interno. Connotato da una pianta quasi circolare, l’edificio ha una sezione visibilmente inclinata che avvicina l’opera alle forme tipiche dei ciottoli lavici, e che venne studiata per garantire un’acustica adeguata in entrambe le sale. L’auditorium è parte di un imponente complesso, nato sulle rovine di uno dei principali poli di raffinazione dello zolfo in Italia. In Sicilia si contavano almeno cinquecento siti estrattivi e l’indotto dava lavoro a oltre duecentomila persone. Di colpo il processo Frasch, con le sue tubazioni avveniristiche, soppiantò la forza lavoro di migliaia di minatori, tra cui molti bambini coinvolti nell’estrazione dalle cave. L’industria siciliana dello zolfo era oramai destinata a tramontare.
Così accadde che l’enorme cittadella zolfifera divenne in pochi decenni un esempio di archeologia industriale. Passeranno cinquanta anni prima che Giacomo Leone, in veste di presidente della commissione urbanistica interna al consiglio comunale, inizierà ad esaminare l’area per vagliarne ipotetiche azioni di rinnovamento. L’ambizione fu quella di conformare al contempo un polo fieristico, congressuale ed espositivo. La Provincia si convincerà della bontà delle sue intuizioni, incaricandolo del progetto architettonico.
Terminato nei primi anni Novanta, dopo più di quindici anni di gestazione, il complesso vanta tuttora un patrimonio unico in Italia (quarantacinquemila metri quadri di superficie utile, tra interno ed esterno, di cui undicimila all’aperto, tremila dei quali destinati a verde pubblico). La prossimità al mare e al centro storico di Catania, la versatilità degli spazi, il radicamento del complesso nell’immaginario collettivo, garantiscono delle premesse fondamentali per pensarlo tutt’oggi come un centro culturale unico nel panorama italiano, in linea con operazioni di ricucitura e rilancio, sempre più rilevanti negli ambiti metropolitani europei. Con la sua dimensione transitoria, l’innata vocazione al disfacimento e alla rinascita, non per caso su di una delle sue porte principali si legge Melior de cinere surgo, la città di Catania è abituata a convivere con un’incerta condizione tellurica, fatta di eruzioni e terremoti, traumi pregressi che la città rimuove, ma di cui conserva le ferite. Quindi oggi la città è chiamata a raccogliere l’ennesima sfida di questa profonda attitudine, per ripristinare, dov’era e com’era, un prezioso esempio di grande architettura contemporanea nel mezzogiorno italiano.
Sarà necessario per recuperare un’opera antigraziosa, chiusa in una riservata eleganza. Un progetto simbolico, perfettamente mimetizzato nel contesto, capace di esaltarne la parte minima, infinitesimale, un banale ciottolo. Compreso tra l’Etna e il mare.