
L'anniversario del 7 ottobre, a un anno dal massacro, nella Sinagoga centrale di Milano (LaPresse)
A due anni dal 7 ottobre. In Italia le comunità ebraiche ricordano in silenzio le loro vittime
Dopo le grandi piazze per Gaza, la ricorrenza del pogrom: ma le 1.200 vittime israeliane di Hamas non smuovono gli italiani. Pochi eventi, quasi di nascosto. Mentre Francesca Albanese sarà al Palazzo Ducale di Genova. E c'è chi dice: “Evitate la kippah fuori dal Ghetto”
Domani ricorrerà il secondo anniversario del 7 ottobre 2023, la giornata che segnò l’assalto di Hamas in Israele, un pogrom con circa 1.200 morti e centinaia di ostaggi, una cinquantina dei quali ancora prigionieri nei tunnel di Gaza. Dopo una settimana nella quale manifestazioni di massa hanno attraversato l’Italia per il dramma umanitario di Gaza, in ricordo delle vittime israeliane solo eventi piccoli, raccolti, spesso poco visibili, organizzati dalle comunità ebraiche italiane - come se dovessero piangere in segreto quelle vittime. Da una parte l’urgenza di reclamare la fine del massacro, dall'altra una sofferenza quasi privata, che cerca un luogo dove esistere.
Negli ultimi giorni il sostegno alla popolazione palestinese si è manifestato in decine di città italiane con una partecipazione massiccia, da Milano a Napoli, da Torino a Genova, da Bologna a Firenze. Il 3 ottobre, in seguito all’intercettazione della Global Sumud Flotilla da parte delle forze israeliane, è stato proclamato uno sciopero generale nazionale e migliaia di persone sono scese in piazza. Secondo la Cgil, oltre 2 milioni di persone hanno aderito (il Viminale ne ha conteggiate 400-500 mila in corteo) e Roma da sola ha visto decine di migliaia di manifestanti. Eppure, in queste stesse ore, in Italia si stanno organizzando eventi ben più discreti. Non cortei giganteschi, ma accensioni di luci, letture, incontri contenuti: appuntamenti spesso rivolti alla comunità, non pensati per i grandi media. È come se gli ebrei italiani sentissero il dovere di commemorare in un angolo, in rituali interni, mentre il resto del paese alza la voce.
Roma: “Una luce per gli ostaggi”
Nel quartiere ebraico della Capitale, il 5 ottobre si è svolta una manifestazione per ricordare le vittime del 7 ottobre e gli ostaggi tuttora detenuti da Hamas. Circa 300 persone si sono raccolte nel Ghetto con candele, foto degli ostaggi e interventi. Organizzata dalla Rappresentanza Italiana del Forum delle Famiglie degli Ostaggi, dall’Unione Giovani Ebrei d’Italia, da Run for Their Lives-Roma e da Associazione Setteottobre, con il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, l’evento ha chiesto di non dimenticare i 48 prigionieri ancora nelle “gallerie” della Striscia. Tra le parole più forti, quelle del portavoce Benedetto Sacerdoti: "Uomini incatenati, ridotti a scheletri, costretti a scavarsi la fossa con una pala, a dividere una scatoletta di fagioli". È una cronaca del dolore che nessuna manifestazione urlata può sostituire. L’intervento di Luca Spizzichino, presidente dell’Ugei, ha ribadito: "Dobbiamo essere una luce accesa nel buio della loro prigionia". Il portavoce del rabbino Riccardo Di Segni dice che "non ci sono disposizioni ufficiali: tutto è a discrezione del singolo. È inutile negare che ci sia apprensione, ma da qui a nasconderci, ce ne passa".
A Milano non ci saranno commemorazioni pubbliche
La Questura - scrive Zita Dazzi sul Corriere della Sera - ha vietato di dare pubblicità a un flash mob organizzato da varie associazioni legate alla comunità ebraica e a Israele. Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica, ha spiegato al quotidiano: "Noi saremo in una piazza della città, protetti dalle forze dell'ordine, come l'anno scorso. Ci sono state aggressioni, minacce, insulti, svastiche sulle porte di casa. Quindi ci diamo appuntamento fra noi, ma per motivi di ordine pubblico, la Digos ha vietato di annunciare dove". E c'è chi, come il presidente della comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi, invita gli iscritti a non portare addosso segni di riconoscimento: "Abbiamo dato indicazione di non indossare stelle di Davide e kippah, se non con un berretto sopra: il rischio è troppo alto. Nelle ultime manifestazioni abbiamo sentito gente urlare 'A Natale non comprate addobbi, ma impiccate gli ebrei, la corda è gratis'. I sindacati, i partiti non battono ciglio. Chi aizza le masse favorisce il clima di odio antisemita. Non abbiamo paura, non cambiamo abitudini, ma ringraziamo polizia e carabinieri che ci proteggono".
Venezia: evitare la kippah in strada
Anche a Venezia circola in questi giorni una raccomandazione silenziosa nella comunità ebraica: non indossare la kippah fuori dal Ghetto. Il timore non è retorico ma concreto: già si sono verificati atti violenti contro turisti ebrei. Il presidente Dario Calimani spiega che "non esiste nessun appello né ufficiale né ufficioso a togliere la kippah, ma l'antisemitismo è evidente. Le persone sono intelligenti e si regolano di conseguenza: la cautela è utile". La nota dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane segnala che il Ghetto è sempre considerato zona “sensibile” e sotto stretta sorveglianza, che va intensificata in occasione del 7 ottobre. Ma quel suggerimento a "essere invisibili” pesa come una triste costrizione. Così, mentre un pezzo d'Italia grida, altri italiani devono tacere per proteggersi.
Francesca Albanese a Genova. Polemiche
A Genova è in programma per la sera del 7 ottobre un incontro pubblico con Francesca Albanese a Palazzo Ducale, incentrato sulla legalità internazionale, il cessate il fuoco e le crisi in corso. Ma la comunità ebraica locale ha reagito con perplessità e persino sdegno. "Non è un problema che venga a parlare, ma la scelta del 7 ottobre è inopportuna", ha detto Ariel Dello Strologo, ex presidente della comunità. Il timore è che la data della tragedia venga trasformata in strumentalizzazione politica, che il discorso pubblico possa scivolare in narrazioni che negano o relativizzano l’attacco del 2023.
A Bologna i Giovani Palestinesi inneggiano al massacro
A Bologna, il secondo anniversario del 7 ottobre assume una forma ancora più controversa. I Giovani Palestinesi di Bologna hanno pubblicato sul loro profilo Instagram ufficiale un volantino per una manifestazione in Piazza del Nettuno domani alle 19.30, accompagnato dalla scritta provocatoria: “Viva il sette di ottobre, viva la resistenza palestinese”. Il massacro è definito come la "più grande azione di resistenza degli ultimi decenni contro l'occupazione coloniale sionista". Il sindaco Matteo Lepore ha scritto ieri in un comunicato che "scendere in piazza inneggiando agli atti terroristici del 7 ottobre è vergognoso e va condannato e respinto in modo fermo. Chi promuove iniziative di questo tipo non ha nulla a che fare con chi si batte per la pace in Palestina e fa solo il gioco di chi nega il genocidio a Gaza. L’antisemitismo non è la soluzione, ma la benzina sul fuoco, l’odio che porta altro odio. Chi organizza queste manifestazioni vuole boicottare il movimento per la pace e Gaza". Il prefetto di Bologna, Enrico Ricci, ha dichiarato che la manifestazione “verrà assolutamente vietata” con “notifica del provvedimento”, scrive Today. Anche il questore di Bologna, Antonio Sbordone, sostiene che “una manifestazione del genere non si può consentire” e specifica che la mobilitazione “non è stata preannunciata, quindi confido ancora nel fatto che poi non si faccia. Se invece dovesse essere confermata bisogna sicuramente adottare dei provvedimenti".
Il peso di un anniversario
E' insomma la fotografia di una tensione che attraversa l’Italia di oggi. Da un lato, un desiderio collettivo di rendere visibile la tragedia di Gaza: blocchi, scioperi, cortei. È una richiesta etica: che la tragedia non venga ignorata. Quei manifestanti alzano la voce non solo per i palestinesi, ma anche per dire che l’orrore, quando avviene, non può essere lasciato nel buio. Dall’altro lato, tuttavia, per le comunità ebraiche i due anni dal pogrom del 7 ottobre contengono una sofferenza ulteriore: quella di dover commemorare vittime di un attacco che molti negano, relativizzano o confondono con giudizi politici, in un contesto dove la stesa identità ebraica è spesso bersaglio di attacchi, sospetti, gesti palesemente antisemiti. Così le "razioni" di memoria (quanti eventi pubblici si possono tollerare? quante parole possono dirsi?) appaiono calibrate, quasi timide. Resta la domanda: nel nostro paese, dove trovano spazio le vittime del 7 ottobre 2023? Possono essere commemorati coloro che sono stati massacrati, stuprati o ridotti in ostaggio, senza che il loro nome diventi oggetto di propaganda? E ancora: in che misura il silenzio è una forma di resistenza? Se le vittime non trovano la loro celebrazione nelle grandi piazze, forse è proprio quel silenzio che reclama dignità. Quel che importa non è solo essere visti, ma non essere dimenticati.

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