
Screenshot preso da X
Il poster che santifica Luigi Mangione nella città dove venne ucciso Marco Biagi
Per le strade di Bologna, città in cui fu ucciso Marco Biagi dalle Br, è apparso un poster che santifica Luigi Mangione, killer del ceo Brian Thompson. La replica dell'assessore alla Cultura: "È un'espressione artistica che può piacere o no, ma tale resta"
Hate speech o free speech? E’ una questione antica, quella dei limiti alla libertà di parola e all’incitamento all’odio, che è tornata al centro del dibattito pubblico con l’omicidio di Charlie Kirk. Un caso emblematico di questa polarizzazione, seppure di dimensione locale, viene da Bologna, dove su un muro è apparso un manifesto di “San Luigi da Towson” con la didascalia “protettore dei malati abbandonati”. E’ la raffigurazione di Luigi Mangione, il 27enne accusato di aver ucciso in una strada di New York Brian Thompson, ceo di UnitedHealthcare, come gesto di protesta contro le assicurazioni sanitarie accusate di fare profitti sulla pelle dei malati: per questo Mangione è diventato un eroe della sinistra radicale e anti capitalista. Il manifesto è stato affisso da Cheap, un’associazione di street art, nell’ambito di una collaborazione con il comune di Bologna per la rigenerazione degli spazi affissivi del centro storico.
Fratelli d’Italia ha sollevato la questione, chiedendo all’amministrazione comunale di rimuovere il manifesto e revocare i finanziamenti all’associazione: “Il manifesto è stato inserito in una delle installazioni di Cheap, associazione di estrema sinistra finanziata dal sindaco Lepore. Questo conferma la totale contiguità della sinistra con chi fomenta odio e violenza, con centri sociali e collettivi, conferma la loro complicità chi minaccia e alimenta un clima di tensione e odio”, ha dichiarato il senatore della destra Marco Lisei. Hate speech, insomma. Gli ha risposto l’assessore alla Cultura, Daniele Del Pozzo: “Una determinata espressione artistica può piacere o non piacere, può essere provocatoria o ironica, come credo sia nel caso richiamato, e può anche far discutere. Il punto è che non sta alla destra decidere cosa può essere esposto e cosa no; così come non sta al Comune, che non ha alcun controllo preventivo su progetti di questa natura, perché siamo in democrazia, che vuol dire che l’arte è libera”. Free speech, quindi.
La questione è ovviamente delicata, perché Bologna è la città in cui è stato ucciso Marco Biagi, da terroristi delle Brigate Rosse che si sentivano difensori del proletariato sfruttato: vedere per le strade della stessa città un poster che santifica un assassino, definendolo come Mangione si sentiva “protettore dei malati abbandonati”, può urtare la sensibilità di chi c’è e la dignità di chi non c’è più. Ma in democrazia, si dice, c’è libertà di espressione. Il comune di Bologna ebbe, però, un’impostazione molto meno libertaria nel 2022, quando in città vennero affissi manifesti dell’associazione “Pro vita” contro “l’ideologia gender”: il sindaco Matteo Lepore tentò di far rimuovere i manifesti perché “offensivi della dignità delle persone e della libertà di espressione di genere”, mentre la vicesindaca Emily Clancy propose di “inserire correttivi agli attuali regolamenti comunali in materia di pubbliche affissioni, affinché non si debbano ripetere episodi di questo tipo”.
In effetti, esiste un Codice di autodisciplina sulle pubbliche affissioni secondo cui “la comunicazione non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose. Essa deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere”. Ma, per quanto ci si possa sforzare, è difficile immaginare un perimetro di applicazione di questa regola in cui rientri come offensivo il manifesto di Pro vita contro l’ideologia gender e resti fuori il poster di Cheap che santifica un assassino. La giustificazione del comune è di tipo burocratico: il regolamento si applica agli spazi pubblicitari a pagamento, che seguono un determinato iter autorizzativo; mentre il manifesto su Luigi Mangione è su spazi pubblici di affissione non pubblicitari.
Ma il bene da tutelare, cioè le persone che si possono sentire offese o discriminate da un manifesto, non cambia in base al fatto se chi lo affigge ha pagato il comune (Pro vita) o è stato pagato dal comune (Cheap). Esclusa la distinzione burocratica, che è un’offesa all’intelligenza, un secondo piano di riflessione è se la comunicazione definita “artistica” abbia diritto a una maggiore libertà di espressione rispetto alla comunicazione politica, sindacale o sociale, come sembra sostenere l’amministrazione Lepore. Sarebbe interessante vedere l’applicazione di questo principio qualora apparissero installazioni “artistiche” contro l’immigrazione, l’ideologia gender o altri temi cari alla destra.
Ma in realtà, come sempre più spesso accade in questi casi, nessuno difende alcun principio. Solo la proprio parrocchia: si chiama free speech per gli amici e hate speech per i nemici.