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Editoriali

All'università di Pisa cresce la violenza antisemita

Redazione

Gli attivisti pro Pal irrompono la lezione e aggrediscono il professore Rino Casella accusato di essere "sionista" semplicemente perché non condivide le loro posizioni. Smentiti quelli che ripetono che negli atenei non c'è un clima d'odio crescente

Ieri mattina all’Università di Pisa un gruppo di attivisti pro Pal ha fatto irruzione in un’aula di Scienze politiche interrompendo una lezione. Un’aula scelta non a caso, con delirante odio antisemita: vi stava tenendo lezione il professor Rino Casella, docente di Diritto comparato, che i pro Pal hanno più volte definito “professore sionista” semplicemente perché non condivide le loro posizioni. Non solo la lezione è stata interrotta, ma il professore ha subito un’aggressione fisica, tra le urla, e ha dovuto poi recarsi al Pronto soccorso. Un fatto di gravità inaudita, e serva da smentita a chi ipocritamente ripete che nelle università non c’è un clima d’odio crescente. Fanno orrore, per violenza e pochezza di argomentazioni,  gli slogan scanditi degli aggressori: “Gente come questo professore nelle aule non ci deve stare, non deve avere spazio” – la negazione dell’agibilità degli spazi è un vecchio tic della sinistra extraparlamentare – e ancora: “Abbiamo interrotto la lezione del professore perché il docente ci ha impedito di parlare del genocidio in atto in Palestina”.

 

Casella stava facendo lezione, ma questo diritto democratico e d’insegnamento ai nuovi maoisti pro Pal non interessa. L’elemento più grave è ormai l’evidente connessione tra i modi dell’attivismo pro Pal, l’antisemitismo più becero e violento e la pretesa totalitaria tipica del maoismo d’antan: “Ci siamo imbattuti in un professore sionista che in ogni modo ha tentato di non far entrare al voce solidale con la Palestina nella sua aula”. La Rivoluzione culturale. Casella aveva firmato l’“Appello contro la nuova intifada antisemita nelle università” promosso dal Foglio in giugno. Rivedibile il rettore Riccardo Zucchi, che anziché difendere il docente e la libertà dell’ateneo, ha accarezzato il mainstream: “Siamo stati fra i primi a parlare di pulizia etnica a Gaza e abbiamo preso una decisione storica, essendo il primo ateneo italiano a sospendere i rapporti accademici con due università israeliane”. Ne è venuto del buono, evidentemente.

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