
“E io ti boicotto” è soltanto broncio isterico-moralista
Dal sindaco di Sesto Fiorentino che ha deciso di boicottare i farmaci prodotti in Israele per educare chi non “sente la sofferenza” a Coop Alleanza 3.0 che toglie dagli scaffali le arachidi israeliane e offrire la Gaza Cola. Rassegna di gesti inutili
Non gli parlavano più, proprio gli tenevano il muso; pure in chiesa, non potendolo tenere lontano da Dio come Woody Allen nella sinagoga, non si sedevano più accanto a lui e non gli davano più il segno della pace (perdonate l’anacronismo: il segno della pace è un cascame cattolico frutto delle brutte riforme liturgiche). Non lo servivano più manco nei negozi (più tardi, oltreoceano, i Buoni si sarebbero indignati contro i pasticcieri che non vendevano torte per i matrimoni gay: ogni rovescio ha la sua medaglia). Gli tenevano il broncio, gli indignados ante litteram, e il signor Charles Cunningham Boycott probabilmente era una cattiva persona. Fu allora che nacque il verbo, uno dei verbi più retorici e disutili della storia: boicottare, aka sentirsi in pace con la propria bella coscienza. Come il sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi, “il nostro compagno” (di Fratoianni, celebre boicottatore di Tesla), quello che ha deciso di boicottare nelle farmacie di proprietà comunale i farmaci prodotti in Israele. Un gesto di furore punitivo che intende non già mandare in bancarotta Israele, ma istigare buoni sentimenti nella zucca della gente cattiva più di Mr. Boycott: “Alcuni proprio non riescono a sentire la sofferenza di un popolo oppresso da decenni”, ha scritto. Dunque deve insegnargliela lui, non sia mai che le persone possano sentire sofferenza per quel che vogliono loro. Sennò, a un sindaco di Fratoianni, che gli resta da fare? Va da sé che il geniale sindaco di Sesto Fiorentino s’è accorto, poco dopo la sparata che gli ha concesso i suoi 7 minuti e 1/2 di notorietà, che vietare la vendita di farmaci ammessi dal sistema sanitario, e magari prescritti da un medico non boicottatore, è faccenda delicata, anzi grave ai limiti di legge. Così non è che ha tolto il boicottaggio, ma ha dovuto spiegare su Facebook che “il boicottaggio interesserà farmaci da banco (dove esistono decine di alternative equivalenti), prodotti cosmetici e ogni altro prodotto che non sia prescritto”. E siccome è persona dotata di acuto sarcasmo, ha aggiunto che la colpa è di chi non ha capito: “Ho probabilmente già superato le righe di testo perché loro possano comprendere”. Il boicottaggio dei farmaci non è solo un’idea che non funziona: è uno sbocco d’odio ideologico, di cattiva digestione, di cui si farebbe a meno.
Che non funzioni, come forma di coercizione delle libere scelte di cittadini, se ne sono accorti anche alle Coop. Che in un comunicato nazionale hanno ribadito: “Non spetta alle imprese boicottare Israele”, casomai è una scelta che “spetta ai soci e ai consumatori che rappresentano valori, opinioni e sensibilità inevitabilmente diverse e tutte ugualmente rispettabili”. Giusto per prendere le distanze da Coop Alleanza 3.0 che aveva deciso di togliere dagli scaffali le arachidi israeliane e di offrire, sempre per buona pratica morale, la Gaza Cola, che “offre ai consumatori un’alternativa ‘libera dall’apartheid’”. Le Coop ricordano pure che “Israele non fa eccezione alla policy di Coop nazionale”. Ma in fondo non è una questione di libero mercato, bensì di libertà di scelta (e di di cura). Soprattutto è questione dall’esito grottesco, e di solito boomerang, di quegli atteggiamenti isterico-morali che vanno sotto il broncio “e io ti boicotto”. Non ti saluto più.