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il caso

Un borgo toscano può vincere la battaglia dei rifiuti

Antonio Pascale

Prima un’innovativa gestione della discarica e ora la prospettiva di un inceneritore senza fiamma. Il modello virtuoso di Peccioli 

Uno dei miei sogni ricorrenti: trovare il bidone dell’immondizia vuoto, a Roma esperienza quasi mistica, da sogno appunto. Per millenni i rifiuti sono stati gestiti all’insegna di “abbandona e dimentica”. Cioè, buttalo qui, buttalo in un fiume, in un anfratto e non ci pensare più. Ma sono passati millenni, no? Non è più così! Sicuri? A parte il grado di inciviltà stabile per cui basta una nuova piazzola, isolata dagli sguardi, un’area protetta, ed ecco che appaiono i soliti elettrodomestici, i divani del secolo scorso, qualche sanitario scrostato, roba che resta lì, a marcire, processo d’altronde accompagnato dalle maledizioni del cittadino che si chiede: ma che ci vuole? Che ci vuole a chiamare l’apposito servizio dell’Ama Roma? E tutti che guardano il divano, si rovinano la giornata, fanno progetti per cambiare quartiere o cambiare stato, e tutti a maledire e sperare che qualche (non così amato) Rom di buon cuore, si carichi il rifiuto e se lo porti via: abbandona e spera nel Rom. Ma a parte l’inciviltà, la pratica dell’abbandona e dimentica vive ancora nel dibattito pubblico, quando per esempio la si fa tanto facile, si cercano quelle scorciatoie preferite da certi dibattitori di ogni cosa, per esempio: rifiuto zero, economia circolare, no a questo, no a quest’altro, o il fronte anti inceneritore, anti discarica, il fronte anti ragionamento. Quando questo tipo di (non) ragionamento si insinua stabile nei nostri cuori ecco, che (simbolicamente) stiamo ricorrendo alla pratica millenaria dell’abbandona e dimentica. Perché alla gestione dei rifiuti manca la scintilla, il guizzo, la collaborazione, l’innovazione insomma.


Visto il clima, un giorno abbiamo deciso di cambiare area, cioè, siamo andati nell’innovativo comune di Peccioli, in Valdera, che sapete come lo descrivono le guide, vero? Il borgo è un misto di modernità e tradizione, si trova su una collina affacciata sulla Valdera… In genere queste descrizioni sottolineano la salubrità del paese, l’aria pura, la cristallina bellezza di certi panorami. Ebbene, queste descrizioni dipendono anche da una innovativa gestione dei rifiuti e da una discarica unica in Italia. La storia della discarica è nota, iniziò quando nel 1984 venne chiuso da un sindaco democristiano l’inceneritore di Firenze (in pratica venne acceso e pochi mesi dopo spento), così, poco dopo, tutto il circondario di Firenze, nonché i comuni limitrofi come Prato andarono in emergenza. Che si fece? Al solito, abbandona e dimentica, ci pensa il Rom. 

I rifiuti della Toscana all’epoca andavano ovunque, a Conversano, a Taranto, anche perché l’unica discarica esistente sul mercato toscano, quella di Certaldo, tra l’altro patria di Boccaccio e del più famoso Luciano Spalletti (si scherza, eh), si era gonfiata a dismisura. La famosa discarica di Peccioli nasce da quella crisi. Il sindaco Renzo Macelloni da subito coinvolse la popolazione locale (responsabilizzandola) sulla necessità di una discarica innovativa. Un aspetto di questa innovazione? Prima di tutto la diversità della decisione. Non usare la scure del top down: impongo una decisione dall’alto e poi vada come vada. Cosa che si poteva fare, perché in quegli anni, alcuni partiti in quelle zone avevano una maggioranza bulgara. Invece il sindaco d’accordo con la popolazione propose un patto alla Regione Toscana: noi accogliamo i vostri rifiuti (a Peccioli c’era un’area già malamente adibita a discarica ma che produceva solo percolato), voi ci date una mano per una corretta gestione e il risanamento ambientale. La gestione della discarica è stata così innovativa che ne ha parlato il mondo. Per cominciare, la società che gestisce i rifiuti è frutto di un azionariato popolare (900 soci), quindi non è proprietà di questo o di quel patron (come certi personaggi romani) pronto a speculare sul chilo in più, ma è della comunità che percepisce utili (la società è sotto il controllo Consob). Oltre a recuperare biogas. Comunque, da questa scelta è venuta fuori la ormai famosa discarica di Peccioli che ospita opere d’avanguardia, con annesso anfiteatro per spettacoli. 


Ma Peccioli non s’è fermato qui. Ora, diciamo la verità, legati come siamo al concetto di abbandona e dimentica, ogni volta che affrontiamo il problema della gestione dei rifiuti ci manca proprio l’umiltà di capire come funziona. Quindi, nella pratica, oltre a dire le solite cose, no a questo, no a quest’altro, siamo condannati a non risolvere il problema. Perché? Perché di quel problema non sappiamo niente. Meno male che a Peccioli oltre al sindaco Renzo Macelloni, c’è Daniele Fortini, ex Ama Roma, ex Asia Napoli, e ora presidente RetiAmbiente Spa. Ottimo manager anche perché è bravissimo a spiegare l’entità del problema, cioè i numeri dei rifiuti, e i numeri in Italia sono il grande rimosso. Vediamo questi numeri rimossi. In genere le regioni dicono: quanti rifiuti ho? 100! Bene. Ma siccome farò la raccolta differenziata (e qui si sparano le cifre) dall’80 al 90 per cento, alla fine i rifiuti da trattare saranno pochi. Se sono pochi, che devo fare? Niente. Mettiamo il tutto in un paio di impianti per il trattamento e chiudiamo le discariche. Ecco fatto: obiettivo raggiunto. Siamo sempre lì, abbassiamo l’ostacolo per far finta di saltare facile, una declinazione dell’abbandona e dimentica. Difatti, qualcuno ha anche previsto in delibera l’obbligo da parte del cittadino di non produrre rifiuti: che diciamo la verità, blaterando di rifiuti zero è la cosa più logica. Va be’, dài, si imbroglia un po’, i numeri della raccolta differenziata non sono quelli.

A Peccioli, per esempio la raccolta differenziata è al 66 per cento. Ma dice Fortini: “Nel novembre del 2021, la Regione Toscana decide di impostare il nuovo piano per la gestione dei rifiuti in modo diverso, pubblica un nuovo bando e dice: non ve lo dico io cosa fare, in maniera verticistica, tecnocratica ecc., questa volta lo decidete voi. Perché se decido io e trovo un territorio, scontento uno e accontento tutti gli altri, quindi ditemi voi cosa vorreste fare nel vostro territorio per chiudere il ciclo dei rifiuti. Ah, la Regione chiede anche di esprimere il gradimento dei cittadini per quella scelta”. A questo punto, per capire come funziona torniamo ai numeri veri dei rifiuti. “A Peccioli produciamo 750 mila tonnellate all’anno di rifiuti urbani, 550 mila si raccolgono con raccolta differenziata (e si esporta tutto perché non abbiamo impianti), restano 200 mila di indifferenziato che trattiamo in impianti di trattamento. Ma questi impianti sono dei frullatori, dalla lavorazione escono fuori altri rifiuti (estrai solo un 3-4 per cento di minerali) che si dividono in umidi, destinazione discarica, oppure secchi, destinazione incenerimento. Facciamo nuovamente i conti, da quelle 200 mila in entrata, ci restano 130 mila tonnellate da smaltire, o in discarica o in inceneritore, e a quelli vanno sommati gli scarti dell’indifferenziata, perché il 10 per cento di quei 550 mila di partenza sono scarti. Alla fine, abbiamo 190 mila tonnellate annue da smaltire”. 


Come vedete, l’ipotesi dei rifiuti zero, pur con ottime pratiche vale zero, cioè, resta sempre un residuo. Vale per Peccioli, pensate per Roma. “La Regione Toscana – dice Fortini – aveva specificato nel bando che non voleva inceneritori convenzionali e allo stesso tempo desidera raggiungere quota 10 per cento in discarica entro il 2023”. Che hanno fatto i nostri di Peccioli? Hanno sfogliato il manuale delle Bat (migliori pratiche disponibili), di fatto il miglior manuale (prescrittivo) per il trattamento dei rifiuti (2.000 pagine). E qui appare una pagina “Tecnologie innovative e dirompenti: ossidazione termica”. Proposta dal ministero dell’Ambiente. Soggetto brevettatore Itea, del gruppo Ansaldo. Di che si tratta: ossidazione, cioè in assenza di fiamma e in ambiente pressurizzato, in esagerazione di ossigeno, il rifiuto va in combustione, produce energia elettrica, CO2 (i vapori in uscita che si possono convogliare in bombole) che si può commercializzare, che non produce polveri sottili né ceneri pesanti, perché rilascia materia vetrosa inerte. Aggiunge Fortini: “Questi di Itea in verità li conoscevo, vennero a Roma nel 2014 e mi dissero che avevano un prototipo da 5 mila tonnellate, promettente però… un prototipo. Comunque, firmammo un memoriale di intesa, poi ho lasciato Roma e addio. Ma a Peccioli è diverso, è l’unico posto al mondo dove si può prendere una decisione immediata. Siccome il prototipo ha lavorato per 25 mila ore negli ultimi 10 anni e ha dato ottimi risultati e infatti quella tecnologia è entrata nelle Bat, ora noi vorremmo realizzare un impianto industriale da 80 mila tonnellate. Entrerà in funzione? Se si dovesse ottenere l’autorizzazione entro il 2024, il tempo cantiere è stimato in 36 mesi”. 


Conclusione? Peccioli potrebbe fornire all’Italia la soluzione al dilemma inceneritore sì inceneritore no: potremmo risolvere il tutto con un inceneritore senza fiamma. E potrebbe altresì fornirci una buona novella pedagogica: se uno conosce come funziona un sistema, si pone obiettivi realistici e trova soluzioni innovative; se uno parla astrattamente di rifiuti zero poi finisce che abbandona e dimentica, e non solo i rifiuti.

(ha collaborato Valeria Cecilia)

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